Dalla seconda lettera di san Giovanni apostolo, 'Chi non rimane nella dottrina del Cristo, non possiede Dio' nella liturgia...mainvece chi rimane nella dottrina, possiede il Padre e il Figlio' nella Liturgia.
Lo spirito della liturgia nelle parole e negli atti della Beata Vergine Maria: "Mi limiterò alle parole dell'Annunciazione, alla sua silenziosa, interiore, eppure suprema e attiva partecipazione ai piedi della Croce e a quanto ella dice con tanto acume durante le nozze di Cana.
Peter Kwasniewski in "Nobile bellezza, sublime santità" – pp. 82 – 123
L'Annunciazione
La reazione della Vergine all'annuncio dell'arcangelo Gabriele che Lei partorirà un figlio dimostra senza ombra di dubbio come si sia già consacrata a una verginità perpetua: "Come è possibile? Non conosco uomo" (Lc 1,34). La maternità è impossibile, così Le sembra, dal momento che non ha alcuna intenzione di conoscere uomo; altrimenti avrebbe creduto che l'angelointendesse un figlio generato dal matrimonio con san Giuseppe. "Lo Spirito Santo scenderà su di Te, su Te scenderà la Sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,35) risponde l'angelo. In altre parole, questo figlio sarà frutto non dell'azione di un uomo, non sarà figlio di un uomo, ma verrà formato dall'azione diretta dello Spirito santo, frutto dell'onnipotenza divina e perciò degno di essere chiamato Figlio di Dio.
Questo dialogo ci offre una profonda lezione liturgica. La Chiesa cattolica è chiamata Corpo mistico di Cristo – un'estensione in spazio e tempo del mistero dell'Incarnazione. Qualcosa del genere può dirsi anche della sacra liturgia: essa è Cristosacramentalmente presente e operante in mezzo a noi, "irradiazione della Sau Gloria e impronta della Sua sostanza" (Eb 1,3), come Cristo del Padre. Attraverso di essa si fanno sacramentalmentepresenti e reali in mezzo a noi i misteri fisici della Vita, Morte, Risurrezione e Ascensione del Signore ed Egli stesso sacramentalmente ci tocca, corpo eanima, per guarirci e innalzarci. La liturgia è generata da Dio in mezzo a noi, formata anch'essa attraverso i secoli dall'azione incubatrice dello Spirito Santo sulla superficie delle acque umane (Gn 1,2). Non si tratta di una semplice creazione delle nostre mani o di un prodotto delle nostre fatiche o frutto di nostre profonde intuizioni, quanto piuttosto del dono gratuito di Dio, riversato nella nostra storia travagliata così come la carità è versata nei nostri cuori feriti dal peccato (Rm 5,5). La liturgia proviene, come testimoniano entrambi i Testamenti, in primo luogo dall'intervento di Dio, che feconda la Sua Sposa col seme della Parola. La liturgia nasce dalla ricettività verginale della Chiesa, che mantiene integrità e onore dal momento che sacramentalmente concepisce, partorisce e fa da madre al figlio come fisicamente è avvenuto fisicamente nell'Incarnazionestorica.
Se tutto ciò tocca veramente l'intima essenza della liturgia, ne segue allora che la visione liturgica come opera, in primo luogo, di mani umane, frutto del nostro genio, delle nostre capacità e di programmi pastorali – come se fossimo noi i creatori della liturgia, investiti di diritti paterni su di essa – è fondamentalmente sbagliata. La liturgia, in realtà, proviene da Dio, dalla liturgia eterna della Gerusalemme celeste e pertanto appartiene unicamente a Dio, che cela affida in custodia; essa ritorna a Dio, così come noi ritorniamo a Dio attraverso di essa, e porta con sé i nostri covoni al tempo della mietitura, l'incremento dei nostri talenti a Sua gloria. La Chiesa, sposa verginale di Dio, cosìGli si rivolge: "Come potrà sorgere la mia liturgia, dal momento che non conosco uomo che la generi?" – risponde con l'angelo Gabriele: "Non a un uomo o a un comitato spetta di formare la liturgia; essa è mia soltanto, celata nel grembo dei secoli, frutto di innumerevoli santi e sante mossi dallo Spirito di Dio, i quali ricevono umilmente e, ognuno secondo i propri talenti, adornano e o impreziosiscono questo patrimonio e infine tramandano fedelmente tutti i doni ricevuti. La Santa Madre Chiesa veramente non ha alcuna intenzione di "conoscere uomo", di trattare la liturgia come una "scelta" fatta da una coppia che usa metodi di pianificazione familiare o, cosa ancora peggiore, come un prodotto umano modificabile a piacimento, da smontare e rimontare come se si trattasse di un marchingeno, un edificio o giocattolo. Essa piuttosto conserva e preserva il santo seme affidatole, vi si sottomette interamente e lo tratta con la stessa riverenza con cui lava e unge sacramentalmente il Corpo del Salvatore, quando con amore e santo Timore tocca il Corpo e Sangue di Dio.
