Quel no alla Messa antica che colpì al cuore Ratzinger
Luisella Scrosati in "La Nuova Bussola" – 05 gennaio 2023
Sono gli occhi di chi ha versato molte, molte lacrime in poco tempo quelli di mons. Georg Gänswein. Nell'intervista confidenziale a Guido Horst, caporedattore del settimanale Die Tagespost, il segretario particolare di Benedetto XVI e Prefetto della Casa Pontificia dal 2012, appare profondamente commosso,mentre riporta alla memoria i ricordi della sua vita con il Papa tedesco.
Dal primo incontro "a distanza", nella chiesa di San Michele a Monaco, quando egli era un dottorando e Ratzinger già Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a quello più personale al Collegio Teutonico di Roma, quando i due si trovarono insieme per una colazione. Un rapporto che, spiega Gänswein, «è cambiato nel tempo. Lui invecchiava e diveniva sempre più debole; la sua mente era ancora nitida, grazie a Dio, ma fisicamente diveniva sempre più debole».
La più grande preoccupazione di Benedetto XVI per l'Europa ed il mondo occidentale era la scomparsa della fede. Tutti i suoi sforzi si concentravano «sul problema di Dio e del Suo posto al centro della fede; egli voleva che Dio fosse posto ancora una volta al centro della fede, e voleva richiamare e incoraggiare quanti rivestono un'autorità nella Chiesa a fare i passi giusti in questa direzione». La sua trilogia su Gesù di Nazareth può essere, secondo Gänswein, come il suo testamento; Benedetto XVI la scrisse con l'intento di «aiutare le persone a mettere Dio, Gesù Cristo, al centro della fede», rafforzarle nella fede. Lo riteneva come il suo principale compito da Pontefice, sebbene gli sia stato rimproverato di sottrarre, così facendo, tempo ed energie al governo della Chiesa.
E poi la grande questione della fede e della ragione, e, purtroppo, degli abusi all'interno della Chiesa cattolica, che colpirono il suo rappresentante più visibile, il Papa appunto, a partire dal 2010. Anno in cui, tra l'altro, Benedetto XVI si recò in Gran Bretagna. Gänswein rivela la grande tensione che si percepiva nella preparazione di questo viaggio: il Papa venne avvisato che sarebbe stato accolto in modo molto freddo, mentre alcuni chiedevano persino che venisse arrestato. «Ricordo piuttosto bene che per le prime due ore circa c'era molta freddezza. Poi le cose… improvvisamente cambiarono. Non so dire esattamente per quale motivo», probabilmente la semplice presenza di Benedetto XVI, una personalità umile, ma ricca di carisma.
Il punto critico della conversazione arriva attorno al minuto 23:00, quando Horts mette Gänswein di fronte al fatto che la riammissione del Messale del 1962, mediante il Motu Proprio Summorum Pontificum, «non è andata avanti come Benedetto XVI l'aveva desiderato»; e domanda al segretario particolare di Benedetto se il Motu Proprio Traditionis Custodes abbia in qualche modo deluso il Papa emerito. «Sì, credo che sia stata una ferita dolorosa», ha risposto Gänswein. «Quando Benedetto XVI ha letto questo motu proprio aveva il dolore nel cuore, perché lui voleva aiutare proprio coloro che hanno trovato nel rito antico la loro casa, a ritrovare la pace interiore e la pace liturgica, per tirarli via da Lefebvre».
Il cardinale Joseph Ratzinger aveva, infatti, a lungo lavorato per permettere a quanti erano profondamente legati al rito antico di poter avere il loro posto nella Chiesa, senza che fossero considerati una riserva indiana di nostalgici, ma comprendendo il loro amore per quel rito venerando della Chiesa. Quando ci furono le ordinazioni episcopali senza mandato pontificio da parte di mons. Marcel Lefebvre e mons. Antônio de Castro Mayer, nel 1988, sembrava che l'unica possibilità per poter continuare ad abbeverarsi a quella inesauribile e sicura sorgente spirituale, fosse quella di seguire mons. Lefebvre nella creazione di una realtà canonicamente non riconosciuta dalla Chiesa e nell'adesione alle sue posizione di sostanziale rifiuto dei documenti del Vaticano II, del magistero post-conciliare e della riforma liturgica.
