Incontro di Pasqua di p.Massimiliano Parrella con gli Operatori della Cittadella della Carità di Negrar
"L'eroe multiforme, raccontami, Musa, che tanto vagò:/di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,/ molti dolori patì sul mare nell'animo suo,/ per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni./ Ma i compagni neanche li salvò, pur volendo:/ con la loro empietà si perdettero".
Padre Massimiliano Parrella Marzo 2024
Nell'originale greco la prima parola dell'Odissea è "uomo", la seconda "raccontami". Il poeta chiede alla Musa di dire, all'alba della cultura occidentale, "chi è l'uomo?". Ci vorranno ben 24 libri per "raccontare" la risposta, anche se ci viene offerta un'eccellente sintesi nei pochi versi proemiali. Il poeta tratteggia tre caratteristiche:
conoscere città e pensieri/costumi di uomini, patire dolori, al fine di acquistare la vita a sé e ai compagni.
La poesia omerica dice l'essenziale: l'uomo è viaggiatore, curioso conoscitore del mondo, chiamato a "patire", per tornare a casa. Casa è: "avere salva la vita", ma non solo la pria, ma anche quella dei compagni: coloro con cui si condivide un obiettivo. "Compagno", la cui radice (cum più panis) indica "qualcuno con cui si condivide il pane".
L'identità dell'eroe non è ripiegata su se stessa, ma proiettata verso l'altro, salvare sé e i compagni sono un tutt'uno. Dire Ulisse è dire i suoi compagni, i suoi amici, la sua terra: Itaca. Amico non è qualcuno da "aggiungere" su un social, ma con cui condividere il pane (non l'apparenza) nel tentativo di salvarsi e salvare. L'uomo è dato all'altro uomo per la salvezza. È un dato originario quanto la creazione, e quindi fonte insostituibile di originalità: gli mici costringono ad essere reali, custodendo e coltivando la nostra identità, unicità, vocazione. Glòi amici ci tirano fuori dalle apparenze e ci ricordano che i nostri talenti non sono per auto-realizzare, ma per etero-realizzare.
Lo dice in modo perfetto Vasilij Grossman in Vita e Destino: "L'amicizia è uno specchio in cui l'uomo si riflette. A volte chiacchierando con un amico impari a conoscerti e comunichi con te stesso … Capita che l'amico sia una figura silente, che per suo tramite si riesca a parlare con se stessi, a ritrovare la gioia dentro di sé, i pensieri che divengono chiari grazie alla cassa di risonanza del cuore altri. L'amico è colui che ti perdona debolezze, difetti e vizi, che conosce e conferma la tua forza, il tuo talento, i tuoi meriti. E l'amico è colui che pur volendoti bene, non ti nasconde le tue debolezze, i tuoi difetti, i tuoi vizi. L'amicizia si fonda dunque sulla somiglianza, ma si manifesta nella diversità, nelle contraddizioni, nelle differenze. Nell'amicizia l'uomo cerca egoisticamente ciò che gli manca. Nell'amicizia tende a donare munificamente ciò che possiede".
Noi cristiani a volte riduciamo la Rivelazione a un programma morale, quando invece è il movimento (Amor che move dice Dante) che Dio ha impresso nel creato, nel quale abbiamo il privilegio di essere inseriti e che possiamo assecondare o rifiutare. Solo chi si lascia catturare da questo movimento amoroso può portare la realtà a pieno compimento, la sua e quella degli altri: l'unico "pregiudizio" che un cristiano può avere sulla realtà è l'amore. Se si sottrae a questo movimento si diventa meno reali e si priva di realtà la realtà.