L'argomento tradizionale contro la ricezione da parte die fedeli laici dell'Ostia nelle mani, e contro la distribuzione dell'Eucarestia da parte dei laici, non ha niente a che fare con la questione se meritano e no di toccare il Corpo di Cristo con il loro corpo. Chiunque riceve la Santa Eucarestia viene sacramentalmente toccato da Nostro Signore e nessuna creatura è assolutamente degna di questo dono divino. Il problema concerne piuttosto la nostracomprensione di cosa sia, un ministero. Il sacerdote è un dono eletto da Dio, trasformato metafisicamente dal carattere indelebile del sacerdozio di Cristo, perché consacri, tocchi, distribuisca e abbia cura del Corpo sacramentale di Cristo e di tutto quanto vi perviene direttamente (come, per esempio, l'assoluzione di quei peccati che ci impediscono di ricevere il pane di vita). Le mani del sacerdote sono consacrate in maniera speciale affinché siano degne di realizzare questo meraviglioso compito per cui il sacerdote non è semplicemente il presidente dell'assemblea, ma il presbitero. Il laico, per converso, è autorizzato dal battesimo a ricevere il corpo di Cristo, ma non ad agire in persona di Cristo, non ad avere un potere ministeriale su di Esso presso l'altare o alla balaustra. Agire altrimentisignifica arrogarsi un'attività propria, per Suo dono e scelta, a Cristo Sommo Sacerdote e perciò insultarLo, in quanto si minano visibilmente i Suoi decreti così come la dignità dei Suoi ministri ordinati.
Ma ritorniamo ora alla scena dell'Annunciazione: vi possiamo vedere la Vergine pronunciare il proprio fiat, da cui dipende l'intera salvezza del mondo. "Ecco la serva del Signore: sia fatto di me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
Concentriamoci sulla duplice passività di queste parole. Ella non dice "Io farò questo o quest'altro", ma invece: "Sia fatto di me". Ancora, non "sia fatto di me secondo le mie parole" o "sia fatto di me secondo il mio intelletto", come se si contraesse un accordo tra pari, nel quale entrambe le parti hanno stabilito una mutua formula di accordo. No, ella dice "secondo la Tua parola". Ella non comprende fino in fondo tutto quel che questa parola contiene, richiede e presagisce. In realtà, è conscia di acconsentire a ciò che trascende in maniera assoluta la sua comprensione, e vi si sottomette.
Prendendo a prestito le parole di Dionigi Areopagita, il perfetto teologo "non solo apprende, a anche soffre le cose divine". La Santa Vergine incarna questo soffrire le cose divine.; lascia che le accadano, e accetta, riceve, accoglie e perciò concepisce Dio. Ed Egli può entrare interamente in Lei, fisicamente e sostanzialmente, poiché Lei Gli sidona nella propria umanità, cuore, anima, mente e virtù (Mc 12,30). Dio opera meraviglie nellacreazione, nella misura in cui trova nelle creature un'apertura al miracolo (Mc 6,4-5). Potremmo quasi riformulare la risposta della Madonna: "Che io soffra secondo la Tua parola", "rifoggiami, trasformami secondo la Tua Parola".
Questa formula illustra l'incredibile potere della spiritualità propria della liturgia tradizionale della Chiesa, orientale come occidentale. La liturgia, in quanto tale, ci è data come una parola di incommensurabile densità, come "emanazione della potenza di Dio" (Sap 7,25), come un Logos che siincarna in continuità in mezzo a noi, nelle nostre chiese, sui nostri altari, nelle nostre anime e nellenostre azioni. Noi dobbiamo, imitando la Theotokos(la Madre fisicamente di Dio), essere portatori di queta parola ricevuta. Né la creiamo, né la formiamo, piuttosto, proprio come la Madonna, la riceviamo da un altro, la soffriamo e perciò ne veniamotrasformati, proprio come la potenza viene realizzata dall'atto sacramentale.
Ne segue che, affinché la liturgia siasacramentalmente mariana come lo fu fisicamente e sia in grado di trasformarci a sua immagine, essa non può essere affatto soggetta al volere del sacerdote celebrante. Non può essere un'accozzaglia di opzioni, variazioni, adattamenti, espressioni estemporanee, improvvisazioni. Come giustamente afferma Joseph Ratzinger, "La grandezza della liturgia […] si fonda proprio sulla sua non arbitrarietà". La novità presentata nel Messale da diverse possibili opzioni tra cui scegliere, come se si prendesse parte a un buffet devozionale; la novità di permettere al celebrante di assemblea a partire da singoli moduli, o di improvvisare in diversi punti della Messa -una malleabilità che alcuni studiosi di liturgia ritengono essere la caratteristica (e addirittura il pregio) principale della liturgia riformata –modifica in maniera fondante l'intima identità del culto. In luogo del contegno mariano – "sia fatto di me secondo la Tua parola" – questo esprime un atteggiamento tutto moderno, fatto di creatività, autonomia e volontarismo: "Farò secondo la mia mente, la mia scelta e le mie parole". Col suo "non serviam", Lucifero avrebbe potuto anche dire: non voglio sottomettermi a un piano predeterminato, non mi conformerò al modello celeste (Es 25,9).