Ratzinger fu in prima linea nella creazione di una configurazione canonica perché intere comunità e singoli sacerdoti e fedeli non dovessero più trovarsi di fronte all'incredibile dilemma: o il rito antico o la comunione ecclesiale. Così venne creata la Pontificia Commissione Ecclesia Dei e i vari istituti sacerdotali e comunità monastiche e religiose ad essa afferenti. Fu un primo passo importante, ma era chiaro che in questo modo non si usciva dalla realtà della "zona protetta"e dall'idea che il rito antico fosse interesse di qualche nostalgico, magari anche un po' fanatico.
Il Summorum Pontificum fu il grande riconoscimento che quel rito appartiene pienamente all'espressione liturgica della Chiesa, nel rito romano. E che non poteva essere diversamente, perché, come lo stesso Benedetto XVI aveva confidato a Peter Seewald, in gioco c'era e c'è l'identità stessa della Chiesa: «Per me», diceva Papa Benedetto, «era importante che la Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato. Che ciò che prima era sacro non divenisse da un momento all'altro una cosa sbagliata», una cosa da guardare con sospetto e persino con disprezzo. È quanto mons. Gänswein a sua volta sottolinea: «Se si pensa che è da secoli che la Messa antica è stata la fonte della vita spirituale, nutrimento per molti santi, è inimmaginabile che non valga più niente. Non si può dimenticare che molti giovani, che sono nati molto dopo il Vaticano II e che nemmeno comprendono più tutto il trambusto attorno ad esso, pur conoscendo la nuova Messa, hanno trovato nell'antica una dimora e un tesoro spirituale. Togliere agli uomini questo tesoro mi dà un certo malessere».
Dopo queste dichiarazioni, più di qualche domanda si fa strada. Nell'ottica di Papa Francesco, Benedetto XVI non era «il nonno che vive alla porta accanto e alla cui saggezza è possibile attingere in ogni momento»? Com'è è che su questo argomento, che tanto stava a cuore al Papa emerito e del quale era il maggior conoscitore, Francesco si è dimenticato di chiedergli il suo consiglio? Le dichiarazioni di Gänswein confermano, per la prima volta ufficialmente, la persuasione di molti: Traditionis Custodes ha colpito al cuore Benedetto XVI, e ha drasticamente interrotto i suoi sforzi per una riconciliazione non solo nella Chiesa, ma della Chiesa con se stessa. Il che significa che con quell'atto Papa Francesco ha lacerato il tessuto ecclesiale e ferito l'identità della Chiesa.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il Papa che, nella sua lettera di accompagnamento a Traditionis Custodes, lamentava l'uso dell'apertura di Benedetto XVI «per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni», non ha fatto altro che aumentare queste divisioni, spingendo sempre di più le persone legate al rito antico verso le cappelle della Fraternità Sacerdotale San Pio X, che ha sempre fatto della contrapposizione il suo stendardo, le cui cappelle ormai straripano. Papa Francesco non poteva fare scelta "migliore" per dividere; dalla riforma liturgica ad oggi, nessuna decisione ecclesiale è stata più efficace per allontanare i fedeli dalla comunione con la Chiesa. Se non fosse per l'evidente contrapposizione di vedute, si potrebbe sospettare che ci sia un accordo tra la Santa Sede e la FSSPX.
Non si può che essere grati a mons. Gänswein per la coraggiosa schiettezza mostrata in questa intervista e per la profonda comprensione della sofferenza delle tante persone che si sono trovate, da un giorno all'altro, private ingiustamente di quel solido nutrimento che la Chiesa ha offerto ai suoi figli per secoli. Non è un conforto da poco sapere che la nostra sofferenza fa da corona a quella che fu di Benedetto XVI e che il nostro gemito è in fondo lo stesso che fu del Papa emerito. Che ora intercede per noi.
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