Ricordati di santificare le feste
Anche noi cristiani di oggi ritroviamo la consapevolezza della decisiva importanza della celebrazione di ogni domenica per lo slancio dell'annuncio di Cristo in cui troviamo la nostra vera vita
Card. Roberto Sarah da "DIECI COMADAMENTI X CARDINALI DIECI" Da pagina 41 a pagina 68
Nel suo ciclo di catechesi sui Dieci Comandamenti, Papa Francesco ha voluto dedicare ben due riflessioni al terzo comandamento.
Nell'Udienza generale del 5 settembre 2028, il Papa si è soffermato sull'aspetto del riposo, legato al giorno festivo menzionato nl terzo Comandamento, dicendo: "Che cos'è dunque il riposo secondo questo Comandamento? È il momento della contemplazione, è il momento della lode, non dell'evasione. È il tempo per guardare la realtà e dire: come è bella la vita! Al riposo come fuga dalla realtà, il Decalogo oppone il riposo come benedizione della realtà. Per noi cristiani, il centro del giorno del Signore, la domenica, è l'Eucaristia, che significa "rendimento di grazie". È il giorno per dire a Dio: grazie Signore della vita, della tua misericordia, di tutti i tuoi doni. La domeni8ca non è il giorno per cancellare gli altri giorni ma per ricordarli, benedirli e fare pace con la vita", con Dio e viere 9n pace con gli altri.
Una settimana più ardi, il 12 settembre, il Santo padre ha richiamato la radice biblica di questo insegnamento, rilevando anche una lieve, ma significativa differenza tra le due diverse redazioni del Decalogo presenti nella Sacra Scrittura: "il Decalogo, promulgato nel libro dell'Esodo, viene ripetuto nel libro del Deuteronomio in modo pressoché identico, a eccezione di questa Terza Parola, dove compare una preziosa differenza: mentre nell'Esodo il motivo del riposo è la benedizione della creazione, nel Deuteronomio, invece, esso commemora la fine della schiavitù. In questo giorno lo schiavo si deve riposare come il padrone, per celebrare la memoria della Pasqua di liberazione".
Papa francesco ha anche evidenziato che esistono tanti tipi di schiavitù, sia esteriore che interiore. Ci sono le costrizioni esterne come le oppressioni, le vite sequestrate dalla violenza e da altri tipi di ingiustizia. Esistono poi le prigioni interiori, che sono, per esempio, i blocchi psicologici, i complessi,i limiti caratteriali e altro" e si è domandato se sia possibile, in questi e altri casi di prigionia, celebrare davvero la liberazione che il terzo comandamento prevede. Significativi sono anche alcuni esempi menzionati dal Pontefice: "Ci sono persone che, in carcere, vivono una grande libertà d'animo. Pensiamo, per esempio, a san Massimiliano Kolbe, al cardinale Francois Xavier, Van Thuan o a mons. Raymond-Maria Tchidimbo, arcivescovo emerito di Conakry (Guinea), "che trasformarono delle oscure oppressioni in luoghi di luce". A essi si potrebbe aggiungere l'esempio dato in tempi recentissimi dal cardinale George Pell, ingiustamente imprigionato in Australia per false accuse.
Ciò ci fornisce la spunto per riflettere anche sulla di diminuzione della nostra libertà, che parecchie autorità nazionali hanno decretato in occasione della pandemia da Covid-19. Molti si sono domandati se simili restrizioni fossero legittime da un punto di vista giuridico e morale. Non tendiamo dirimere qui questioni molto complesse come queste.
Di certo si può dire che lì dove gli Stati hanno imposto alla Chiesa la sospensione del culto pubblico di Dio, essi hanno compiuto un grave e inammissibile abuso di potere. I vescovi hanno l'autorità – in casi estremi – di sospendere temporaneamente il culto e di dispensare i fedeli dalla partecipazione a esso, ma tale autorità non appartiene ai reggitori della cosa pubblica. I governanti sono in genere molto scrupolosi nel difendere ciò che oggi si chiama laicità dello Stato, elevando prontamente barriere e rivolgendo severe critiche quando hanno l'impressione che la Chiesa voglia ingerirsi in decisioni che competono alla sola autorità civile. Gli stesse, però, spesso non mostrano lo stesso zelo nel rispettare l'autonomia delle autorità ecclesiastiche in materia religiosa. Mentre accusanola gerarchia cattolica di volersi ingerire nelle cose di Stato, non poche volte manifestano una tendenza a volersi ingerire nelle cose della Chiesa, anzi cancellare l'autorità di Dio.
