Benedetto XVI ribadisce la necessità dei principi non negoziabili e il loro fondamento assoluto, che è Dio
Nel recente intervento di Benedetto XVI è contenuta forse l'affermazione più radicale della dottrina dei principi non negoziabili. Mi riferisco alla sua breve nota pubblicata su Herder Korrespondenz nella quale egli lamenta che nessuno dei commenti seguiti al suo scritto sulla Chiesa e gli abusi sessuali dell'aprile 2019 parlava mai di Dio. Anche in questo ultimo breve intervento, Benedetto ribadisce la necessità dei principi non negoziabili e il loro fondamento assoluto, che è Dio.
Come tutti sappiamo, i principi non negoziabili sono spariti dall'orizzonte della Chiesa attuale. Non solo non se ne parla più ma non se ne può più parlare. C'è un divieto espresso o inespresso a farlo. Quando l'Osservatorio Cardinale Van Thuân propone a contesti ecclesiali una scuola di Dottrina sociale della Chiesa e dichiara di voler parlare anche dei principi non negoziabili, stai sicuro che riceve un diniego. Sappiamo anche che quello sui principi non negoziabili era uno dei dubia dei quattro cardinali che non hanno ancora ricevuto risposta. È anche noto che l'Esortazione apostolica Amoris laetitia contraddice la dottrina circa l'esistenza di azioni intrinsecamente cattive che non si devono mai compiere per nessun motivo e in nessuna occasione. Essa, infatti, sostiene che nell'adulterio – che è una di queste azioni intrinsecamente cattiva – ci può essere la Grazia di Dio. Insomma: non corrono tempi buoni per i principi non negoziabili.
Ma torniamo a Benedetto XVI. Nella sua nota apparsa su Herder Korrespondenz egli segnala un fatto gravissimo, ossia che quella cattolica rischia di essere ormai una a-teologia, cioè una teologia in cui non si parla mai di Dio. Quanto egli ha notato circa i commenti al suo scritto dell'aprile scorso sulla Chiesa e gli abusi sessuali, ossia che nessuno ha parlato di Dio, che era invece il nucleo essenziale di quel testo, va esteso alla teologia in quanto tale. Essa sarebbe una teologia senza Dio. Per la parte più rampante della teologia contemporanea infatti sarebbe ideologico parlare di Dio, come anche pretendere che Dio ci parli. Per essa Dio si comunica attraverso le vicende mondane ed anche noi dobbiamo parlare solo delle vicende mondane. Il linguaggio su Dio va secolarizzano nel linguaggio sull'uomo.
Ora, nello scritto sulla Chiesa e gli abusi sessuali, Benedetto XVI aveva detto che la "dissoluzione della concezione cristiana della morale" e della teologia morale cattolica è dovuto proprio al fatto che "preferiamo non parlare di Dio". Ed eccoci al punto: questa esclusione di Dio dalla morale e dalla vita pubblica avviene mediante la negazione dei principi non negoziabili, ossia dell'esistenza di azioni "che non possono mai diventare buone". La loro esistenza ci dice che "ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al disopra anche della conservazione della vita fisica. Dio è superiore anche alla vita fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un'ultima menzogna, è una non-vita. Il martirio è una categoria fondamentale dell'esistenza umana". Senza principi non negoziabili, senza intrinsece mala, "il martirio non sarebbe più necessario", e ne andrebbe dell'essenza stessa del cristianesimo.
Se nella morale viene meno l'indisponibile, allora tutto diventa disponibile e Dio non serve più a nulla, non avendo più alcun diritto nella sfera pubblica. Allora non ci sarebbe più nulla di dovuto a Dio in modo assoluto e, quindi, più nulla di dovuto semplicemente. La vita degli uomini sarebbe completamente autonoma e misura di se stessa nel campo della morale. Il bene e il male troverebbero non più in Dio ma in noi la loro misura, una misura che tenderà ad uniformarsi sempre di più a noi stessi, "all'io e alle sue voglie". Senza l'indisponibile, ciò che va reso a Dio ad ogni costo, anche la competenza della Chiesa in campo morale viene meno. In un mondo adulto che moralmente decide secondo la propria misura, cosa avrebbe più da dire la Chiesa? Si attuerebbe così una separazione tra fede e morale già molto evidente nella vita cristiana di oggi. Ma il rapporto tra fede e morale è quanto impedisce alla prima di essere privata, soggettiva, propria solo di una minoranza. La fede cristiana ha invece una vocazione pubblica che, senza il suo aggancio con una morale oggettiva ed assoluta in alcuni suoi punti indisponibili, verrebbe meno. La separazione tra fede e morale è un principio protestante, non cattolico. L'eliminazione dei principi non negoziabili è una esigenza protestante, non cattolica.
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