L'amicizia, cioè l'affidamento dell'uomo all'altro uomo, è il versante umano di questo movimento. Chi è l'uomo? Risponde Pilato mostrando il flagellato: Ecco l'uomo". Non è più il bell'eroe odissiaco, eppure anche Cristo ha conosciuto la città degli uomini e i loro pensieri, ha patito nel viaggio dell'incarnazione. A quale fine? Anche lui per salvare la vita dei suoi compagni, ma con una novità:rinunciando alla sua. Per questo non può trattarsi di un mito. Dice: "Non siete voi che mi togliete la vita, sono io che la dono". Lo scherniscono: "È stato capace di salvare gli altri, e non può salvare séstesso". Ulisse aveva salvato sé mentre si suoi compagni erano morti per la loro empietà. Cristo fa il contrario: rinuncia a salvare sé stesso e salva noi: per la nostra empietà si fa empio lui. Infatti proprio nell'ultima cena ci definisce amici, fratelli dopo al risurrezione: "Vi ho chiamati amici perché vi ho detto le cose del Padre mio". Il racconto di Cristo è la sua identità, il Figlio mostra il Padre (per renderci figli nel Figlio e quindi fratelli): racconto costato la vita, non ha passione per il mondo, non ha l'amore come pregiudizio, non rende – attraverso l'amicizia – la realtà reale, ma lascia precipitare nell'inconsistenza della morte. [12] "Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: "dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?" [13] "Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: "Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo [14] e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la pasqua con i miei discepoli? [15] Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi". [16] I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto lo e prepararono perla Pasqua.
Istituzione dell'Eucaristia
[22] Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. [124] E disse: "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti […].
Prendete, questo è il mio corpo. Nei Vangeli Gesù parla sempre con verbi poveri, semplici, diretti:prendete, ascoltate, venite, andate, partite; corpo e sangue. Ignora quelle mezze parole la cui ambiguità permette ai potenti o ai furbi di consolidare il loro predominio. Gesù è così radicalmente uomo, anche nel linguaggio, da raggiungere Dio e da comunicarlo attraverso le radIci, attraverso gesti comuni.
Seguiamo la successione esatta delle parole così come riportata dal Vangelo di Marco: prendete, questo è il mio corpo … Al primo posto quel verbo, nitido e preciso come un gesto concreto, come mani che si aprono e si tendono. Gesù non chiede agli apostoli di adorare, contemplare, venerare quel pane spezzato, chiede molto di più: "io voglio essere preso dalle tue mani come dono, stare nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita". Qui è il miracolo, il batticuore, lo scopo: prendete. Per diventare ciò che ricevete.
Quello che sconvolge sta in ciò che accade nel discepolo più ancora che in ciò che accade nel pane e nel vino: lui vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita (da risorto, di lassù come dice san Paolo), che nel cuore metta radici il suo coraggio, che ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come lui l'ha vissuta lui. Dio in me, diventiamo una cosa sola, una stessa vocazione: non andarcene da questo mondo senza essere diventati pezzo di pane buono per la fame e la gioia e la forza di qualcuno: degli amici! Dio si è fatto uomo per questo, perché l'uomo si faccia come Dio. Gesù ha dato ai suoi amici, due comandi semplici, e in ogni Eucaristia noi li riascoltiamo: prendete e mangiate, prendete e bevete. A che serve un pane, un Dio, chiuso nel tabernacolo, da esporre di tanto in tanto alla venerazione e all'incenso? Gesù non è venuto nel mondo per creare nuove liturgie. Ma figli liberi e amanti. Vivi della sua vita. Chi mangia lamia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Corpo e sangue indicano l'intera sua esistenza, la sua vicenda umana, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno e il foro dei chiodi, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, i piedi intrisi di nardo e poi di sangue, e la casa che si riempie di profumo e parole che sanno di cielo, (le cose di lassù).
Lui dimora in me e io in lui, se sarò capace di essere pane: di esserlo per i malati che vivono nella Citta della Carità; di essere pane per i miei figli; di essere pane per il mio partener; di essere pane per i miei compagni di viaggio…
In questa Pasqua vi faccio un invito particolare, lasciamo stare tanti buoni propositi, che poi non riusciamo a vivere e ci frustano oppure moralizzano solo il momento importante che viviamo. In questa pasqua, facciamoci pane … regaliamo pane … condividiamolo! È un modo di dirti ti sono compagno/a … e voglio condividere la mia vita con te … (con Lui risorto eucaristicamente presente) attraverso di me non sei solo! Non se sola! Io mi faccio pane con te! Allora avrete respirato l'autenticità di una relazione, il grembiule come stile di servizio. L'essenza di Dio nella vostra vita, e la Pace che farete nascere dal vostro cuore …allora avrete respirato la Pasqua una Risurrezione e quindi una continua presenza sacramentale, Eucaristica: la vostra e quella a cui avrete il coraggio di farvi pane (in comunione con Lui risorto)!
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