'Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima visione solo il proprio io e le sue voglie'

Antonio Socci in "Libero" – 19 febbraio 2023
La celebre affermazione, che il cardinale Joseph Ratzinger fece in apertura del Conclave del 2005, resta il giudizio più forte e lucido sull'epoca che viviamo. Fotografa l'ideologia egemone in tante istituzioni internazionali, professata dal "partito globale" del "politically correct". Gli anni trascorsi da quel 2005 hanno confermato le parole del cardinale che, da quel Conclave, sarebbe uscito papa come Benedetto XVI.

Purtroppo si crede che il pensiero di Ratzinger che ho riportato esprima semplicemente un punto di vista cattolico, come se fosse una critica confessionale ai tempi sempre più secolarizzati, perciò irrilevante per chi non è cattolico. Ma in realtà non è così.

Il "relativismo" non è tanto (o solo) un problema per la Chiesa, ma lo è anzitutto per i fondamenti antropologici della civiltà occidentale nata dal pensiero filosofico greco, quindi è un problema per la ragione e per la polis che su quelle basi culturali è stata costruita.

Lo si evince bene dal libro "Umanesimo e teologia" di Werner Jaeger, che riproduce una sua memorabile lezione del 1943. È stato oggi opportunamente ripubblicato da Vita e Pensiero con una preziosa presentazione di Carlo Ossola.

Jaeger, che fu docente di studi classici nelle università di Berlino, Kiel e di Basilea, nel 1936 lasciò la Germania per trasferirsi negli Stati Uniti. Ad Harward fu direttore dell'Institute for Classical Studies. Fra le sue opere più importanti bisogna ricordare "Paideia", ma anche il libro su Aristotele tradotto da Guido Calogero nel 1935. Morì a Cambridge nel 1961.

Al centro del volume di cui parliamo sta la parola "umanesimo". Jaeger osserva che "un gruppo di moderni pensatori ha adottato la parola 'umanesimo' in questo nuovo senso di filosofia agnostica" e questo "non è che un ritorno agli antichi sofisti greci".

La "dottrina relativistica" dei sofisti si basava su una "radicale mancanza di certezza" sulla "aeterna veritas" e "ai giorni nostri molti studiosi credono che l'umanesimo si identifichi con questa visione antropocentrica".

Jaeger spiega che "contro la paideia dei sofisti e dei retori" da cui "sono derivate le forme relativistiche dell'umanesimo moderno… si affermò la paideia di Socrate, Platone e Aristotele".

Lo studioso sottolinea che "l'umanesimo dei Sofisti appare non già il culmine, bensì il simbolo del declino della civiltà greca. Essi diedero infatti inizio a un periodo di disintegrazione sociale e intellettuale". E questo va tenuto presente per capire l'opposizione ai sofisti di Socrate, Platone e Aristotele.

Per questi tre grandi, "Dio" significa la certezza dell'oggettività del Bene, della Verità e del Bello che trascendono la tumultuosa realtà sensibile e il tempo. Senza "Dio" non c'è ordine, né razionalità, né scienza, né Polis.

"Ristabilendo la certezza di Dio come principio supremo del mondo naturale e sociale, Platone e Aristotele, sulle orme di Socrate, non intendevano ritornare all'età mitologica", scrive Jaeger, "volevano piuttosto rivelare quell'essenza indistruttibile della realtà che la religione, nella sua fase arcaica, aveva simbolizzato in forma mitica".

Così la ragione (logos) si accosta "a quella realtà che la religione chiamava theos", cioè Dio e "il risultato di questo sforzo dell'intelletto venne definito theologia". Infatti "colui che inventò questa parola e che fece di questo nuovo concetto il centro di tutto il pensiero filosofico fu Platone".

Aristotele l'ereditò da lui e "chiamò 'teologia' la sua filosofia prima, perché è la parte della filosofia che trascende il mondo fisico". Solo successivamente fu chiamata "metafisica".