D'altro canto, i grandi difensori della laicità dello Stato si richiamano, almeno in Francia, alla celebre espressione di Montalembert, adottata entusiasticamente da Camillo Benso di Cavour: "Libera Chiesa in libero Stato". Solo in apparenza quest'espressione è una traduzione in altri termini del detto evangelico: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" (Mc 12,17; Mt 22,21; Lc 20,25). In realtà, l'idea che soggiace a tale slogan è che la Chiesa è libera, ma all'interno (in) della libertà dello Stato.
Lo Stato possiede, secondo questa visione, una libertà più ampia, in grado di garantire – ma anche all'occorrenza di limitare – la libertà della Chiesa. Costoro non dicono "libera Chiesa e libero Stato", bensì "libera Chiesa in libero Stato" Bisognacomunque ammettere che, nelle recenti vicende legate al Covid-19, gli Stati hanno potuto facilmente commettere abusi di potere proibendo il culto divino, e causa dell'intiepidirsi della fede, della debolezza e acquiescenza di noi vescovi.
Nel mondo sono state numerose le situazioni in cui noi Pastori non abbiamo combattuto per preservare la libertà di culto del gregge di Cristo. In certi casi, i vescovi hanno preso decisioni ancor più restrittive dei governi civili, per esempio decidendola chiusura delle chiese anche lì dove lo Stato non lo imponeva. Di tutto questo dovremo certamente rendere conto al Giudice supremo. Oltre a trasmettere ai fedeli la falsa idea che "partecipare" a Messa in streaming o anche non parteciparvi affatto è lo stesso che recarsi alla domenica in chiesa, questo atteggiamento di noi Pastori ha rafforzato la convinzione che, in fondo, pregare e dare culto a Dio sia qualcosa di meno importante della salute fisica. Quant Pastori hanno affermato pubblicamente, durante la pandemia, che la Chiesa metteva al primo posto la salute dei cittadini!Ma Cristo è morto in croce per salvare la salute del corpo o per salvare le anime?
È chiaro che la salute è un dono di Dio e la Chiesa da sempre la valorizza e se ne prende cura in molteplici modi. Ma più ancora della salute del corpo, per noi Pastori conta quella dell'anima, la quale è la "suprema lex", la legge suprema, nella Chiesa. Abbiamo permesso che i nostri fedeli restassero per lungo tempo senza liturgia, senza la Comunione eucaristica e la Confessione, quando invece – come si isto – basta organizzarsi per offrire i Sacramenti in modo sicuro anche dal punto di vista sanitario. Avremmo potuto e dovuto protestare contro gli abusi dei governi, ma quasi mai lo abbiamo fatto. Molti fedeli sono rimasti scandalizzati da questa immediata e silenziosa sottomissione dei Pastori alle autorità civili, mentre queste compivano un vero abuso di potere, privando i cristiani della libertà religiosa. D'altro canto, va lodato l'esempio cotrario di quei Pastori che hanno agito secondo il Cuore di Cristo, quale, per citarne uno, l'arcivescovo di San Francisco, mons. Salvatore Joseph Cordileone. La sua testimonianza dimostra che lottare per la giusta causa costa fatica e attira critiche ingiuste e persino calunnie o persecuzioni di vario tipo, ma che alla fine il Signore concede la vittoria.
Torniamo ora a riflettere più direttamente sul terzoComandamento. Con Papa Francesco, si è già fatto menzione che, per noi cristiani, la prima e principale forma di santificazione delle feste è la partecipazione all'Eucaristia. Non mancano insegnamenti al riguardo nel Magistero recente della Chiesa. Si può per esempio rileggere la bella e densa sezione dedicata al terzo Comandamento nel Catechismodella Chiesa Cattolica. Dice il Catechismo ai nn. 2177-78: "La celebrazione domenicale del Giorno e dell'Eucaristia del Signore sta al centro della vita della Chiesa. "Il giorno di domenica in cui si celebra il Mistero pasquale, per la tradizione apostolica, deve essere servato in tutta la Chiesa come il primordiale giorno festivo di precetto".
