Il fallito attentato a Trump, il frutto avvelenato di anni di odio

Sabato 13 luglio, a Butler, una cittadina rurale della Pennsylvania un cecchino ha provato a uccidere Donald Trump durante un comizio. Ignoto il movente, se non il clima di odio.

Stefano Magni nella "Nuova Bussola" – 15 luglio 2024

Trump ferito ma non scoraggiato si rialza dopo l'attentato (La Presse)

Con la campagna elettorale americana più polarizzante di sempre, non si può dire che un attentato non fosse nell'aria. E puntualmente si è realizzato: due giorni prima dell'inizio della Convention repubblicana (che inizia oggi, 15 luglio), il candidato ed ex presidente Donald Trump è sopravvissuto, miracolosamente, a un attentato. Sabato 13 luglio, a Butler, una cittadina rurale nella Pennsylvania occidentale, all'inizio di un comizio elettorale di Trump, un cecchino con un fucile d'assalto ha sparato almeno sette colpi, di cui uno ha colpito l'orecchio destro del candidato. Solo un centimetro più a sinistra e sarebbe morto. A sparare è stato Thomas Matthew Crooks, 20 anni, nessun precedente penale, nessun impegno in gruppi estremisti, registrato come elettore Repubblicano, anche se sui social non nascondeva il suo odio per Trump e per i Repubblicani. L'attentato lascia sul terreno un morto e due feriti gravi. L'attentatore è stato ucciso immediatamente dopo che aveva aperto il fuoco.

 

«Guardate cosa sta succedendo nel nostro paese – stava dicendo Trump, a dieci minuti dal suo arrivo a Butler, a una folla di migliaia di sostenitori – Se volete vedere veramente qualcosa di triste, guardate a cosa accade…». E in quel momento il suo discorso è stato troncato da un proiettile. Trump si è portato una mano all'orecchio colpito, poi si è gettato a terra, coperto dagli agenti del Servizio Segreto schierati per la protezione dei candidati. L'ex presidente che mira a tornare alla Casa Bianca ha subito una ferita leggera, è già in piedi ed oggi è atteso alla Convention Nazionale Repubblicana, a Milwaukee, che lo consacrerà candidato anche ufficialmente. Ha dimostrato da subito una grande forza d'animo, quando si è rialzato, acclamato dalla folla, ha sollevato il pugno e ha incitato i suoi a "Lottare! Lottare! Lottare!", in segno di sfida a chi lo voleva morto. La folla ha risposto scandendo "Usa! Usa!". Il rischio è stato fortissimo, una questione di uno o due centimetri appunto. «Questo è un messaggio da parte di Donald Trump: non mi arrenderò mai!» ha scritto nella mail indirizzata ai suoi sostenitori. «Solo Dio ha impedito che accadesse l'impensabile», ha poi detto Trump sul suo social Truth.

 

Il presidente Biden, che in questo caso è anche suo rivale nelle elezioni, ha subito chiamato Trump, con una telefonata "breve e cordiale" in cui lo ha chiamato per nome di battesimo. In una conferenza stampa indetta immediatamente dopo il fallito attentato, Biden ha subito condannato la violenza politica. «Non c'è posto in America per questo tipo di violenza». E in una più lunga conferenza stampa, nella serata di ieri, 14 luglio, ha ribadito che proprio questo "è il momento dell'unità". Un cambio di rotta apprezzabile, considerando che finora aveva definito sempre il suo rivale come una minaccia per la democrazia americana, dal 6 gennaio 2021 in poi.

 

È uno dei colpi indirizzati a Trump che ha colpito alla nuca e ucciso istantaneamente Corey Comperatore, ex capo dei vigili del fuoco. Lascia moglie e figlia, che ha protetto col suo corpo: all'inizio della sparatoria le ha gettate a terra, salvandole. «L'odio per un un uomo ha preso la vita dell'uomo che noi tutti amavamo di più», ha scritto il fratello della vittima, in un post su Facebook. Due sono i feriti, ricoverati in condizioni critiche: David Dutch, 57 anni e James Copenhaver, 74. 

 

Dell'attentatore, invece, si sa ancora molto poco. Le prime indagini rivelano che avrebbe potuto causare una strage ancora peggiore. Non solo aveva il suo fucile, ma anche degli esplosivi, trovati nella sua auto. La polizia ha ricevuto rapporti su pacchi sospetti vicino a dove è stato ucciso Crooks e ha inviato gli artificieri.

