'Se la PAV apre alal contraccezione contradice la grammatica del corpo'

Luisella Scrosati in "La Nuova Bussola" – 10 dicembre 202

 Un'apertura su questo punto come nel Testo base della Pav immetterebbe nel corpo della Chiesa un virus capace di replicarsi velocemente e di provocare grande devastazione. Al convegno di Roma è la volta di José Granados che ha incentrato il suo intervento sullo stretto legame dei tre significati del corpo (filiale, unitivo, generativo) e sugli assoluti morali. 

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Il magistrale intervento di José Granados, Ordinario di Teologia del Sacramento del Matrimonio all'Istituto Giovanni Paolo II, ha concluso i lavori della mattinata di ieri del convegno romano A Response to Pontifical Academy for Life (QUI per seguire, Granados da h. 03:10:20), interamente dedicata alla dimensione antropologica del dibattito sugli assoluti morali.

 

Granados ha posto al centro del suo intervento il «significato filiale del corpo coniugale». L'uomo e la donna si uniscono nel "luogo" della loro stessa origine: nell'atto coniugale portano il loro corpo filiale, che diviene capace di esprimere unione e generazione, proprio perché a loro volta provengono dall'unione coniugale. I tre significati del corpo – filiale, unitivo, generativo – risultano perciò intrinsecamente legati.

 

In relazione al Testo Base della Pontificia Accademia per la Vita, è stato messo in evidenza come l'apertura alla contraccezione all'interno del matrimonio, così come l'apertura alla fecondazione artificiale omologa, di fatto contraddicano le dichiarazioni del documento sul riconoscimento del linguaggio del corpo e sul significato filiale di quest'ultimo. Il significato filiale include infatti il significato generativo dell'unione: il nostro corpo è il frutto dell'unione generativa e diviene per questo capace a sua volta di esprimere unione e generazione. Ma il TB perde di vista questa prospettiva allorché, per esempio, accetta la fecondazione artificiale omologa, ammettendo così che il bambino possa avere la sua origine in una unione disincarnata.

 

Il punto decisivo dell'argomentazione di Granados, si concentra nel fatto che il riconoscimento dell'esistenza del linguaggio del corpo, della sua grammatica, come esito del suo essere stato creato, esige l'esistenza degli assoluti morali; esige cioè che gli atti che contraddicono questa grammatica del corpo umano, non essendo per questo ordinati e ordinabili al bene della persona, non possano mai essere accettati. E questo è il senso degli atti intrinsecamente cattivi. Se si accetta che il corpo ha una sua grammatica perché creato - e questo il TB lo riconosce - allora è una contraddizione respingere gli assoluti morali, che di quella grammatica sono l'espressione.

 

Granados ha inoltre sottolineato come non solo il corpo possegga un significato filiale, ma anche la legge che Dio ha dato agli uomini. Questa legge proviene dalla paternità di Dio, e questa origine si riflette nella struttura interna del Decalogo. Il terzo e il quarto comandamento esprimono infatti il riconoscimento di se stessi e del proprio corpo come ricevuti filialmente, rispettivamente da Dio e dai genitori, che vanno perciò onorati. Gli altri comandamenti "negativi", che esprimono gli assoluti morali, risultano così radicati in questi due.

 

L'insegnamento sugli atti intrinsecamente cattivi risulta pertanto radicalmente fondato nella creazione, nella quale Dio ha inscritto la sua parola nella nostra carne; ma anche nel dogma dell'Incarnazione redentiva. Nell'Incarnazione, infatti, Gesù Cristo assume un corpo umano e lo rende nuovamente capace di esprimere l'amore pieno, ridonandogli in pienezza i tre significati costitutivi. Nel sacrificio della Croce e nell'Eucaristia, il Signore Gesù rivela la dimensione filiale del corpo ricevuto dal Padre  - «un corpo mi hai preparato», Eb 10, 5 - e dalla Madre, il suo significato unitivo, donandolo alla Chiesa sua sposa, e quello generativo, perché mediante il Sangue e l'acqua che scaturiscono ininterrottamente dal suo sacrificio, genera appunto dei figli nel corpo della Chiesa.