Ugualmente devono essere osservati i giorni del Natale del Signore nostro Gesù Cristo, dell'Epifania, dell'ascensione e del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, della Santa Madre di Dio Maria, della sua Immacolata Concezione e Assunzione, di san Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e infine di tutti i Santi". Questa pratica dell'assemblea cristiana risale agli inizi dell'età apostolica. La Lettera agli Ebrei ricorda: non disertate le vostre "riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma invece esortatevi a vicenda". La Tradizione conserva il ricordo di una esortazione sempre attuale: "Affrettarsi verso la chiesa, avvicinarsi al Signore e confessare i propri peccati, pentirsi durante la preghiera…Assistere alla santa e divina Liturgia, terminare la propria preghiera e non uscirne prima del congedo…L'abbiamo speso ripetuto: questo giorno vi è concesso perla preghiera e il riposo. È il giorno fatto dal Signore. In esso rallegriamoci ed esultiamo". Qui vogliamo però avvalerci soprattutto di un documento pubblicato nel 1998 da san Giovanni Paolo II, la Lettera Apostolica Dies Domini (DD), espressamente dedicata al tema della santificazione del giorno del Signore.
Il testo pontificio è molto ricco e richiede che il lettore mediti personalmente con attenzione. San Giovanni Paolo II sottolinea innanzitutto il legame della domenica con la risurrezione di Cristo. Èquesto, infatti, il motivo principale per cui noi cristiani celebriamo non più il sabato, com'era nell'Antico Testamento, beensì la domenica. In questo giorno, Cristo è risorto dai morti e perciò la domenica è la "Pasqua della settimana (DD 1). In quanto Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti, mi è gradito ricordare che il Concilio Vaticano II intese riconoscere la centralità della domenica come giornoliturgico principale. I Padri conciliari si espressero con queste parole: "La domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le venga anteposta alcun'altra solennità che non sia di grandissimaimportanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l'anno liturgico". Dopo il Concilio, la riforma de calendario liturgico si ispirò a questa importante indicazione.
Alla centralità della domenica si è ormai sostituito il week-end. In questo modo, il fine settimana viene compreso soprattutto, se non esclusivamente, come tempo di riposo e di svago, ma non anche come tempo di preghiera, culto, santificazione e carità.
San Giovanni Paolo II pertanto sottolineava: "Ai discepoli di Cristo è comunque chiesto di non confondere la celebrazione della domenica, che dev'essere una vera santificazione del girono del Signore, col "fine settimana, inteso fondamentalmente come tempo di semplice riposo di evasione" (DD 4).
All'epoca di san Giustino, nel II secolo, il primo giorno della settimana, cioè la domenica, il giorno della risurrezione di Gesù, i cristiani si riunivano "per spezzare il pane" (At 20,7). Da quei tempi la celebrazione dell'Eucaristia è perpetuata in stretto legame con il giorno della risurrezione del Signorefino ai nostri tempi.
Ecco ciò che scrive san Giustino: "A nessun altro è lecito partecipare all'Eucaristia, se non a colui che crede essere vere le cose che insegniamo, e che sia stato purificato da quel lavacro istituito per laremissione dei peccati e la rigenerazione, e poi viva come Cristo ha insegnato… E nel giorno, detto del Sole, si fa l'adunanza. Tutti coloro che abitano in città o in campagna convengono nello stesso luogo, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti per quanto il tempo lo permette. Poi, quando il lettore ha finito, colui che presiede rivolge parole di ammonimento e di esortazione che incitano a imitare gesta così belle… Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del Sole, sia perché questo è il primogiorno in cui Dio, volgendo in fuga le tenebre e il caos. Creò il mondo, sia perché Gesù Cristo nostro Salvatore risuscitò dai morti nel medesimo giorno. Lo crocifissero infatti nel girono precedente quello di Saturno e l'indomani di quel medesimo giorno, cioè nel giorno del Sole, essendo apparso ai suoi apostoli e ai discepoli, insegnò loro quelle cose che vi abbiamo trasmesso, perché le prendiate inconsiderazione".