L'atteggiamento antimariano di Lucifero – di cui il grido non serviam" è l'epitome – assume forme diverse nel corso della storia. Nella sfera ecclesiastica prende la seguente forma: "Non voglio pre-servare, non con-serverò". Lucifero è il primo liberale, in quanto, rigetta ordine, disciplina, regole, rubriche e tradizione. Non è disposto a tramandare qualcosa che ha ricevuto; tutto, per quanto misero, banale o brutto, deve avere origine da lui stesso. Che stridente contrasto con l'ecce ancilla Domini di Maria! Ella sa di non essere la padrona, bensì l'ancilla, la serva: tanto basti a quei cattolici moderni che leggono le parole di Gesù – "non vi chiamo più servi [ … ] ma vi ho chiamati amici" (Gv 15,15) – fuori contesto e ne traggono la conclusione che nonsiamo più, in nessun modo servitori. La Madre di Gesù, l'essere umano più santo che vi sia mai stato, la più intima amica di Cristo, definisce Sè stessa un'ancilla, poiché sa e ama più di coloro che non desiderano appartenere completamente a un altro.
Il termine "demonio" deriva da una parola greca che significa "colui che divide". Satana divide. Una maniera in cui egli ha tenuto fede a questo suo titolo è il modo in cui ha diviso i cattolici dal loropatrimonio e dalla loro tradizione cosa che ben si conviene al suo piano liberale di convincere ogni generazione a essere autonoma dalle generazioni passate, e ogni individuo a essere autonomo da Dio, dal prossimo e dai propri antenati. Il diavolo è per sempre sradicato, per sempre senza radici (ed è perciò stesso che "come leone ruggente va in girocercando chi divorare") e vuole divellerci tutti. La sua più grande vittoria non è costituita dalla nostra schiavitù a pornografia, alcol o droghe. Certo, queste cose sono malvagie, hanno distrutto molte vite e portato molte anime alla dannazione; molto peggio è però quando egli ci impedisce la possibilità di conversione e contemplazione, tagliandoci fuori dallatradizione cattolica in cui possiamo ritrovare tutte le medicine, il cibo, le bevande e le vesti di cui abbiamo bisogno per curare la nostra malattia e poter vivere personalmente una vita secondo la volontà di Dio.
La liturgia, e perciò la Chiesa stessa, non tornerà ad essere sana – e laddove essa appaia in buona salute, non sarà in grado di rimanere tale contro i sempre più violenti e demoniaci attacchi della modernità – fintantoché il clero non si sarà sottomesso al Logos che trova espressione nei riti tradizionali, nella loro stabilità di forma, nellachiarezza delle formule, nel tesoro inestimabile di sante preghiere, ortodossia evidente, orientamento trascendente e bellezza senza paragoni. Anche questo esprime San Paolo: "Prendi come modello le sane parole che hai udito da me con la fede [ … ]Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi" (Tm 1,13-14). Quando il rito richiede al celebrante l'assoluta sottomissione alle preghiere, ai gesti e alle cerimonie, esso lo "inghiotte", come il pesce di Giona e occulta nei propri ampi confini, così che scompaia nel bagliore splendente di Cristo: "Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Cristo solo" (Mt 17,8). Quando il celebrante si sottomette del tutto a questo rito, egli entra in quella kenosis, quello svuotarsi disé di Cristo; più di tutto, egli diventa un alter Christus che agisce attraverso di lui, mediatore tra l'uomo mutevole e l'immutabile Dio. Egli esercital'umiltà testimoniata dalle parole di San Giovanni Battista: "Egli deve crescere e io invece diminuire" (Gv 3,30). Da ciò viene l'importanza vitale del recupero dell'orientamento tradizionale del sacerdote non semplice presidente dell'assemblea che, quando giunge il momento del Sacrificio, dovrebbe essere rivolto a est insieme al popolo che sta conducendo a Cristo.
Il cardinale Sarah ha parlato magnificamente della connessione tra il silenzio e celebrazione ad orientem, con espressioni che sottolineano l'inscindibile connessione tra esteriore ed interiore, simbolo e realtà, uso liturgico e formazione spirituale.
Il silenzio liturgico è una disposizione radicale ed essenziale; una conversione del cuore. Convertirsi, etimologicamente, è rivolgersi, voltarsi verso Dio. Non c'è un vero silenzio della liturgia, se noi non siamo – con tutto il nostro cuore -rivolti verso il Signore. Bisogna convertirsi, rivolgersi verso il Signore, per guardar Lo, contemplare il Suo volto e prostrarsi ai Suoi piedi per adorar Lo. Abbiamo un esempio: Maria Maddalena ha potuto incontrare Gesù al mattino di Pasqua, perché si è rivolta verso di Lui: "Hanno portato via il mio Signore, e non so dove l'hanno posto". "detto questo si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi" (Gv 20,13-14). Come entrare in questa disposizione interiore se non volgendoci fisicamente, tutti insieme, sacerdoti e fedeli, verso il Signore che sacramentalmente viene, verso l'oriente simboleggiato dall'abside dove troneggia la croce? L'orientamento esteriore ci porta all'orientamento interiore, simboleggiato da quello. Fin dai tempi apostolici, i cristiani hanno conosciuto questo modo di pregare. Non si tratta di celebrare con le spalle o di fronte al popolo, ma verso l'oriente, ad Dominum, verso il Signore. Questo modo di fare favorisce il silenzio.