 

Restano, in questa vicenda, due grandi zone d'ombra. La prima è nella falla della sicurezza, su cui il governo federale ha iniziato ad indagare. Come mai un ragazzo armato di fucile è riuscito ad arrampicarsi sul tetto di fronte al palco da cui parlava Trump, a meno di 150 metri dal suo bersaglio? Perché è arrivato sin lì? Crooks era al di fuori del perimetro di sicurezza, quindi non ha dovuto attraversare metal detector, né l'ispezione di polizia. Tuttavia le forze dell'ordine locali lo avevano "avvistato fuori dall'evento" e "ritenuto sospetto", secondo fonti della CNN. In ogni caso, polizia e Servizi si sono dimostrati straordinariamente inefficienti, se è vero quel che afferma un testimone oculare, intervistato immediatamente dopo l'attentato: sia lui che altri spettatori avrebbero visto l'uomo armato sul tetto, lo avrebbero segnalato a gesti e urla alla polizia. Ma la polizia non ha fatto nulla. E anche i Servizi Segreti "che ci vedevano benissimo" non hanno reagito in tempo. Anche dal video pubblicato dal Wall Street Journal, si può udire la folla allarmata che parla di "uomo armato", prima dei primi spari.

 

Di questa falla nella sicurezza si parlerà per anni, anche se l'attentato è fallito. James Comer, a capo della Commissione di Controllo della Camera, ha annunciato, sabato stesso, l'inizio di un'indagine e ha convocato la direttrice del Servizio Segreto, Kimberly Cheatle, a comparire in aula il prossimo 22 luglio. Mentre i singoli agenti hanno dimostrato un coraggio incredibile, dice Comer, «Ci sono molte domande per cui gli americani attendono la risposta». Servirà un'indagine rapida e soprattutto trasparente per fugare le numerose teorie del complotto che già circolano sul Web, soprattutto negli ambienti anti-Trump. Il soggetto più rilanciato, ieri, era "staged", cioè "orchestrato", una messa in scena. 

 

 

Gli eventi del 13 luglio hanno dimostrato che la protezione personale del candidato Trump fosse quantomeno trascurata. E di sicuro non ha giovato il clima arroventato delle polemiche, con alcuni deputati democratici che chiedevano addirittura di togliere la scorta all'ex presidente. Il deputato Bennie Thompson, lo scorso aprile aveva proposto la legge ad personam chiamata: "Negare la protezione infinita e le risorse governative destinate ai condannati e ai soggetti estremamente disonorevoli", acronimo inglese: Disgraced. Quasi una goliardata che, se si fosse tradotta in legge, avrebbe privato Trump anche di quel poco di protezione che gli ha salvato la vita: è la scorta che ha sparato all'attentatore, infine.

 

La seconda zona d'ombra è il movente. Che cosa ha spinto questo giovane appena diplomato a uscire di casa col fucile del padre per andare ad uccidere il probabile prossimo presidente degli Usa? In mancanza di dichiarazioni, rivendicazioni, video confessioni e filiazioni a gruppi politici estremisti (tutti elementi che non sono ancora emersi dalle indagini, nel momento in cui questo articolo va online), non ci resta però che constatare il clima di odio che circonda Trump. Ed è una tensione da guerra civile.

 

Lo storico militare Victor Davis Hanson, in un suo lungo tweet, ha messo in fila tutte le istigazioni a uccidere Trump, dalle più serie alle meno serie, dimostrando come l'idea di assassinare il comandante in capo sia stata di fatto sdoganata nella cultura popolare. «Almeno dal 2016 – scrive Hanson – c'è un gioco di società tra le celebrità e gli intrattenitori di sinistra che scherzano (si spera), sognano, immaginano e semplicemente parlano dei vari modi in cui vorrebbero assassinare o ferire gravemente Trump. A colpi di pistola (Robert De Niro), per decapitazione (Kathy Griffin, Marilyn Manson), a coltellate (Shakespeare in the Park), a bastonate (Mickey Rourke), a colpi di pistola (Snoop Dogg), per avvelenamento (Anthony Bourdain), dandogli la caccia (George Lopez), mangiando il suo cadavere (Pearl Jam), soffocandolo (Larry Whilmore), facendolo saltare in aria (Madonna, Moby), gettandolo in un dirupo (Rosie O'Donnell), semplicemente "uccidendolo" genericamente (Johnny Depp, Big Sean), o martirizzandolo (Reid Hoffman: «Sì, vorrei averlo reso un vero martire»).

 

Senza contare che si sprecano i paragoni fra Trump e Hitler, anche tra i commentatori delle televisioni nazionali. E prima o poi spunta quello che si crede von Stauffenberg e si sente in dovere di fermare il nuovo "fuhrer". «Voi, siete voi i colpevoli!» urlava uno spettatore repubblicano ai media che documentavano l'attentato. Al di là dell'emozione che rende tutti irrazionali, non aveva tutti i torti a individuare i grandi media come i mandanti morali, se non dell'attentato, dell'odio che lo ha alimentato. Il lavoro che deve essere affrontato, da subito, per evitare che il clima di tensione sfoci nella guerra civile, è la legittimazione dell'avversario. Come ha dichiarato, a botta calda, anche l'ex procuratore generale Bill Barr, « I democratici devono smetterla di parlare in modo grossolanamente irresponsabile del fatto che Trump è una minaccia esistenziale per la democrazia: non lo è».

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