Nel IV secolo, sant'Agostino, vescovo, ribadiscela testimonianza di san Giustino dicendo: "Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno che è il terzo dopo la Passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l'ottavo dopo il settimo, cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all'immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione".
Così celebrare la liturgia eucaristica domenicale, il sabato, come norma abituale, è staccarsi da Gesù Cristo, e rompere con al tradizione apostolica; è straniarsi dunque dal Concilio Vaticano II e dal Magistero della Santa Chiesa cattolica. In tempi come i nostri in cui anche i cattolici praticanti o semi-praticanti spesso non posseggono una solida preparazione sulle cose della fede, bisognerà riaffermare il precetto del terzo Comandamento e al tempo stesso "recuperare le motivazioni dottrinali profonde che stanno alla base del precetto ecclesiale" (DD 6).
Secondo Giovanni Paolo II, tali motivazioni sono, schematicamente, le seguenti:
Alla luce di ciò, si comprende che la domenica è la festa di tutte le creature, è la festa primordiale n cui il cosmo intero trova il proprio compimento. Di conseguenza, alla creazione viene a mancare la sua stessa perfezione se essa non "riposa" in Dio. San Giovanni Paolo II annota: "Il "riposo" di Dio non può essere banalmente interpretato come una sorte di "inattività" di Dio. L'atto creatore che è fondamento del mondo è infatti di sua natura permanente e Dio non cessa mai di operare, Come Gesù stesso si preoccupa di ricordareproprio in riferimento al precetto del sabato: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" (Gv 5,17). Il riposo divino del settimo giorno non allude a un Dio inoperoso, ma sottolinea la pienezza della realizzazione compiuta e quasi esprime la sosta di Dio di fronte all'opera "molto buona (Gn 1,31) uscita dalel sue mani (DD 11).
A ciò si aggiunge ancora la prospettiva escatologica: "Il fatto che il sabato risulti settimo giorno della settimana fece considerare il giorno del Signore alla luce di un simbolismo complementare, molto caro ai Padre: la DOMENICA, OLTRE CHE PRIMO GIORNO,È ANCHE "GIORNO OTTAVO", POSTO CIOE', RISPETTO ALLA SUCCESSIONE SETTENARIA DEI GIORNI, IN UNA POSIZIONE UNICA E TRASCENDENTE,EVOCATRICE NON SOLO DELL'INIZIO DEL TEMPO, MA ANCHE DELLA SUA FINENEL "SECOLO FUTURO" (DD 26). Purtroppo non abbiamo la possibilità di approfondire in questa sede l'aspetto così denso di significato, della domenica in quanto "ottavo giorno". Cercheremo di sopperire a questa mancanza dicendo qualcosa più avanti, riguardo all'orientamento escatologico della celebrazione eucaristica.
San Giovanni Paolo II ha espresso questa verità nei seguenti termini: "Non c'è tuttavia alcuna opposizione tra la gioia cristiana e le vere gioie umane. Queste anzi vengono esaltate e trovano il loro fondamento ultimo proprio nella gioia di Cristo glorificato, immagine perfetta e rivelazione dell'uomo secondo il disegno di Dio. […] In questa prospettiva di fede, la domenica cristiana è un autentico "far festa", un giorno di Dio donato all'uomo per la sua piena crescita umana e spirituale" (DD 58). È per far spazio alle giuste necessità che l'uomo ha di riposarsi, di prendere una pausa dal lavoro, e di far festa che Dio ha previsto per noi il giorno del riposo. Egli sa che ne abbiamo bisogno. Anche il Signore Gesù in qualche occasione invitava i discepoli a riposarsi un po' prima di riprendere il loro apostolato (Mc 6,31).
Per lungo tempo vi è stata su questo una sorta di "alleanza" tra Stato e Chiesa. Anche lo Stato prevedeva – con poche eccezioni – che gli esercizi commerciali rimanessero chiusi alla domenica.
