Le catechesi sull'amore umano di Giovanni Paolo II
Livio Melina
Contemplando gli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina, appena restaurati, Giovanni
Paolo II ebbe a dire, l'8 aprile 1994:
Nell'ambito della luce che proviene da Dio, anche il corpo umano conserva il suo splendore
e la sua dignità. Se lo si stacca da tale dimensione, diventa in certo modo un oggetto, che
molto facilmente viene svilito, poiché soltanto dinanzi agli occhi di Dio il corpo umano può
rimanere nudo e scoperto e conservare intatto il suo splendore e la sua bellezza.
1. UNA NOVITÀ CHE SORPRESE
A trent'anni dall'inizio del grande ciclo delle Catechesi sull'amore umano nel piano divino (5
settembre 1979 – 28 novembre 1984) Anthropotes ha voluto celebrare questa ricorrenza
mostrandone la permanente fecondità e documentandone l'influsso innovativo a livello del pensiero
e della vita cristiana. Tale insegnamento del papa polacco irruppe nella Chiesa e nella società come
una novità che sorprendeva non solo per la scelta del tema, che appariva inconsueto e forse
addirittura inappropriato per una predicazione catechistica magisteriale, ma anche per l'audacia del
linguaggio, dell'impostazione e degli accenti. Come fu acutamente osservato: «con Giovanni Paolo
II improvvisamente divenne bello essere cristiani», proprio perché se ne poteva vedere la
convenienza e la corrispondenza con ciò che gli uomini e le donne di più desiderano nel profondo
del loro cuore. Non era ovviamente una rivoluzione. Il nuovo non è mai infatti l'inedito e lo
stravagante, ma piuttosto ciò che ridà splendore a quanto è antico e originario. La novità comporta
naturalmente sempre anche difficoltà di ricezione e pericoli di riduzione.
Ne era ben cosciente lo stesso Giovanni Paolo II, il quale riconobbe che per sviluppare e
comprendere adeguatamente una "teologia del corpo" occorreva superare certe carenze presenti in
una plurisecolare tradizione di pensiero sviluppatasi "in margine al pensiero cristiano", ma con una
grande influsso anche al suo interno, che non ha permesso di valorizzare adeguatamente il corpo
umano e neppure ha saputo rendere ragione alla ricchezza del dato biblico. E, in effetti basta
soffermarsi a riflettere appena un attimo per constatare che tutti i misteri del cristianesimo hanno al
loro centro come protagonista e soggetto il corpo: dall'incarnazione alla passione e morte di Gesù,
alla sua risurrezione e ascensione al cielo, all'eucaristia, all'assunzione al cielo della Beata Vergine
Maria, primizia della risurrezione della carne di tutti gli uomini, alla Chiesa, Corpo mistico di
Cristo.
Lungi dal contrapporre l'anima al corpo, vedendo in questo prima di tutto un nemico da
guardare con sospetto e da dominare per non diventare schiavi di dinamiche i inferiori alla dignità
propria dell'uomo spirituale, Giovanni Paolo II ha rivendicato il carattere "sacramentale" della
corporeità. E così ha sfidato la cultura contemporanea proprio sul suo stesso campo di battaglia:
l'apparente esaltazione del corpo, e in particolare della sessualità, non raggiunge il suo scopo
quando è separata dalla comprensione della dignità della persona e dal riferimento a Dio Creatore e
Redentore.
In proposito, l'enciclica di papa Benedetto XVI Deus caritas est sembra non solo
confermare tale insegnamento ma addirittura andare oltre, quando propone un'audace espressione,
che definisce il corpo come provincia libertatis (n. 5). Siamo davvero agli antipodi di quella
tendenza di stampo platonico che concepiva il corpo piuttosto come regio dissimilitudinis, di quel
dualismo gnostico e manicheo che disprezza la materia come luogo del male, di quella visione
cartesiana del corps-machine, per non parlare della mentalità puritana che lo considera come
oggetto e fonte di peccato; tendenze e visioni parziali, che tanta influenza hanno avuto sul pensiero
occidentale spingendolo verso l'esclusione della corporeità dall'ambito della soggettività.
Naturalmente un'altra difficoltà di ricezione delle Catechesi si è manifestata abbastanza
presto nell'ambito della divulgazione: una sua lettura superficiale e alla moda, che trascurando le
radici teologiche profonde dell'insegnamento e il suo orizzonte complessivo, lo riduce ad
un'innovazione "rivoluzionaria" nell'ambito della sfera sessuale e ne contrappone il contenuto alla
grande tradizione teologica, spirituale e morale della Chiesa. Assecondando i gusti di un'opinione
pubblica, ansiosa di superare i residui del puritanesimo, si trasforma la "teologia del corpo" in
un'occasione di successo mondano. Essa però, nella mancanza di profondità metafisica, conduce
inevitabilmente alla perdita del senso del mistero e del pudore, e quindi alla banalizzazione del
corpo e ultimamente alla volgarità.