È proprio l'inflessibilità delle forme liturgiche tradizionali a dare loro un irrefrenabile potere di formarci, trasformarci ed essere il nostro centro di riferimento, la roccia su cui i nostri cuori senza riposo possono agganciare la propria àncora. Noi, così instabili, così involti nelle nostre mutevoli emozioni e miseri pensieri, abbiamo bisogno di un fondamento stabile di preghiera, ricco, che risuoni di tutta la pietà e sapienza di secoli. Solo così possiamo giungere alla calma, arrivare al porto che rassomiglial'approdo eterno. Solo così possiamo ricomporci, per così dire, e raggiungere una pienezza che, se lasciati in balia dei nostri semplici mezzi, non potremmo mai sperare di sperimentare. La liturgia perenne è fonte disanità e stabilità per la Chiesa sballottata da tempeste, travagliata per eresie, assalita dalla tentazione di compromettersi col mondo, la carne e il diavolo. Essa è una perla di grande valore anche nella più pacifica delle epoche, ma in tempi di confusione e malizia come quelli in cui ci troviamo è un'imprescindibile arca di salvezza, fortezza di verità, torre di forza, un raggio di luce, a cui possiamo applicare le parole dell'Epistola agli Ebrei: "Perciò, poiché noi riceviamo in eredità un regno incrollabile, conserviamo questa grazia e per suo mezzo rendiamo un culto gradito a Dio, con riverenza e timore" (EB 12,28).
Alla liturgia tradizionale si possono anche adattare e applicare le parole con cui, nell'omonimo libro, si descrive la Sapienza:
È un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente; per questo nulla di contaminato in essa s'infiltra. È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della Sua bontà. Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo in sé stessa, tutto rinnova e attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti (Sap 7,25-27).
La liturgia intesa rettamente è l'alito della potenza di Dio, emanazione della Sua gloria, di cui ci dà un'anticipazione, conducendoci alla Terra Promessa. Niente che sia corrotto, disordinato, erroneo, eretico o dannoso può trovare spazio nei riti liturgici della tradizione cattolica, organicamente innalzata dallo Spirito Santo e da Lui preservati dalla corruzione, come è stato anche per la verginità della Madonna. La liturgia riflette Colui che ha chiamato Sé stessoluce del mondo, rispecchia senza macchia il Cristo, in quanto presenta i Suoi misteri non come vana commemorazione, bensì come segni efficaci che ci uniscono direttamente e immediatamente alla lororealtà sostanziale. Così la liturgia terrena, pur limitata in spazio e tempo, può compiere tutto ciò che Cristo ha compiuto e tuttora compie, rinnovando ogni altra cosa mentre rimane sé stessa – e anche rimane fedele a sé stessa. La liturgia è come un punto d'Archimede che muove l'universo in quanto rimane fisso. Attraverso il Santo Sacrificio, i sacramenti e i sacramentali, l'eterna sapienza incarnata si trasmette ad anime sante in ogni generazione, facendole amiche di Dio, anime profetiche.
Prima tra tutti questi santi amici di Dio è la Beata vergine Maria. Ella pure, proprio come San Giovanni Battista era stato un profeta e anche più di un profeta (Mt 11,9 Lc 7,26), è più che una semplice partecipante ad ogni liturgia. Nella propria stessa persona Lei è una vera e propria liturgia vivente, la dimora in cui il Signore ha deciso di fare il proprio ingresso continuamente nello spazio e nel tempo, assumendo sacramentalmente carne e sangue in mezzo a noi. Ella è divenuta il ponte fra Cielo e terra, tra Dio e l'uomo. Non sacerdotessa, ma la condizionestessa affinché il sacerdozio sia possibile -anche il sacerdozio del Suo stesso Figlio, in un certo qual modo. Attraverso la maternità divina Lei è superiore a qualsiasi sacerdote ministeriale, più grande di qualsiasi vescovo o papa, eppure del tutto distinta dai sacerdoti, in una categoria del tutto a parte rispetto ai membri della gerarchia ecclesiastica. Ella dà origine alla gerarchia, l'alleva, educa e guida, l'avvolge del proprio manto protettore. L'intera Chiesa è un bambino nel ventre e tra le braccia della Madonna. Ella è di molto superiore alle nostre strutture; anzi, ne costituisce addirittura l'essenza stessa, il significato e la ragione d'essere, insomma tutta la loro bontà. Nel senso che tutto ciò che, in queste strutture, vi è di buono, santo e bello è già contenuto ed esemplificato dalla Vergine Maria, nelle perfezioni del Suo corpo e ancor più della Sua anima. La Chiesa è, per così dire, un riflesso o una manifestazione esteriore della pienezza della divina maternità verginale di Maria. Le donne sono poi rivestite del privilegio di una naturale somiglianza alla santa Vergine nella propria femminilità, somiglianza che sotto l'influsso della grazia, può divenire addirittura soprannaturale.