In moltissimi paesi questa sana impostazione del calendario civile è purtroppo ormai solo un ricordo. Ciò non toglie che si dovrebbe rimettere sul tavolo la discussione su questo aspetto. Anche in uno Stato laico, gli uomini restano uomini. Il riposo dal lavoro è, da una parte, un'esigenza antropologica che vale per ogni essere umano e non solo per i credenti; dall'altra, preservare un giorno alla settimana per l'uomo significa dare un segnale molto forte che il mercato è a servizio della persona e non la persona a servizio del mercato. Lasciando infatti aperti di domenica gli esercizi commerciali, si dà l'impressione di fornire agli uomini maggiori servizi e comodità.
In realtà le aperture domenicali penalizzano i lavoratori e non di rado i lavoratori che rientrano nelle fasce di reddito medio basse. A loro, come a tutti, bisognerebbe garantire la libertà di poter partecipare al culto domenica, se cristiani, nonché di poter riposare e trascorrere tempo con le proprie famiglie.
Soprattutto quei lavoratori che sono giovani genitori dovrebbero essere privilegiati nel fatto di poter spendere almeno la domenica con i loro piccoli, che normalmente vedono durante la settimana solo a sera, quando non è possibile trascorrere con loro "tempo di qualità". Ma i piccoli hanno bisogno di trascorrere tempo con i genitori con i propri figli. Il mercato ha divorato anche questo aspetto antropologico fondamentale. Celebrare la domenicacome "dies hominis" implica restituire all'uomo la possibilità di essere più umano e alle famigliefornisce un importante momento di unità, che spezza i ritmi frenetici cui sono sottoposte durante la settimana.
Infine, "la domenica deve anche dare ai fedelil'occasione di dedicarsi alle attività di misericordia, di carità e di apostolato" (DD 69). Per quanto molto br3evemente, è bene ricordare che, secondo la tradizione catechistica della Chiesa, esistono quattordici opere di misericordia: sette corporali e sette spirituali. La domenica è anche giorno in cui sfamare chi non ha cibo, rivestire che è avvolto di stracci, permettere a un closcard di utilizzare la vasca da bagno di casa nostra, visitare una persona ammalata o i nostri defunti al cimitero. È inoltre un gran giorno per dare un buon consiglio, o operare una correzione fraterna fatta bene. Quale giorno migliore della domenica per perdonare chi ci ha offeso, o insegnare qualcosa a chi la ignora? Queste opere di misericordia spirituale si collegano direttamente anche alle tante opere di apostolato che pure possono ben essere svolte nel giorno del Signore.
Al riguardo san Giovanni paolo II è molto chiaro: "Essendo la domenica la Pasqua settimanale, in cui è rievocato e reso presente il giorno nel quale Cristo risuscitò dai morti, essa è anche il giorno che rivela il senso del tempo. Non c'è parentela con i cicli cosmici, secondo cui la religione naturale e la cultura umana tendono a ritmare il tempo. Indulgendo magarial mito dell'eterno ritorno. La domenica cristiana è altra cosa! Sgorgando dalla Risurrezione, essa fende i tempi dell'uomo, i mesi, gli anni, i secoli, come una freccia direzionale che li attraversa orientandoli al traguardo della seconda venuta di Cristo. la domenica prefigura il giorno finale, quello della Parusia, già in qualche modo anticipata dall gloria di Cristo nell'evento della Risurrezione" (DD 75).
La domenica è il giorno in cui noi cristiani, ubbidendo al terzo Comandamento, riscopriamo il senso del tempo e della storia. Il Comandamento assume così una grande valore terapeutico. Esso ci sana da quella "forza di gravità" che sperimentiamo ogni giorno, soprattutto nella cultura contemporanea. Si tratta di quell'attrazione continua verso il basso, verso al terra, che ci fa dimenticare di volgere lo sguardo al Cielo (alla vita trinitaria). Al riguardo, è opportuno fare di nuovo un breve cenno alla liturgia.