2. UNA VIA DA PERCORRERE VERSO UNA "VISIONE" DELLA SORGENTE
Il punto decisivo per superare queste difficoltà e queste riduzioni è cogliere l'orizzonte completo, la
"visione", che la teologia del corpo delle Catechesi implica. Il corpo dell'uomo e della donna è «il
Presacramento – solo essere visibile segno di perenne Amore» (Trittico romano, II, 3) dirà ancora
con il linguaggio della poesia papa Wojtyła, meditando sulle immagini della Genesi della Cappella
sistina, "Santuario della teologia del corpo". La vera parola chiave della ripresa poetica di questa
teologia del corpo è "visione". Il grande Michelangelo è un veggente: vede le immagini nella luce
di Dio, ha la visione di Dio Creatore attraverso la rappresentazione dei corpi di Adamo e di Eva.
Così l'allora Cardinale Ratzinger, commentando quest'opera afferma:
Ogni uomo è chiamato a "riacquistare questa visione…". Il cammino che conduce alla
sorgente è un cammino per diventare vedenti: per imparare da Dio a vedere. Allora
appaiono il principio e la fine. Allora l'uomo diventa giusto.
Ecco allora l'orizzonte completo che si dischiude nella formula "teologia del corpo": il
corpo non è solo oggetto della teologia, non è cioè solo un tema in più da esaminare secondo una
modalità esteriore e razionalista, ma piuttosto è una "via" da percorrere verso la sorgente. Poiché
anche il corpo è chiamato a partecipare nella risurrezione finale alla visione di Dio, esso non è solo
una cosa, contrapposta alla soggettività spirituale, ma piuttosto un organo vivente che ci permette di
vedere meglio Dio.
Proprio così in questi anni, anche il nostro Istituto, che si sente in maniera tutta speciale
anche se evidentemente non esclusiva, "erede" delle Catechesi di Giovanni Paolo II, ha cercato di
accogliere l'insegnamento prezioso della teologia del corpo: non solo come un contenuto su cui
riflettere, ma soprattutto come una via nuova da percorrere. In questo senso la novità metodologica
e contenutistica della "teologia del corpo" è stata come una fresca sorgente che ha spinto a ripensare
i grandi temi . Dopo trent'anni di riflessione, mi sembra che almeno tre piste si siano delineate. Va
tuttavia segnalato innanzitutto la novità del singolare metodo di riflessione, presente nelle
Catechesi. Esso al fine di raggiungere un'interpretazione adeguata dei significati fondamentali
dell'humanum, mette in atto una circolarità ermeneutica tra la Rivelazione e ciò che Giovanni Paolo
II chiama "l'esperienza essenzialmente umana". L'adozione di questo approccio ha consentito di
riscattare l'esperienza dalla sua riduzione meramente sensibile e di dare quindi un rilievo
esistenziale alla parola biblica, comprendendo ciò che è essenzialmente umano nell'uomo concreto.
3. TRE RIFRAZIONI DI UN UNICO RAGGIO DI LUCE
Una prima prospettiva è quella che è stata aperta a partire dall'antropologia teologica e che ha
portato alla comprensione del "mistero nuziale", come struttura originaria non solo dell'amore
umano, ma di ogni forma di amore. La riflessione sull'esperienza originaria dell'amore, mostra che
il corpo, per la sua vitale apertura simbolica, rimanda sempre necessariamente ad una triplice
inscindibile dimensione dell'amore: la differenza sessuale, il dono reciproco di sé e l'apertura alla
comunicazione della vita. Si tratta di una dimensione trascendentale rinvenibile, secondo le regole
dell'analogia, in qualunque forma di amore da quello più elevato e divino a quello più deformato
dal peccato. Il tentativo di scardinamento dei fattori costitutivi dell'amore, proprio della cultura
pansessualista in cui siamo immersi, ha portato ad una scissione tra differenza sessuale e dono di sé
(sessualità scissa dall'amore), tra differenza sessuale e procreazione (contraccezione e fecondazione
artificiale), e ultimamente anche alla affermazione del possibile superamento della differenza
sessuale (teoria del gender). Se ne evince il compito urgente del pensiero cristiano oggi, in un tempo
di prova e di confusione: dare testimonianza della convenienza umana della scelta responsabile di
mantenere nella loro unità i fattori costitutivi del mistero nuziale; mostrare cioè che l'intreccio
indissolubile di differenza sessuale, dono reciproco di sé e apertura feconda alla vita corrisponde
all'esperienza originaria, la rispetta e quindi fa crescere l'umano.
Una seconda prospettiva, di carattere più metafisico, è quella che ha condotto
all'elaborazione di una ontologia del dono, come struttura stessa dell'essere creato. Il corpo è
testimone della "sacramentalità primordiale" dell'uomo e del mondo. Quella che Giovanni Paolo II
chiamò nella sue Catechesi "solitudine originaria" non ha primariamente un riferimento sessuale al
rapporto uomo/donna, ma all'originaria relazione dell'uomo con Dio. Il corpo ci parla innanzitutto
dell'origine da cui proviene: l'apertura verso Dio e la chiamata a una relazione filiale con Lui hanno
una priorità rispetto alla relazione sponsale. Nei termini di Joseph Ratzinger, l'amore filiale è il
contenuto (Inhalt) e l'amore sponsale è la conseguenza (Folge) dell'imago Dei. Ciò permette di
cogliere l'originaria recettività dell'essere creato, che è costitutivamente dono e che solo nel
riconoscimento dell'originaria trascendente sorgente dell'amore può a sua volta farsi dono di sé.