Jaeger sottolinea: "furono dunque i Greci, fondatori della filosofia e della scienza, che portarono nella vita intellettuale dell'umanità questa nuova forma di rapporto razionale con il mondo sovrumano".

I Sofisti non si erano occupati "di indagare la natura delle cose divine", volevano essere solo "maestri di virtù civiche", dunque "una scienza sociale senza alcuno sfondo metafisico".

Socrate, spiega Jaeger, "dimostrò loro che, nella sfera pratica dell'educazione, non c'è spazio per la sfiducia nella ragione, perché una vera educazione (…) esige un fine verso il quale dirigere l'azione umana e una certezza intorno al bene che si intende raggiungere.L'affermazione di Protagora secondo cui l'uomo stesso è la misura di tutte le cose non è che la dichiarazione di bancarotta della cultura umana".

Con il suo metodo, Socrate, "partendo dall'esistenza dei desideri umani, arrivò a distinguere ciò che è desiderato dall'individuo da ciò che è desiderabile in senso assoluto, che chiama 'il Bene in sé'." Platone prosegue sulla sua via spiegando che essa "conduce al principio divino del mondo intellegibile".

Così "nella sua ultime opera, 'Le Leggi', in cui il filosofo appare come il legislatore di una nuova società umana fondata sulla salda roccia della verità, leggiamo una parola che getta una luce retrospettiva sia sugli inizi dello strenuo cammino di Socrate sia su tutta l'opera di Platone: Dio è la misura di tutte le coseLe parole di Protagora secondo cui l'uomo è la misura sono rovesciate e mutate nel loro contrario. La vera paideia, sia essa educazione o legislazione, deve fondarsi su Dio come norma suprema".

Aristotele – pur seguendo un'altra via – concorda "con il suo maestro Platone nel concepire la filosofia prima che trascende i limiti del mondo sensibile, essenzialmente come teologia".

Infatti egli, con Platone, "affermò un'idea dell'uomo nella quale è compreso il divino, mostrando la via per cui l'uomo mortale può giungere a partecipare della vita eterna".

Secondo il filosofo di Stagira, se l'anima non avesse la capacità di comprendere l'ordine razionale del mondo sensibile, non sarebbe possibile nemmeno la scienza. Né la Polis.

La loro è la ricerca razionale della Verità eterna, non una religione. Ecco perché Ratzinger sottolinea che i cristiani, quando arrivarono, non dialogarono con la religione pagana, ma abbracciarono la filosofia greca (definisce questo incontro come "l'evento che rivoluziona la storia universale").

Perché "il cristianesimo" scrive Ratzinger "non si concepì come una religione, ma in primo luogo come prosecuzione del pensiero filosofico, vale a dire della ricerca della verità da parte dell'uomo". Così presentò l'evento dell'Incarnazione della Verità "come la religio vera".

Già "sant'Agostino" conferma Jaeger "oppone alla teologia mitica e politica della tradizione la teologia naturale dei filosofi".

Il cristianesimo si pone dunque come la vera paideia che "culmina nei sistemi dei due più grandi pensatori cristiani, sant'Agostino e san Tommaso" i quali "operarono la fusione delle due principali espressioni dell'umanesimo teocentrico dell'antichità classica, platonismo e aristotelismo, con la fede cristiana".

Da sant'Agostino e san Tommaso vengono Dante e l'Umanesimo che poi raggiungerà le vette artistiche del Rinascimento (la "Scuola di Atene" di Raffaello si trova nel cuore delle Stanze Vaticane).

Erede moderno dell'umanesimo tomista è l'"umanesimo integrale" diJacques Maritain che Jaeger cita e che è stato molto importante nel Novecento.

È questa civiltà millenaria che ha illuminato il mondo. Oggi è sotto l'attacco di ciò che Ratzinger definì "la dittatura del relativismo".

 

Antonio Socci

 

Da "Libero", 19 febbraio 2023

 

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