Com'è noto, ho sostenuto e sostengo pubblicamente l'importanza fondamentale di una liturgia "orientata". Con questa espressione si intende che sacerdote e fedeli durante il culto dovrebbero avere sia al
mente sia il corpo "rivolti al Signore" (conversi ad dominum).
Può sembrare un dettaglio di poca importanza e molti criticano questa proposta come indice di passatismo. In realtà questo dettaglio riveste un'importanza che non ho timore di definire fondamentale. Celebrare anche fisicamente orientati verso il Signore trasmette molto concretamente il vero senso della liturgia, che non consiste nel celebrare noi stessi radunati per il culto divino, ma celebrare Lui, il Signore. L'orientamento verso il Signore (che deve essere sempre tanto esteriore quanto interiore) è indice del direzionamento escatologico del ministro celebrante dell'assemblea. Non si tratta di celebrare "verso il muro", come scioccamente viene sostenuto da chi non concorda questa pratica. Si tratta di celebrare, come detto, verso il Signore, simboleggiato dall'abside della Chiesa in quanto "Oriente simbolico".
L'antica (e precristiana) pratica di pregare rivolti verso est, verso il sole nascente, ha trovato piena conferma nel cristianesimo, essendo Cristo "l'orientale lumen", la luce dell'Oriente. La pratica classica della nostra religione è quella di costruire le chiese con l'abside rivolta a est. E anche lì dove ciò non è possibile, l'abside mantiene sempre il suo carattere di Oriente liturgico. Il sacerdote allora non celebra "spalle al popolo", come superficialmente si sente dire da decenni. Egli celebra, assieme all'assemblea, guardando il Signore e attendendo il suo ritorno glorioso: "marana tha: vieni, Signore!" (1 Cor 16,22).
Alla luce di quanto sin qui detto, si comprende perché il terzo Comandamento abbia un valore così fondamentale nella vita cristiana e anche perché, tra le varie dimensioni della domenica, la partecipazione degna e devota alla Santa Messa sia quella più importante. Non si tratta di un precetto dal carattere puramente moralistico, sebbene vi sia anche l'obbligo di precetto stabilito dalla Chiesa, che quindi dobbiamo rispettare. Per quanto il Comandamento e il precetto siano distinti, essi rimangono intimamente uniti. La Chiesa ha infatti stabilito il precetto per ragioni estremamente valide.
La partecipazione al culto eucaristicodomenicale non rappresenta un'imposizione della gerarchia sui fedeli. Il precetto è invece un aiuto prestato loro, un richiamo amorevole emesso dalla madre Chiesa, affinché i suoi figli non vengano mai meno nella pratica di un'abitudine così necessaria per la loro crescita umana e cristiana e, ultimamente, per la loro salvezza eterna.
Un altro elemento basilare è ugualmente da richiamare: a meno che non vi sia una ragione grave che lo giustifichi dell'assenza, il cattolico deve andare a Messa ogni domenica, altrimenti commette peccato mortale. Non tutti i Pastori rammentano ai fedeli questa verità elementare e per questo sono corresponsabili della costante diminuzione del numero di coloro che si recano a Messa ogni domenica.
È alla luce di tutto ciò che Benedetto XVI volle prendere in modo enfatico l celebre risposta data dai martiri di Abitene ai loro persecutori. Dopo poco più di un mese dalla sua elezione al Soglio Pontificio, il Papa volle recarsi a Bari per la conclusione del Congresso eucaristico nazionale, che "ha inteso ripresentare la DOMENICA COME "Pasqua settimanale", espressione dell'identità della comunità cristianacentro della sua vita e della sua missione".