Una tale prospettiva non si limita quindi al livello antropologico, ma apre ad una comprensione
metafisica dell'essere stesso, nella luce di quell'Amore "che move il Sol e l'altre stelle", superando
la violenza riduzionistica e nichilistica della visione moderna, che considera il corpo dell'uomo e la
natura tutta come mera materia manipolabile arbitrariamente dal potere tecnologico.
Infine una terza prospettiva è quella aperta sul piano morale, che considera il corpo
nell'orizzonte dinamico dell'amore, come chiamata ad una pienezza di vita. Il corpo umano, come
afferma l'enciclica Veritatis splendor, partecipa alla soggettività morale della persona nella sua
integrità, in quanto porta «segni anticipatori, l'espressione e la promessa del dono di sé, in
conformità con il sapiente disegno del Creatore» (n. 48); esso, nell'incontro con la realtà e
soprattutto con quella realtà del tutto singolare che sono gli altri, è attraversato dalle passioni e dagli
affetti, che coinvolgono il cuore, determinando il movimento del desiderio verso la persona amata,
volto a raggiungere un'unione non solo affettiva, ma reale. Il riconoscimento delle dimensioni
metafisica, esistenziale e dinamica dell'esperienza dell'amore si condensa nei termini della
sequenza presenza (fondamento), incontro (evento), comunione (compito). Grazie alla mediazione
dell'affettività, diventa possibile l'assunzione reale della dimensione corporea della persona umana
secondo quella prospettiva del soggetto, che è tipica della morale. Ciò permette una ridefinizione
della vocazione all'amore dal punto di vista dell'identità personale, secondo l'itinerario che va dal
"riconoscersi figlio, per diventare sposo e giungere ad essere padre/madre", esprimendo così quel
complesso di relazioni umane basilari che marcano le azioni degli uomini a livello di legami
personali e non solo di natura. Appare dunque necessario vedere la stessa teologia del corpo in
quella luce che è l'amore stesso, perché solo così si scopre la pienezza del suo significato e il modo
adeguato di viverlo.
Le tre linee appena abbozzate, in cui si è sviluppata e documentata la fecondità della
teologia del corpo della grande Catechesi del mercoledì, non costituiscono peraltro delle prospettive
separate o estranee l'una all'altra. Sono piuttosto tre rifrazioni di un unico raggio luminoso, che
ultimamente svela l'unità della visione dell'amore in Giovanni Paolo II e che ha trovato la sua
espressione più sintetica nella sua enciclica inaugurale Redemptor hominis, con la peculiare formula
della "vocazione all'amore": «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un
essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non
s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E
perciò appunto Cristo Redentore rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso» (n. 10).
4. UN CAMMINO FECONDO, APERTO SUL MISTERO DI DIO E DELL'UOMO
La via del corpo e la via dell'amore puntano ultimamente e raggiungono il loro culmine in Cristo,
che ha dato il suo corpo per noi e ci ha rivelato l'amore. Il mistero dell'amore umano ha la sua
profondità nel mistero dell'amore divino. E' nel cristocentrismo che l'amore trova la sua
ermeneutica definitiva, e precisamente in quel cristocentrismo trinitario, che ha permesso lo
sviluppo delle tre grandi encicliche "teologiche" di Giovanni Paolo II: Redemptor hominis, Dives in
misericordia e Dominum et vivificantem . "La grazia di nostro Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio
Padre e la comunione del Santo Spirito": ecco la struttura teologica trinitaria, cui corrisponde la
struttura antropologica dell'amore: il fondamento nell'amore originario del Padre (presenza),
l'evento storico della rivelazione nel Figlio (incontro), la partecipazione personale nello Spirito,
mediante la Chiesa (comunione).
Intendere la grande Catechesi sull'amore umano nel piano divino non solo come un corpo
definito di dottrina riguardante la sessualità umana, ma come una via di accesso al mistero
originario dell'amore, che nell'orizzonte di una teologia cristocentrica e trinitaria, apre un accesso
nuovo a Dio e all'uomo… ecco il cammino da percorrere.
Michelangelo nella Cappella sistina, "santuario della teologia del corpo" è definito da papa
Wojtyła come non solo come il veggente, ma come il viandante. Egli ha compiuto per sé e per noi
quel cammino dello sguardo che porta a vedere che «l'invisibile si manifesta nel visibile. Un
Presacramento». Gesù, il grande Veggente, in cui noi tutti abbiamo accesso alla visione del Padre,
ci permette di ritrovare la luce originaria di Dio Creatore, in cui anche il corpo umano ritrova la sua
dignità e il suo splendore.
Commenti
Posta un commento