Wanda Poltaska, amica e discepola di Karlo Wojtyla
Polonia - Wanda Poltawska ROMA - «Già quando era giovane sacerdote il Santo Padre consacrava tutto il suo tempo ai contatti con la gioventù». Comincia così, con "La Stampa", il ricordo di Giovanni Paolo II di Wanda Poltawska, amica e discepola di Karol Wojtyla fin dai tempi della gioventù e di Cracovia, rimasta a fianco del Pontefice anche negli ultimi dolorosi mesi di malattia. «Tutti suoi giorni liberi - rivela Poltawska, per oltre venti anni professoressa alla Clinica Psichiatrica dell'Accademia della Medicina di Cracovia - prendeva il gruppo dei ragazzi e delle ragazze, andava a passeggio con loro, ascoltava cosa dicevano, osservava come si comportavano».
«Tutto il tempo -prosegue la professoressa che ha assistito il Papa- era impegnato ad osservare la persona umana per capire chi è in realtà l'uomo come tale. E cercava di capire, di trovare la verità, da questa osservazione della vita dei ragazzi; e non solo dalla vita, ma anche dai loro discorsi».
«Lui - dice ancora Poltawska - voleva salvare la santità dell'amore umano. Essendo testimone della crisi dell'amore, fra ragazzi e ragazze, fra uomini e donne, ha impostato tutto il programma pastorale come vescovo, secondo il mio parere, e come sacerdote, e come cardinale, su questo punto: salvare la santità dell'amore. E l'amore è quello fra i due sessi». «La donna - aggiunge - è più in pericolo, specialmente le ragazze. Il cuore della donna è il suo tesoro ed il suo pericolo. E Giovanni Paolo II si occupava più di tutto delle ragazze».
«Una volta - racconta ancora Wanda Poltawska - mi ha detto anche che già da ragazzo, a scuola, era sempre interessato a questa caratteristica fondamentale delle donne, di come tutte le donne sono potenzialmente madri; perché l'identità della donna è la maternità, e lui ha sempre detto ai ragazzi che devono rispettare le donne perché loro hanno la vita grazie alle donne, alla madre, che ha dato il sangue per dare vita ad una persona umana».
«Questa maternità, come progetto divino, - riferisce la discepola di Giovanni Paolo II - era affascinante per lui. Da giovane ha scritto una poesia sulla madre come elogio per questo ruolo».
E nel ricordare ancora la figura e la filosofia di vita del Pontefice appena scomparso, la professoressa Paltawska che ha sofferto anche la prigionia nel campo di concentramento di Ravensbruck, sottolinea come «per capire che cosa pensava della sofferenza come tale, basta leggere il suo documento, la "Salvifici Doloris", sul ruolo creativo della sofferenza».
«Credo che - riferisce ancora Poltawska - il Santo Padre, come filosofo e pastore, e studioso, avesse lo stesso problema: risolvere l'identità della donna. E ha voluto mostrare alle donne e alle ragazze il loro valore, il loro grande tesoro: tu puoi essere santa, tu puoi essere madre, dare vita. Adesso il culto della madre sparisce. Le donne non capiscono che la loro grandezza è a causa della maternità».
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