Spiegando il tema generale del Congresso eucaristico, senza la domenica non possiamo vivere, Papa Benedetto XVI riassunse la storia di quei martiri, ricordando che nell'anno 304, "l'imperatore Diocleziano proibì ai cristiani, sotto pena di morte, di possedere Scritture, di riunirsi la domenica per celebrare l'eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. Ad Abitene, una piccola località nell'attuale Tunisia, quarantanove cristiani furono sorpresi una domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice, celebravano l'Eucaristia sfidando così i divieti imperiali. Arrestati vennero condotti a Cartagine per essere interrogati dal proconsole Anulino. Significativa, tra le altre, la risposta che un certo Emerito diede al Proconsole che gli chiedeva perché mai avessero trasgreditol'ordine severo dell'imperatore. Egli rispose: "Sine dominico non possumus": cioè senza riunirci in assemblea la domenica per celebrare l'Eucaristia non possiamo vivere. Ci mancherebbero le forze per affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere. Dopo atroci torture, questi quarantanove martiri di Abitene furono uccisi. Confermarono così nel 304, con l'effusione del sangue, la loro fede. Morirono, ma vinsero: noi ora li ricordiamo nella gloria del Cristo risorto. È un'esperienza, quella dei martiri di Abitene, sulla quale dobbiamo riflettere anche noi, cristiani del ventunesimo secolo" (omelia di Benedetto XVI il 29 maggio 2005).
Il Papa richiamava tutti noi, cristiani del XXI secolo, a riflettere bene tale risposta. Oggi non ci sono più imperatori che emanano editti e sentenziano a morte i cristiani solo perché celebrano il culto (ma è vero questo? O Non è forse vero che in certi luoghi del ondo esiste ancora proprio questo, per quanto in forme più o meno camuffate? Non è forse vero che ancora oggi ci sono "imperatori" e nuovi "Erode" che vogliono spadroneggiare sulla Chiesa, limitarne l'autonomia, o persino ridurre il cristianesimo a nulla, sottomettendolo a regole imposte dallo Stato o perfino mediante la violenza e la repressione? E non è vero che in molti luoghi i nostri fratelli sono stati uccisi mentre sin trovavano insieme a celebrare il culto nel giorno del Signore?).
Sia come sia, non si può negare che viviamo in una cultura che – per dire il meno – non aiuta i cristiani a rimanere tali e ciò è vero particolarmente per i cristiani, sebbene il sistema mass-mediatico solo di rado evidenzi questa realtà, preferendo di norma sorvolare, per non dire tacere volontariamente, sulle infinite forme di persecuzione, più o meno gravi, che i cristiani devono subire nel mondo ogni giorno. Ai cristiani della nostra epoca, perseguitati alcuni, addormentati o tiepidi altri, Benedetto XVI rivolgeva l'invito a meditare la grande rispostadi quel martire di Abitene: "Sine dominico, non possumus".
Ricordo che, in occasione del Congresso eucaristico del 2005, qualche teologo poneva in dubbio, ricorrendo anche a una certa dose d'ironia, l'opportunità della scelta del tema generale di quell'assise. Diceva qualcosa del tipo: "Altro che "non possiamo senza la domenica!". I nostri fedeli vivono benissimo anche senza!". Al di là della generalizzazione di tale giudizio, e facendo anche sconto dell'ironia, nel fondo poteva esserci qualcosa di vero in simili affermazioni. Vale a dire il fatto che on esistono solo cristiani eroici perseguitati, maanche cristiani tiepidi, o la cui fede è completamente raffreddata. E se Papa Benedetto invitava a meditare quelle parole, pare che avesse in mente più questi ultimi secoli che non i primi.
La Chiesa ha in questo caso – come in molti altri – due scelte praticabili: o accomodarsi all'andamento generale, oppure illuminare con la verità e chiamare a conversione. Non sono pochi coloro che adottano la prima strategia pastorale. Essi ritengono che qualunque intervento diverso da un mettersi semplicemente a fianco delle persone sarebbe inteso come una forzatura, una forma di paternalismo, un'imposizione. Pur sapendo che simili reazionirestano possibili, date le caratteristiche della cultura (soprattutto occidentale) contemporanea, e restando vero che la Chiesa è stata chiamata ad accompagnare, anzi a condurre pastoralmente le persone, è altrettanto vero che essa deve accompagnarle imprimendo al tempo stesso la direzione del cammino che si fa con loro.Accompagnare non può significare solo mettersia fianco della persona nella sua situazione esistenziale concreta. È necessario fare questo, ma non basta. Bisogna liberarlo dalle catene del peccato, convertirlo e condurlo decisamente verso Gesù Cristo.
