Il ruolo pubblico della religione, soprattutto cattolica, nella società
Dal discorso di Benedetto XVI di Regensburg (settembre 2006), che investe frontalmente la questione del rapporto fede-ragione, religioni-culture, fino ad arrivare all'affermazione che: "Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio".
Stefano Fontana in "La Dottrina politica cattolica. Il quadro completo passo dopo passo""
Benedetto XVI investe la questione del rapporto fede-ragione, religioni-culture, nel discorso di Regensburg fino ad arrivare all'affermazione magisteriale che "Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio".
Nella stessa linea vanno altri interventi magisteriali di alto spessore del papa. Alla Casa Bianca a Washington nel 2008, Ratzinger ricorda che "i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore: Dio Creatore nella filosofia metafisica cristiana, l'Essere metafisico nella sola filosofia". Nel discorso agli intellettuali francesi, presso il Collège des Bernandins a Parigi (2008), ricorda che la Parola di Dio, raggiungendoci attraverso la parola umana, deve essere sempre interpretata, fuggendo così da ogni fondamentalismo. Nel 2010 presso la Westminster Hall di Londra, il papa affronta la questione del ruolo della religione nella società, che viene riconosciuto nella capacità di individuare i "principi morali oggettivi", che poi la ragione e dunque la politica devono applicare. La religione può svolgere tale funzione solo se non degenera in settarismo e fondamentalismo, cioè se valorizza il "ruolo purificatore e strutturante della ragione all'interno della religione". Ragione e fede hanno bisogno l'una dell'altra; entrambe hanno un ruolo purificatore reciproco. Cosa significa ciò nelle dinamiche politiche e democratiche di inizio del XXI secolo? Significa che non basta il criterio democratico della maggioranza per redigere buone leggi. In fondo si tratta del ruolo della religione nella sfera pubblica e dunque all'interno delle società democratiche. Si ha a che fare con la tematica della laicità.
In un discorso al presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, Benedetto XVI afferma: "Legittima è dunque una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione". Si trova qui tutto il filo del pensiero politico papale: le norme dello Stato devono basarsi su riferimenti etici, che in ultimo si fondano sulla religione. In tal senso la laicità è quella condizione (quel metodo) che permette alla religione di avere il proprio spazio nel dibattito pubblico, riconoscendone così l'importanza culturale. La laicità non sarebbe tanto la neutralità dello Stato verso le convinzioni religiose, quanto la condizione di espressione delle diverse religionivolta a portare un contributo positivo (etico) allasocietà e allo Stato. Differentemente, il laicismomodernista sarebbe quella visione della società, oggi egemone in Europa, che vuole limitare il fattore religioso al puro ambito individuale (liberalismo), impedendone addirittura un'incidenza nella vita civile. Perciò il papa incoraggia l'intervento della Chiesa e delle differenti comunità cristiane nel dibattito pubblico europeo e pure internazionale, secondo le esigenze dei così detti "principi che non sono negoziabili", cioè i valori che sono ritenuti non unicamente cristiani, ma storicamente propriamente umani, cioè "radicati nella naturadell'essere umano" e perciò "riconoscibili anche attraverso il retto uso della ragione". Tale visione,che propone una laicità non laicista dello Stato con radici nel religioso, in Europa e nel Mondo non è condivisa né dai laicisti, né espliciticamente da parte di esponenti laici, perché a loro modo di vedere non si darebbe credito, né spazio alla moraleilluministicamente radicale, cioè a quella areligiosa e inoltre perché in fondo non si accetterebbepoliticamente la piena autonomia ideologica dello Stato".
La questione ideologica in gioco è quella del fondamento ultimo dell'agire morale dell'uomo. Semplificando: che valore ha la morale di chi non crede? In gioco è la visione dell'uomo e delle sue relazioni sociali. E non a caso, tutto quanto finora riportato proviene dai discorsi papali ai politici e non ai cattolici in quanto tali.