È per questa ragione che la richiesta del coinvolgimento o dell'attività delle donne nel presbiterio – sia come sacerdotesse (cosa di per sé impossibile) o diaconesse (cosa quantomeno equivoca e portatrice di confusione), sia pure di semplice ruolo di funzionare in una miriadi di ruoli minori – non solo dimostra priorità disordinate, ma addirittura costituisce un assalto alla stessa metafisica divina, alla logica dell'Incarnazione, all'etica della nostra risposta mariana e alla stessa poetica della liturgia. Questo modo di pensare è anch'esso, in un certo modo, una maniera per dire non serviam: non voglio servire alla relazione tra Padre e Figlio, all'azione discendente del Logos, alla ricezione della tradizione (ovvero il passaggio del Logos di generazione in generazione), al simbolismo naturale e sovrannaturale dei riti; non servirò allasupremazia della Vergine e al ruolo verginale e materno della donna nell'ordine della creazione; non servirò alla supremazia di Cristo e al ruolo vicario dell'uomo nell'ordine della redenzione; non servirò alla stessa distinzione dei sessi, la quale rende possibile la rivelazione dell'amore preferenziale e passionale di Dio per noi e dell'irruzione nel nostro mondo del miraculum miraculorum, l'Incarnazione del Verbo.
L'eterna contraddizione dinnanzi all'atteggiamento di satana è il fiat della Madonna – sia fatto di me secondo la Tua parola. Questofiatassume caratteristiche particolari a seconda dellediverse categorie di cristiani.
(1a) Per le donne questo fiat consiste nella ricezione e sottomissione all'ordine della liturgia, il quale imprime in noi, in maniera sempre più profonda, il carattere verginale, sponsale e materno della vita cristiana e, in particolare, dellaSanta Vergine. Tutti i cristiani ricevono e vivono questa identità mariana, ma le donne hanno il privilegio di farlo in maniera esistenziale, in unamaniera corporea, in modo da diventare sacramenti viventi della divina maternità di Maria – cosa che nessun essere umano di sesso maschile può dire di sé.
(1b) Per gli uomini, all'opposto, questo fiat include la possibilità di essere chiamati dal Signore ad agire in persona Christi cioè a una partecipazione ai Suoi poteri sacerdotali e di rappresentare ed esercitare il Suo sacerdozio presso l'altare del Sacrificio. Una risposta libera e affermativa a questa chiamata non significa cessare di essere mariani, quanto piuttostocomporta una vita vissuta pienamente secondo l'atteggiamento della Vergine anche con ilcelibato; non diventando "agenti del cambiamento" o "attori" nel senso moderno dei termini, bensì "pazienti del cambiamento", persone cioè destinate a essere cambiate a immagine di Cristo a motivo dell'ordinazione sacerdotale e della disciplina della sacra liturgia. "La disciplina mi corresse in ogni tempo, e la tua disciplina stessa mi istruirà" (Sal 17,36).
Il filosofo Aristotele definisce così la condizione dello schiavo: "uno schiavo è uno strumento vivente". Così anche il sacerdote, utensile vivente di Gesù Cristo. Egli presta le proprie mani perché siano le mani di Cristo, la voce perché sia la voce di Cristo, i pensieriperché siano i pensieri di Cristo; non c'è, né dovrebbe esserci niente di lui dall'inizio alla fine, a parte quando la Chiesa gli permette magnanimamente di indugiare per un attimo in silenzio sulle proprie intenzioni speciali, per il bene dei vivi e morti. Chi non appartiene alla nostra religione rimane talora stupefatto, scandalizzato perfino, dinnanzi alle cerimonie della Messa; tutto vi è così meccanico, dicono. Ma, vedete, essa deve essere meccanica. Chi vi assiste non sta guardando un uomo, bensì un utensile vivente; questo si gira da questa e quell'altraparte, si piega e raddrizza, gesticola, il tutto in obbedienza a un ordine precostituito – l'ordine di Cristo, non il nostro. La messa è celebrata al meglio – come ben sappiamo noi cattolici – viene detta in maniera tale che non ci rendiamo conto di come venga detta: non ci aspettiamo eccentricità da un utensile, dall'utensile di Cristo.
In quanto utensile vivente, il sacerdote deve assolutamente evitare atteggiamenti di attivismo liturgico ed extra liturgico, che esprimono una mentalità caratterizzata da supremazia prometeica e neo pelagiana, assorbita in sé, in tutto contraria alla spiritualità mariana. Questo attivismo coinvolge tutte quelle forme di manipolazione, sfruttamento e narcisismo liturgico che negli ultimi cinquant'anni, hanno sfigurato il volto della Sposa di Cristo e ne hanno deformato l'azione.
Per noi tutti, la Madonna mostra come l'azione procede dalla contemplazione, per poi ritornarvi; come qualsiasi opera che intraprendiamo per Dio debba essere sospesa come un ponte a collegare quei punti fermi della preghiera liturgica e della preghiera personale; come le nostre affannate fatiche debbano essere orientate verso un santo riposo, dal momento che questo pellegrinaggio terreno ha come fine il nostro destino eterno. La Vergine Maria non fu come Santa Marta, occupata in tante attività e che pure si lamentava di non ricevere alcun aiuto. Secondo le parole di san Luca, invece, "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19; Lc 2,51). Quello che per lei contava più di tutto era la verità immutabile di Dio e il suo riflesso sul volto di Gesù. A questo fine Lei ha rivolto, con gentilezza eppure fermamente, ogni altra cosa – Lei era, per così dire, sempre e costantemente rivolta ad orientem. Noi dobbiamo, nel nostro atteggiamento interiore riguardo alla liturgia, nella nostra effettiva pratica del culto, nelal disposizione delle nostre vite, imitare e interiorizzare questo orientamento teocentrico e cristocentrico della Beata Vergine Maria.
