Non uccidere l'inocente

Luisella Scrosati in "La Nuova Bussola" – 18 dicembre 2022

Stiamo commentando il primo articolo del credo: "Credo in Unum Deum". Abbiamo visto come i dieci comandamenti siano l'appello di Dio e la risposta che l'uomo deve a Dio. Questi comandamenti riguardano il riconoscimento dell'unico vero Dio. Per i primi tre, il legame è più diretto e immediato, ma appare esserlo un po' meno per gli altri sette. Eppure, già la scorsa volta, abbiamo potuto vedere come il quarto comandamento sia il primo della serie che riguarda i rapporti tra gli uomini e come faccia da cerniera tra i primi tre che riguardano i nostri doveri verso Dio (e sono quindi centrati sull'onore diretto di Dio) e quelli che, pur riferendosi all'onore di Dio, lo fanno in modo mediato dal rispetto dovuto agli altri uomini.

 

Nella lezione odierna iniziamo a trattare il QUINTO COMANDAMENTO, che è anch'esso profondamente legato ai primi tre, perché il precetto di "non uccidere l'innocente" si radica precisamente sul fatto che l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio.

 

Vediamo il Catechismo della Chiesa Cattolica all'art. 2259: "La Scrittura, nel racconto dell'uccisione di Abele da parte del fratello Caino, rivela, fin dagli inizi della storia umana, la presenza nell'uomo della collera e della cupidigia, conseguenze del peccato originale. L'uomo è diventato il nemico del suo simile. Dio dichiara la scelleratezza di questo fratricidio: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello » (Gn 4,10-11).

 

Che cosa si vede in questo testo? Dopo il peccato originale la morte entra nel mondo attivamente e passivamente, quindi non solo morire, ma anche il dare la morte; in questo caso l'omicidio tra fratelli, ovvero Caino che uccide Abele.

 

A questo disordine che l'uomo ha provocato, Dio pone un argine ben preciso e lo pone non solo come legge positiva dei comandamenti, ma in quanto questa legge esteriore riflette quella legge interiore che Dio ha impresso nell'uomo, ovvero la legge naturale.

 

Qual è questo argine? Lo si trova espresso in Esodo 23, 7 che è citato appunto nell'art. 2261 del Catechismo, che precisa il contenuto diretto del quinto comandamento: «Non far morire l'innocente e il giusto » (Es 23,7).

 

In virtù della dignità propria dell'uomo creato ad immagine di Dio, l'omicidio è proibito. Vedremo in una trattazione a parte, come si collocano all'interno di questo divieto temi come la pena di morte e tutto il dibattito che attiene ai cambiamenti che sono stati apportati al Catechismo sul punto specifico. 

 

Il divieto di uccisione dell'uomo innocente è una "legge che vieta questo omicidio" e che "ha una validità universale: obbliga tutti e ciascuno, sempre e dappertutto".

 

Questo significa che si tratta di un atto INTRINSECAMENTE CATTIVO, che non può ammettere eccezioni. Ovvero non vi sono circostanze o intenzioni soggettive che possano mutare moralmente l'atto e renderlo quindi lecito. Si tratta dunque di un assoluto morale.

 

Molte volte viene obiettato che la legittima difesa sembrerebbe essere invece un'eccezione a tale assoluto morale. Nell'articolo 2263 e seguenti, dedicato appunto alla legittima difesa, si trova un'annotazione importantissima. La legittima difesa, si dice, non è una eccezione al quinto comandamento, ma è un atto morale specificatamente diverso dall'uccidere l'innocente, che invece rimane sempre vietato.

 

Perché si può considerare un atto diverso? Lo si legge nel testo: "La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un'eccezione alla proibizione di uccidere l'innocente, uccisione in cui consiste l'omicidio volontario. «Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l'altro è l'uccisione dell'attentatore». «Nulla impedisce che vi siano due effetti di uno stesso atto, dei quali uno sia intenzionale e l'altro preterintenzionale» (n. 2263).

 

Nella legittima difesa l'unico elemento intenzionale, non è l'uccisione bensì la difesa. Tanto è vero che la difesa si auspica che si possa concludere e talvolta si conclude senza l'uccisione dell'aggressore.

 

San Tommaso dice che l'uccisione dell'aggressore può intervenire come un secondo effetto preterintenzionale, ovvero che non è voluto e non è lo scopo dell'azione che trova invece la sua specie morale nella difesa di se stessi o di altri innocenti.

 

L'articolo 2265 precisa inoltre che "la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri". Si pensi ad un padre nei confronti della propria famiglia, ma anche allo Stato nei confronti dei propri cittadini: se essi vengono aggrediti, allora devono essere difesi in modo efficace, congruo e proporzionato. Non vi è dunque alcuna eccezione al quinto comandamento che obbliga sempre ed in qualunque circostanza e a prescindere dalle intenzioni del soggetto. La legittima difesa non è una eccezione, ma si tratta di un altro atto morale che si classifica diversamente come dovere di difesa della propria o di altre vite.

