V° Domenica
V Domenica (Mt 5,13-16) "Voi che ogni domenica andate a Messa siete la luce del mondo". La fede è un dono di Dio che ci cambia la vita. "La luce della fede" è indirizzata a credenti, a esitanti e a non credenti nella ricerca della Verità e dell'Amore cioè di Cristo
«Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata» (Mt 4, 16). Rifacendosi al profeta Isaia, san Matteo presenta sotto il segno della luce l'inizio dell'attività apostolica del Signore in Galilea, terra di transizione tra Israele e il mondo pagano. Gesù, come aveva profetizzato l'anziano Simeone qualche decennio prima con il Bambino tra le braccia, è «luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 32). Lo dirà il Signore di sé stesso: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8, 12). Con la luce della fede, con la luce che è Lui, la realtà acquista la sua autentica profondità, la vita trova il suo senso. Senza di essa, alla fine sembra che «tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla meta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione».
Sono molte le persone che, a volte senza saperlo, cercano Dio. Cercano la propria felicità, che possono trovare solamente in Dio, perché il loro cuore è fatto da Lui e per Lui. «Ecco che tu sei lì, nel loro cuore – prega sant'Agostino -, nel cuore di chi ti professa e di chi si abbandona a te piangendo sul tuo seno dopo un lungo, difficile cammino [...] perché sei tu, Signore, non un qualsiasi uomo di carne e sangue, tu, Signore, che li hai fatti, a ristorarli e consolarli». Eppure, c'è anche chi spera di trovare la felicità da un'altra parte, come se il Dio dei cristiani fosse un concorrente delle loro brame di felicità. In realtà, stanno cercando Lui: semplicemente «si oppongono a Gesù Cristo, o piuttosto alla sua ombra, perché non lo conoscono, non hanno visto la bellezza del suo volto, ignorano le meraviglie della sua dottrina».
«Tu credi nel Figlio dell'uomo?» ― domanda Gesù al cieco nato, che ha riacquistato la vista ―. «E chi è, Signore, perché io creda in lui?» (Gv 9, 35-36). In tutti gli angoli del mondo vi sono uomini e donne che, a prescindere dall'indifferenza e dall'ostilità che possono mostrare verso la fede, aspettano chi indichi loro dov'è il Dio di Gesù Cristo cioè il volto umano di Dio, dov'è chi possa illuminare i loro occhi e saziare la loro sete. Rispecchiano bene la loro situazione alcune parole che sant'Ireneo scrive su Abramo: «Quando, seguendo l'ardente desiderio del suo cuore, peregrinava per il mondo domandandosi dov'era Dio, e cominciò a cedere ed era sul punto di desistere dalla ricerca, Dio ebbe pietà di colui che, solo, lo cercava in silenzio». A ognuno di loro dobbiamo arrivare noi cristiani, convinti umilmente e serenamente di conoscere Colui che essi cercano (cfr. Gv 1, 45s; At 17, 23), anche se spesso noi constatiamo che ancora non lo conosciamo bene. A tutti noi cristiani il Signore dice: «voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14); «date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14, 16).
Il lievito della massa
Il Vangelo «è una risposta che scende nel più profondo dell'essere umano [...]. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient'altro può arrivare», perché riesce a «illuminare tutta l'esistenza dell'uomo», a differenza di ogni sapere umano, che riesce a chiarire solo alcune dimensioni della vita. Tuttavia questa luce che «splende nelle tenebre» (Gv 1, 5) spesso deve fare i conti con la fragilità di un mondo che considera reale solamente ciò che si può vedere e toccare, ciò che si lascia vedere alla luce della scienza o del consenso sociale. A causa dell'inerzia culturale dei singoli, a volte la fede si percepisce «come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri.
Comunque, anche qui ci sono motivi per l'ottimismo. Benedetto XVI constatava, già alcuni anni fa, che la scienza ha cominciato a prendere coscienza dei propri limiti: «oggi molti scienziati dicono che tutto deve provenire da qualche parte, che dobbiamo porci nuovamente questa domanda. Con ciò cresce nuovamente anche un nuovo modo di comprendere ciò che è religioso, non come un fenomeno di natura mitologica, arcaica, ma a partire dal collegamento interiore del Logos»: un po' per volta va perdendo terreno l'idea, troppo semplice, che credere in Dio è un espediente per coprire ciò che non sappiamo. Si fa strada una concezione della fede come quello sguardo che nel modo migliore riesce a dar conto del senso del mondo, della storia, dell'uomo e, allo stesso tempo, della loro complessità e del loro mistero.
Queste nuove prospettive costituiscono una sfida per la teologia, per la catechesi e, in definitiva, per l'apostolato personale: «In questo grande contesto la religiosità deve rigenerarsi nuovamente e trovare così nuove forme di espressione e di comprensione. L'uomo di oggi fa fatica a capire che il sangue di Cristo sulla croce è l'espiazione per i suoi peccati [...]; si tratta di formule che occorre tradurre e cogliere di nuovo». Infatti, è compito della teologia e della catechesi non solo approfondire i diversi aspetti della fede, ma anche avvicinare ogni generazione al Vangelo. La teologia e la catechesi non debbono transigere, nel senso di ridurre la fede al livello delle miopie di ogni epoca, ma sono chiamate a fare di Cristo un contemporaneo: ad accogliere le preoccupazioni, il linguaggio e le sfide di ogni momento, non come un male minore, ma come la materia e l'ambiente in cui Dio spera che noi produciamo un pane saporito, un pane in grado di nutrire tutti (cfr. Mt 14, 16). «Siamo stati invitati ad essere lievito di questa massa concreta. Certamente potranno esserci "farine" migliori, ma il Signore ci ha invitato a lievitare qui e ora, con le sfide che ci si presentano. Non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure, ma con le mani all'aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania».
L'attenzione alla sensibilità del presente con il dono di Cristo che ci parla oggi con la lettura orantepersonale e comunitaria della Bibbia non va ad aggiungersi dall'esterno con la fedeltà al Vangelo, ma ne costituisce la parte essenziale. Per proteggere la fede, per viverla in modo sensato e per andare in tutto il mondo ad insegnarla (Mc 16,15), bisogna riceverla oggi nuovamente, assimilarla e far sì che gli altri la considerino come ciò che veramente essa è: attraverso la preghiera un dono di Dio che ci cambia la vita, che la riempie di luce. La fede illumina la raeltà e come si può vivere personalmente sotto questa luce. Che significa per la mia vota, per esempio, che Cristo sia risuscitato e che Dio sia una Trinità di persone amanti in comunione di amore? In che senso la fede nella creazione cambia la visione della realtà? Oggi un aiuto grande e semplice i messaggi delle presunte apparizioni.
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