Dove riscontriamo questo atteggiamento dellaMadonna più che in ogni altra occasione? Stabat Mater dolorosa, iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat Filius. "Stava Maria dolente, sotto la croce lacrimante, donde pendeva il Figlio". Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum, ut sibi complaceam. "Fa ch'arda il cuor mio nell'amare Cristo Dio, onde a Lui io sia gradito".
Ai piedi della Croce
Sul Calvario possiamo vedere l'intima realtà, l'archetipo del Santo Sacrificio della Messa, e cioè la sanguinosa e vivificante Passione del Figlio di Dio, per i cui tormenti siamo sanati, nel cui Sangue siamo lavati dai nostri peccati, dal cui Corpo portato in offerta siamo resi sacrificio di soave odore. San Giovanni dedica due sobri versetti del proprio Vangelo al piccolo gregge costituito dalla congregazione radunata sul Golgota:
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il Tuo figlio!" Poi disse al discepolo: "Ecco la tua Madre!" E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. (Gv 19,25-27)
Proviamo ad analizzare alcuni aspetti di questa scena. In primo luogo, né il nome della Madonna, né il nome di Giovanni vengono menzionati, ma solo si dice "donna" e "il discepolo che Egli amava". Ciò ne sottolinea l'anonimato: essi sono come velati dinnanzi a questo termendo mistero; sono sublimatiin esso, si perdono in Cristo, Come san Paolo: "Voi, infatti, siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!" (Col 3,3).
La narrazione riferisce che essi stavano ai piedi della Croce. Dal momento che non dobbiamo leggere questo passo come una sorta di prototipo di un'effettiva liturgia, non possiamo giungere alla conclusione che dovremmo stare in piedi per tutta la durata della Messa – per quanto i bizantini effettivamente rimangano in piedi durante la liturgia,anche se per una ragione differente, e cioè perché celebrano la Risurrezione, l'anastasis (che altro non significa che il rialzarsi). Qui sul Golgota la posizione eretta significa attenzione, completo dono di sé dinnanzi alla realtà presente. Maria e Giovanni assistono, per usare una magnifica cantica espressione, al Sacrificio di nostra Signore. Non parlando, cantando o muovendosi di qua e di là, ma semplicemente essendo presenti a Gesù nel profondo della propria anima. Assistiamo qui perciò alla "forma platonica" della partecipazione attiva -partecipatio actuosa: un ingresso nel mistero non per una via principalmente o fisica, bensì interiore e metafisica. Per dirla altrimenti, l'esemplare della Messa (e, in generale, della liturgia) non è l'Ultima Cena, ma il Sacrificio di Cristo sulla Croce. Questo è quel che distingue la visione cattolica della liturgia da quella protestante. Il verso tanto spesso citato "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20) è in realtà realizzato quanto più perfettamente sul Calvario: Maria, Madredi Gesù, Maria di Cleofa, Maria Maddalena e Giovanni sono raccolti ai piedi della Croce, e Gesù è lì in mezzo a loro., realmente, veramente, sostanzialmente presente nell'offerta alla Santissima Trinità del proprio santissimo Corpo e Sangue per la nostra salvezza. Questo ovviamente non significa che no debbano essere degli atti esteriori, parole e canti. Tuttavia, ciò ci insegna che l'atteggiamento proprio di chi assiste a Messa deve essere uno di recettività mariana e di contemplazione alla maniera di San Giovanni, e che i segni visibili e sensibili dellaliturgia, come le nostre risposte fisiche ad essi, che tutto insomma deve essere al servizio dell'adorazione dell'Agnello, dell'accoglienza dello Sposo, allamaniera della madonna e di Giovanni. Quando san Luce ci dice che "Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore", egli non fa che confidarci il segreto stesso dell'impareggiabile partecipazione della Vergine ai misteri di Cristo. Sì, quanto Lei stessa ci rivela è che "l'anima Mia magnifica il Signore, e il Mio spirito esulta in Dio, Mio Salvatore" (Lc 1,46), come dire che la Sua lode a Dio è interiore, nascosta nelle profondità dell'anima e dello spirito, e che questa, per una sorta di eccesso, erompe nel grande inno del Magnificat.
In un diario che raccoglie rivelazioni private – pubblicato con approvazione ecclesiastica – NostroSignore si esprime con le seguenti parola:
Mi sono offerto AL PADRE DALL'ALTARE DEL Cuore Addolorato e Immacolato di Mia Madre. Lei ha accettato ed ha acconsentito a portare tutto il peso del Mio sacrificio, a essere luogo stesso da cui il Mio olocausto d'amore è divampato. Per proprio conto, Lei ha offerto Sé stessa con Me al Padre dall'altare del mio sacratissimo Cuore. Là si è immolata, diventando una vittima assieme a Me per la Redenzione del mondo. La sua offerta nel Mio olocausto è avvampata per la discesa dello Spirito Santo. Così, dei nostridue cuori ne son divenuti due altari, da cui è salita la dolce fragranza di una singola offerta: La Mia oblazione sull'altare del Suo Cuore, e la Sua oblazione sull'altare del Mio. Questo è quel che, in altre parole, dici quando parli di Mia Madre come della Corredentrice. I nostri cuori cuori hanno formato un unico olocausto d'amore nello Spirito Santo.