 

Negli articoli 2268 e 2269 si guarda al contenuto vero e proprio del quinto comandamento: la proibizione dell'omicidio diretto e volontario, cioè di un'azione voluta che direttamente cerca e talvolta provoca la morte. In quanto tale, è sempre un'azione colpevole anche per colui che coopera con tale azione. Nel caso in cui l'omicidio avvenga tra persona legate con un legame di sangue c'è anche un'ulteriore aggravante (cf. n. 2268).

 

Vi è poi la proibizione di provocare indirettamente la morte di una persona (cf. n. 2269). Attenzione: indirettamente non significa accidentalmente: "La legge morale vieta tanto di esporre qualcuno ad un rischio mortale senza grave motivo, quanto di rifiutare l'assistenza ad una persona in pericolo". Sono quelle azioni che creano le condizioni per la morte di una persona, anche se non uccidono direttamente. 

 

L'omicidio involontario, invece, in quanto appunto involontario, non è imputabile moralmente, tuttavia se si è agito in modo tale da provocare la morte, anche senza l'intenzione di provocarla, la responsabilità sussiste. Per esempio, fare uno sport estremo senza la dovuta preparazione e senza le dovute cautele, o guidare ad una velocità eccessiva rispetto a quanto permetta una situazione.

 

Essendo sempre ed in ogni circostanza proibito l'omicidio volontario, il quinto comandamento proibisce anche altre azioni legate direttamente a questo: l'aborto, l'eutanasia ed il suicidio.

 

L'aborto diretto, cioè l'uccisione del feto, voluto come un fine o come un mezzo, è sempre gravemente contrario alla legge morale (cf. n. 2271).

 

La malizia dell'aborto diretto e quindi la colpa, coinvolge anche la cooperazione formale - articolo 2272 - ovvero la condivisione dell'atto abortivo, anche se materialmente non lo si compie.

 

C'è inoltre la cooperazione materiale diretta, cioè quella cooperazione che è tale da non poter essere distinta dall'atto morale proprio dell'aborto. Il classico esempio è quello dell'infermiera che passa gli strumenti al medico per effettuare l'aborto. Anche se nel suo interno l'infermiera non condividesse l'aborto, il suo atto è tale da non poter essere moralmente distinto da quello del medico che compie l'aborto.

 

In merito all'aborto, occorre capire un punto importante, in quanto talvolta si sentono posizioni anche di pastori cattolici, i quali metterebbero in dubbio che un intervento su un feto di tre o quattro settimane possa essere considerato come aborto, in quanto ritengono non sia certo che si sia in presenza di una persona umana.

 

Oggi, alla luce delle conoscenze di embriologia e dello sviluppo della vita umana nel grembo materno dallo zigote in poi, è certo che non solo vi sia un'identità cromosomica ben definita, distinta da quella dei genitori, ma che ci troviamo alla presenza di un individuo che per una potenzialità intrinseca è in grado di svilupparsi e divenire un uomo adulto. La madre offre un ambiente biologico, di nutrizione, di affetto, ma non è lei stessa a far sviluppare il feto, il quale si sviluppa per una potenza propria.

 

Il secondo punto fondamentale rispetto all'aborto è il seguente: se c'è un essere umano, c'è una persona. Non esistono esseri umani che non siano persone. Non ha alcun senso ed è contrario all'insegnamento della Chiesa e alla logica filosofica stessa, ritenere che vi siano esseri umani che non siano persone. La soppressione della vita umana, a partire dal concepimento, è sempre un omicidio volontario; non è solo un "interruzione di gravidanza".

 

L'art. 2273 è un paragrafo molto importante sul "diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente", che è insito nella persona umana, e dev'essere pertanto riconosciuto dall'autorità statale e civile. Non è qualcosa che lo Stato crea e dunque non è qualcosa che lo Stato può distruggere. Qualunque legge positiva che non riconosca questa dignità e che non la tuteli è gravemente ingiusta, sempre, e non può mai essere difesa. Una legge come la 194/1978, che è intrinsecamente e gravemente iniqua, non può essere mai difesa.

 

Negli articoli 2274 e 2275 si trattano alcune questioni importanti che riguardano l'embrione

 

1- La diagnosi prenatale: essa è moralmente lecita se rispetta la vita e l'integrità dell'embrione e del feto, mentre risulta gravemente in contrasto con la legge morale se viene fatta con l'intenzione eventualmente di provocare l'aborto, anche qualora poi l'aborto non venisse poi effettuato.

 

2- Qualsiasi intervento sull'embrione è legittimo nel momento in cui rispetta la vita e l'integrità dell'embrione e abbia la natura di un intervento strettamente terapeutico.

 

3- È immorale produrre embrioni umani per sfruttarli come materiale biologico. Qualsiasi altra azione che vada in questa direzione, come, per esempio, quella di trarre dai feti materiale per la ricerca e lo sviluppo di farmaci, quando l'embrione è vivo o viabile, oppure quando questa pratica sia strettamente connessa all'aborto, è gravemente immorale. 

 

4- Quei tentativi di intervento sul patrimonio cromosomico o genetico, che non sono terapeutici, "ma mirano alla produzione di esseri umani selezionati secondo il sesso o altre qualità prestabilite" sono altrettanto immorali. Il fine eugenetico è escluso, mentre è ammesso solo un fine terapeutico proporzionato.  

 

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