Zelensky stronca sul nascere la mediazione del Papa
Nico Spuntoni in "La Nuova Bussola" – 15 maggio 2023
Papa Francesco con la delegazione ucraina
Guerra e pace. Nei regali che si sono scambiati sabato pomeriggio, c'è simbolicamente tutta la distanza tra Francesco e Volodymyr Zelensky. Il primo ha fatto dono di una scultura in bronzo che raffigura un ramoscello di ulivo, il secondo invece ha optato per un'icona della Madonna dipinta sulla piastra di un giubbotto antiproiettile. Basta questo scambio a dare l'idea dell'esito dell'attesa udienza di due giorni fa.
Si può immaginare l'umore di Bergoglio, uno che considera la vendita delle armi come "la peste più grande del mondo", nel trovarsi di fronte agli uomini della delegazione ucraina in divisa verde militare, con pistola d'ordinanza in vista.
Il Papa ha accolto il presidente all'ingresso dell'Aula Paolo VI per un colloquio durato quaranta minuti in cui - ha fatto sapere la Sala Stampa della Santa Sede - si è parlato della "situazione umanitaria e politica" in Ucraina e durante il quale i due hanno convenuto sulla "necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione". I punti condivisi, tuttavia, sono finiti qui come più tardi ha spiegato lo stesso Zelensky intervistato su Raiuno da Bruno Vespa.
Dall'ex attore è arrivata una stroncatura della missione di pace a cui sta lavorando la Santa Sede. "Per me è stato un onore incontrare Sua Santità - ha detto il presidente ucraino - però lui conosce la mia posizione, la guerra è in Ucraina e il piano deve essere ucraino. Con tutto il rispetto, noi non abbiamo bisogno di mediatori, ma abbiamo bisogno di una pace giusta".
Parole che confermano come la visita in Vaticano sia stata una tappa obbligata del viaggio a Roma su cui Kiev aveva scommesso per poter sollecitare il sostegno militare del governo italiano. Se non ci fosse stata, d'altra parte, si sarebbe potuto parlare di sgarbo al Papa fatto dalla massima autorità di un Paese in cui i cattolici rappresentano quasi l'8% della popolazione.
Zelensky ha affidato a Telegram il racconto dell'incontro con Francesco, esplicitando ulteriormente le distanze con lui: "Ho chiesto al Papa di condannare i crimini russi in Ucraina, perché non ci può essere uguaglianza tra la vittima e l'aggressore". Una descrizione che lascia suggerire quasi un rimprovero de visu al Pontefice per le modalità di svolgimento delle due Via Crucis che tanto avevano fatto arrabbiare Kiev per la presenza di una donna russa accanto ad una ucraina. Ma non corrisponde a verità, a differenza di quanto è stato raccontato spesso sui media forse facendo passare questo messaggio anche alle cancellerie internazionali, l'immagine di un Papa reticente sulle responsabilità della guerra. In un'intervista alla rivista America, Francesco ha affermato senza titubanze che "chi invade è lo Stato russo, questo è molto chiaro", beccandosi in quell'occasione anche le critiche di Mosca per le sue parole su ceceni e buriati.
La distinzione tra vittima ed aggressore è perfettamente nota al Papa che però ha un'idea molto diversa da Kiev sul come arrivare ad una risoluzione del conflitto. "Credo che la pace si faccia sempre aprendo canali, mai si può fare una pace con la chiusura", ha affermato di recente nella conferenza stampa sul volo di ritorno dall'Ungheria. La stessa in cui ha reso pubblica l'esistenza di una missione di pace della Santa Sede su cui però Zelensky, proprio al termine della sua visita in Vaticano, sembra suggerire di non fare troppo affidamento se ha rivelato che a Bergoglio ha parlato della "nostra formula di pace come dell'unica formula efficace per raggiungere una pace giusta".
Tradotto: la pace passa da una vittoria militare ucraina ed una resa russa. "Non si può fare una mediazione con Putin, nessun Paese al mondo lo può fare", ha detto il presidente ucraino a Vespa. Non la pensa così Francesco che più volte si è detto disponibile ad incontrare Putin. E proprio all'inquilino del Cremlino si è rivolto in una lettera consegnata pochi giorni fa all'ambasciatore russo presso la Santa Sede uscente, Alexander Avdeev. Insomma, nei quaranta minuti in Vaticano il Papa ha fatto il Papa e il presidente di una nazione aggredita ha fatto il presidente di una nazione aggredita. Ma non c'è dubbio che dopo il colloquio di sabato pomeriggio, la strada della missione di pace della Santa Sede si è fatta più in salita.
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