Il buon Pastore andò a cercare la pecora lì dove essa si trovava, nella sua situazione esistenziale concreta: era lontana, smarrita, impaurita, caduta in una fossa o nel fango. Trovatala, la accarezzòe consolò, poi se mise sulle spalle e…la riportò all'ovile! Il Pastore ha una direzione e cammina verso di essa. Accompagnare non significa non avere una meta. Dobbiamo accompagnare le persone in un cammino che le conduce a convertirsi, a tornare a Cristo, abbandonando i propri peccati. Anche riguardo al erzo Comandamento bisogna fare così. Noi pastoridella Chiesa non dobbiamo sorvolare su questo dolce obbligo di santificare la festa in tutte le suddette dimensioni. Il cardinale Dionigi Tettamanzi scrisse che la dimenticanza presso molti cattolici dei valori originali delal domenica cristiana non solo si spiega in base al processo di scristianizzazione in atto, ma è "da attribuire anche a una certa "pigrizia" della stessa azione pastorale della Chiesa, che ha finito per adeguarsi in qualche modo al costume diffuso di far coincidere tutto il senso del "giorno del Signore" con la sola frequenza alla Messa, interpretando poi il riposo domenicale e festivo nei termini di una pura assenza di lavoro". E aggiungeva: "Il primo passo da fare per risvegliarsi da questa specie di torpore è di prendere viva coscienza che con la domenica noi ci troviamo di fronte non a una scelta facoltativa della Chiesa, bensì a un preciso comando di Dio, che ci chiede di "santificare la festa". Occorre dunque recuperare l'intero senso religioso di questo riposo, da intendere non solo come tempo per la Messa, ma anche come tempo per la preghiera personale, per la lettura della Bibbia, per la contemplazione, oltre che come occasione per rinnovare più in profondità i rapporti interpersonali, a cominciare da quelli famigliari, e per vivere una gioia particolare, la gioia della "festa cristiana".
Curando questa attenzione pastorale, noi cristiani del XXI secolo potremo assimilarci a quei nostri antichi fratelli ai quali sant'Ignazio di Antiochia ricordò che bisogna essere "iusta dominicam viventes", persone che vivono secondo la domenica.
Commentando queste parole dell'Antiocheno e quasi compendiando tutti i vari elementi che sono stati sottolineati in questo nostro testo, Papa Benedetto XVI ha scritto: "Questa formula del grande martire antiocheno mette chiaramente in luce il nesso tra la realtà eucaristica e l'esistenza cristiana nella sua quotidianità […] La formula di sant'Ignazio – "Vivere secondo la domenica" – sottolinea pure il valore paradigmatico che questo giorno santo possiede per ogni altro giorno della settimana. Esso, infatti, non si distingue in base alla semplice sospensione delle attività solite, come una sorte di parentesi all'interno del ritmo usuale dei giorni. I cristiani hanno sempre sentito questo giorno come il primo della settimana, perché in esso si fa memoria della radicale novità portata da Cristo. Pertanto, la domenica è il giorno in cui il cristiano ritrova quella forma eucaristica della sua esistenza secondo la quale è chiamato a vivere costantemente. "Vivere secondo la domenica" vuol dire vivere nellaconsapevolezza della liberazione portata da Cristo e svolgere la propria esistenza come offerta di sé stessi a Dio, perché la sua vittoria si manifesti pienamente a tutti gli uomini attraverso una condotta intimamente rinnovata" (Sacramentum Caritatis n.t2). Permettetemi di concludere questa riflessione con le parole di Papa Benedetto XVI: "Come potremo vivere senza di Lui, che anche i profeti hanno atteso?(SC 72)[…]. Sentiamo echeggiare in queste parole di sant'Ignazio di Antiochia l'affermazione dei martiri di Abitene "Sine dominica non possumus". Proprio di qui sgorga la nostra preghiera che anche noi cristiani di oggi ritroviamo la consapevolezza della decisiva importanza della Celebrazione domenicale e sappiamo trarre dalla partecipazione Eucaristica lo slancio necessario per un nuovo impegno nell'annuncio al mondo di Cristo" "Omelia di Benedetto XVI 29 maggio 2005) in cui troviamo la nostra vera vita e la nostra pace.
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