Questo passo straordinario enfatizza l'unità del sacrificio di Cristo e di Sua madre. Il racconto del Vangelo di Giovanni, mentre testimonia quest'unità, descrive pure la differenza tra l'agente principale, Cristo Eterno Sacerdote, e i membri del Suo Corpo, Maria e Giovanni. Essi pure offrono l'Agnello senza macchia, ma non allo stesso modo in cui Egli Lo offre nella propria stessa Persona, in agonia sulla croce. Giovanni, ovviamente, è un sacerdote, ma questa volta, durante il Venerdì Santo, assiste, per così dire, "dal coro". La Madonna poi, come abbiamo già notato, è superiore a qualsiasi sacerdote, ma non osa "competere" con l'atto da Sommo sacerdote del Figlio. Ella, a dire il vero, non pretenderebbe mai per sé il dono e mistero che Gesù ha riservato ai Suoi apostoli nel momento in cui li hafatti sacerdoti, preasbiteri non presidenti – il potere cioè di agire in persona Christi capitis, nella persona di Cristo, Capo della Chiesa. La Theotokos, la madre di Dio è, in quanto tale, superiore al sacerdozio, tuttavia vi si sottomette volontariamente durante il proprio pellegrinaggio terreno, in cui atto di riverenza nei riguardi del Figlio, del quale il sacerdote porta in sé l'immagine. In principio Maria ricevette fisicamente Gesù direttamente dal Padre, ma dopo l'istituzione della Santissima Eucarestia, Maria ricevette sacramentalmente Gesù dalle mani di Giovanni, che le ha amministrato la Comunione fino all'Assunzione.
Il trio di Gesù, Maria e Giovanni presso la Croce rappresenta la vita liturgica della Chiesa nella sua forma primordiale e nonché nella sua fonte perenne; e in esso possiamo vedere il mysterium fidei, il mistero di sacrificio, carità, trasmissione, continuità, maternità e figliolanza, unità e diversità, anticipazione, consumazione e perpetuazione. Tutto ciò che nella prassi liturgica della Chiesa vi è di buono – ovvero la sua "ortodossia", nel senso originale del termine – può essere trovato, in forma esemplare, in questa icona. E tutto ciò che vi di errato nella prasso contemporanea – il miscuglio confuso di archeologismo artificiale, novità, deformazioni, banalità e, in generale, monotonia o piattezza – trova qui ai piedi della Croce l'amara ma salutare medicina, la cura che con severa misericordia taglia via i nostri folli esperimenti. Nostro Signore ci chiede oggi di imitare il figliol prodigo che, dopo aver guastato una cospicua eredità, suo proprio patrimonio, si svegliò con stupore e volle tornare dal padre, che lo ristabilì nella famiglia con una sontuosa festa sacramentale.
Possiamo ora sottolineare un ultimo aspetto del Calvario. Nonostante non vi mancasse, con tutta probabilità, una certa misura di rumore di sottofondo -il parlare grezzo dei soldati romani che si giocavano a sorte gli indumenti di Gesù, talora la canzonatura di uno scriba o fariseo – l'impressione che si ricava dal racconto evangelico della Passione è quello di un'immobilità numinosa, di un silenzio pervasivo che avvolse il monte come la nube oscura del Sinai. Quando Gesù parla, la Sua voce penetra il silenzio, echeggia i pensieri profondi dell'Amore crocefisso, come una cateratta d'acqua che frantuma i cuori induriti come rocce e impregna il tessuto dei cuori teneri. E viene allora in mente l'atmosfera di una Messa bassa privata, o di una Messe solenne secondoil rito romano tradizionale: nella prima si riscontrauna quiete suprema, nella seconda un maestoso e autorevole accento, che forza i presenti a prestare attenzione: "voi tutti che passate per la via, considerate e osservate…" (Lam 1,12).
Possiamo essere sicuri che, ai piedi della Croce,non vi sia stato un grande chiacchericcio didascalico. Vi è qualcosa di tremendamente allarmante nell'affaccendarsi alla maniera di Marta, nella mancanza di attenzione e "sonorità", e in quel miscuglio di ruoli proprio della liturgia riformata. Il cardinale Sarah ci ha recentemente ricordato – e questo ha tatto eco a molte altre voci implorante negli ultimi anni – come una liturgia del rito romano cui machi un silenzio sostanziale che merga dall'interno della propria stessa struttura e spiritualità, sia una liturgia incapace di metterci a confronto col mistero di Dio, intehraci a noi stessi in quanto figli di Dio e connetterci l'uno con l'altro in quanto membri del Suo Corpo mistico. Papa Benedetto ha detto:
Infatti, la parola [di Dio] può essere pronunciata e udita solamente nel silenzio, esteriore e interiore. Il nostro tempo non favorisce il raccoglimento e a volte si ha l'impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa. Per questo è necessario oggi educare il Popolo di Dio al valore delsilenzio. Riscoprire la centralità della parola di Dio nella vita della Chiesa vuol dire anche riscoprire il senso del raccoglimento della quiete interiore. La grande tradizione patristica ci insegna che i misteri di Cristo solo legati al silenzio e solo in esso la parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della parola e del silenzio. Le nostre liturgie devono facilitare questo ascolto autentico: "Con la crescita del Verbo, vengono meno le parole".