Specialmente a questi ultimi Benedetto XVI rivolge tre encicliche ((Deus caritas est, 25 dicembre 2005; Spe salvi, 30 novembre 2007; Caritas in veritate, 4 dicembre 2009), all'interno delle quali il termine "politica" è ripetuto in maniera significativa (rispettivamente, 13, 8 e 30 volte), presentandosi in alcuni passaggi teologici decisivi. Nella Deus caritas est si afferma che la riflessione sulla giustizia può trovare un valido aiuto nella fede, vista come elemento purificatore della ragione. In un altro passaggio, Benedetto XVI ricorda che la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile", ma deve entrare "nella lotta per la giustizia [ …] per la via dell'argomentazione razionale". Nella Spe salvi, il papa riafferma il rischio dello strapotere dell'uomo "solo", senza Dio. L'uomo ha bisogno di Dio, non solo per non restare privo di speranza, ma anche per usare bene della propria ragione, facendola diventare "una ragione veramente umana". Viene richiesta "l'apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male". In sintesi la ragione ha bisogno della fede per arrivare a essere totalmente sé stessa: ragione e fede hanno bisogno l'una dell'altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione". La riflessione papale si esplicita ulteriormente nell'enciclica sociale del suo pontificato, la Caritas in veritate, nella quale scrive:
Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell'umanità in Europa e nel Mondo.
E in maniera più esplicita per il cristianesimo, per la dottrina politica cattolica:
La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica. La dottrina sociale della Chiesa è nata per rivendicare questo "statuto di cittadinanza" della religione cristiana".
Benedetto XVI si pone propriamente quale instancabile difensore della dimensione pubblica della religione, del cristianesimo nello specifico edella partecipazione dei credenti nella costruzione dell'ordine sociale con il contributo della propria dottrina politica cattolica.
Questa impostazione generale del rapporto fede-regione, Chiesa-Stato e Chiesa-Società suscita molte reazioni nel mondo intellettuale. Se i neo-illuministiradicali, modernisti rimangono arroccati nelle loro posizioni, altri invece si lasciano andare al confrontoserrato. Si pensi al dialogo tra Benedetto XVI e il filoasofo italiano Marcello Pera, presidente del Senato della Repubblica dal 2001 al 2006. Si pensi pure all'inaspettato incontro intellettuale con il filosofo marxista Jurgen Habermas, all'eco del discorso papale in Francia agli intellettuali al Collège des Bernardins e agli intellettuali marxisti italiani in dialogo con la teologia di Ratzinger. Il mondo intellettuale è smosso da questo papa, che suscita e provoca cambiamenti di posizioni personali, con la conseguenza, per chi si mette in dialogo, di perdere posizioni acquisite.
Il pensiero politico del papa ha il suo sostrato nel Concilio Vaticano II, particolarmente nella dichiarazione Dignitatis humanae e soprattutto nellacostituzione pastorale Gaudium et spes, come pure nel magistero pontificio a partire da Giovanni XXIII. Con maggior piglio dei suoi predecessori, Ratzinger si dedica alla sistematizzazione teologica e teorica del ruolo della religione nella società, concentrandociin modo particolare sull'ambito europeo, proprio secondo le visioni emerse durante la sede vacante e il conclave del 2005.
L'interpretazione dell'ambito politico da parte di Benedetto è primariamente di ordine teologico e si inserisce nel più ampio dibattito internazionale, nato dopo l'11 settembre 2001, sul ruolo pubblico dellareligione. Per il pontefice in qualche modo il cristianesimo non conosce nessuna "teologia politica", ma "soltanto un ethos politico" per cui "la civitas Dei non può mai diventare una realtà statale empirica", come lo Stato può essere soltanto una civitas terrena. In tal modo il suo pensiero non può essere assimilato tra quelli di coloro che parlano della riproposizione di un regime di cristianità per il XXI secolo. Benedetto, infatti, vuole svincolare il cristianesimo dal rischio di una teologizzazione della politica, come pure di una politicizzazione dellateologia. Scrive infatti:
"Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse [ … ] La risposta di Gesùporta abilmente la questione a un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale".
Ciò non impedisce di porre in essere un discorso di teologizzazione. dell'umano. E proprio su questo punto emergono incomprensione nell'ambito dei diritti umani.
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