 

Deborah Savage, Professore associato di Teologia alla Franciscan University di Steubenville, che ha aperto la sessione di ieri, ha richiamato il contesto della rivoluzione sessuale. Attraverso la condanna della contraccezione, la Chiesa è stata pressoché l'unica a comprendere che la separazione del significato unitivo e procreativo, secondo il linguaggio di Humanae Vitae, avrebbe condotto ad una nuova forma di schiavitù, nella quale le donne sarebbero state viste solo come oggetto e il rapporto uomo-donna avrebbe preso la dimensione del dominio del primo sulla seconda, de-umanizzando entrambi. È dalla diffusione della contraccezione che è scaturito tutto quello che vediamo sotto gli occhi, e sarebbe una follia che i pastori arrivassero a legittimarla. Un'apertura su questo punto, per quanto circostanziata, immetterebbe nel corpo della Chiesa un virus capace di replicarsi velocemente e di provocare grande devastazione.

 

Paul Gondreau, Professore di Teologia  Providence College, nel Rhode Island, ha mostrato come un "nuovo paradigma" morale, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita, non possa far altro che richiedere il cambiamento del paradigma precedente. Ma quel paradigma è fondato su di un'antropologia che ha una visione integrata ilemorfica (forma e materia ndr.),  secondo la quale il corpo non può essere plasmato come l'argilla o usato come un gioco. Ogni atto che coinvolge il corpo è sempre atto dell'intera persona e dev'essere perciò oggettivamente ordinato al bene della persona. Cambiare questo paradigma significa aprire la strada ad un'antropologia disintegrata, un'antropologia di radice gnostica o cartesiana che genera una morale che, esaurendosi nell'intenzione e nel desiderio del soggetto, finisce per lacerare l'unità dell'uomo.

 

La sessione pomeridiana è stata dominata dal tema della coscienza e del discernimento. Il giorno precedente, durante il dibattito, Mons. Melina aveva accennato ad una ipertrofia della coscienza contenuta nel TB. Matthew Levering, Professore di teologia all'Università di Dayton, che ha dedicato l'interessante monografia Abuse of Conscience. A Century of Catholic Moral Theology alla questione, ha focalizzato come Karl Rahner sia stato uno degli autori che maggiormente ha celebrato il divorzio tra la coscienza e l'insegnamento del Magistero della Chiesa, il quale, secondo Rahner, non può legare la coscienza con le sue norme, in quanto la coscienza è direttamente legata alla volontà di Dio.

 

Da questo divorzio discende un'altra ipertrofia: quella del discernimento. Il discernimento della volontà di Dio diventa un processo che si applica ad ogni situazione, incluse quelle in cui ci si trova di fronti a degli assoluti morali, che non vengono più riconosciuti come tali. Peter Ryan, SJ, professore di Teologia al Sacred Heart Major Seminary di Detroit, ha a riguardo chiarito che il discernimento ignaziano non ha nulla a che vedere con una ridefinizione degli atti intrinsecamente illeciti, ma si occupa invece di cercare i segni della volontà di Dio nel cammino di santità, soprattutto nelle situazioni di particolari decisioni, quando davanti a noi si pongono diversi beni. L'ipertrofia della coscienza ha dunque condotto ad un'etica assorbita nel soggetto e basata sul discernimento, che soppianta la virtù della prudenza. La modalità con cui Rahner, e molti altri teologi moralisti contemporanei, ha cercato di sfuggire al soffocamento della coscienza da parte dei totalitarismi dell'ultimo secolo, ha condotto in realtà al paradosso di divenire più vulnerabili ai poteri totalitari; lo sforzo di respingere le norme universali, percepite come contrarie alla libertà della coscienza, ha contribuito alla fine a demolire proprio quanto è in grado di proteggere veramente la persona.

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