Ogni forma di silenzio e pace nel rito romano moderno sarebbe un più che benvenuto cambiamento rispetto alla verbosità e attivismo senza fine; vi è tuttavia un problema che non possiamo semplicemente mettere da parte con disinvoltura, e cioè il silenzio è parte importante della liturgia antica, che riposa ai piedi di Cristo con Maria di Betania, mentre nella nuova liturgia il silenzio è una sorta di accrezione, come una forma di momentaneo riposo dalla fatica – Marta che tira il fiato. Nella liturgia riformata il silenzio, se pure è presente, è solitamente una pausa o cesura un po' imbarazzante, introdotta nelle faglie dei moduli da cui la liturgia sapienziale è composta. Il sacerdote, per esempio, una volta terminata l'omelia, semplicemente rimane seduto per alcuni istanti, nella pretesa che la congregazione si imbeva della sua parola pregne di sapienza. Questo è un tipo di silenzio artificiale dellaliturgia. Il vero silenzio si dà quando il sacerdote o un altro ministro compie le proprie azioni ministeriali i silenzio o sotto voce, di modo che i fedeli possano, per così dire, attaccarsi al lembo della sua veste e unirsi all'azione. Padre James Jackson spiega bene la differenza:
Il silenzio mantenuto qui dal sacerdote (quando cioè pone il calice velato sull'altare e apre il messale al principio della Messa) e in altri momenti della sacra liturgia non è assenza di suono. Esso non presenta dei vuoti; è come un unico grande cantico, in cui il silenzio opera come un velo acustico steso sull'intera liturgia per rivelarne l'essenza. Il ritogregoriano non conosce introduzioni artificiali del silenzio nella liturgia per mezzo dell'aggiunta di pause. Quando il silenzio è totalmente a discrezione del celebrante, esso, invece di essere sottomesso al rito, si trasforma nell'attesa del sacerdote da parte dell'intera congregazione, che fantastica su cosa oradebba mai seguire. Il silenzio è, nel rito gregoriano, parte integrante della Messa, stabilito dalla Chiesa attraverso uno sviluppo di due millenni. Quel che invece nel nostro rito appare essere silenzio, in verità non lo è; e si tratta piuttosto del sacerdote che prega a Dio a bassa voce.
Lo si potrebbe chiamare un "silenzio gravido", dal momento che è parte del rituale ed è ripieno del suo significato. Il silenzio innaturale, per converso, è quasi come un aborto spontaneo o un uovo non fecondato. Un altro paragone potrebbe essere il seguente: un buddista può rimanere seduto e in silenzio molto a lungo, ma il suo non è un silenzio cristiano; allo stesso modo, un sacerdote può rimanere seduto e in silenzio a lungo, ma non si trattadi un silenzio liturgico. Così si esprime William Mahart:
Esistono dei silenzi morti come dei silenzi vivi. Talora ci viene detto che ci deve essere del silenzio nella liturgia, e allora il sacerdote si siede e non succede niente, e tutti aspettano che lui si rialzi; questo è un silenzio morto. D'altra parte, in un concerto di musica sacra di grande livello, allafine del pezzo sopraggiunge un sereno silenzio; nessuno osa, per lunghi attimi, applaudire; è, questo, il primo momento in cui si ascoltano l'intero pezzo e se ne è compresa la bellezza. Allora tutti possono dire: "Oh, così suona il pezzo nell'insieme; è meraviglioso". Questo silenzio è un istante di estrema importanza, un'attività comune. Si tratta di un silenzio vivo, pieno di senso, a tal punto che si può essere tentati di disprezzare chi per primo incominci ad applaudire, così rompendo il silenzio. Un silenzio simile si ritrova nella liturgia, per esempio durante la consacrazione, dopo la comunione, dopo il Graduale e l'Alleluia.
Poiché solo la liturgia tradizionale richiede che i versetti inter lezionari siano cantati integralmente nella Messa solenne, che il Canone sia silenzioso e le abluzioni siano sufficientemente meticolose da offrire attimi di quiete dopo la comunione, mentre la liturgia moderna è prona a morti silenzi, possiamo vedere ancora una volta come restaurazione di questa dimensione cruciale della liturgia sia direttamente legata al recupero dell'usus antiquior.
È qui il caso di aggiungere che noi, quando la liturgia è privata di quel "sobrio inebriamento" che viene dall'uso del canto gregoriano e, più in generale, dallo splendor veritatis di bellezza che le si confà. Abbiamo allora una ben minore possibilità di essere smossi dalla nostra compiaciuta mondanità o di conoscere la pace nel mezzo della nostra agitazione rumorosa. Privati delle risorse della tradizione che occupano i sensi, l'immaginazione, l'intelletto, noi, anche se prendiamo parte al banchetto, ci lasceremo ogni volta sfuggire il più dolce e inebriante vino, che solo si può gustare nella meditazione e nella contemplazione. Le gioiose parole del salmista si adattano per contro magnificamente a coloro che godono di queste risorse della tradizione: "si saziano dell'abbondanza della tua casa e li disseti al torrente delle tue delizie" (Sal 35,9).
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