E ora i cinesi vogliono uscire dalla gabbia

Aldo Maria Valli in "Duc in altum" – 29 novembre 2022

Nei mass media cinesi nemmeno una parola sulle proteste che hanno coinvolto nel fine settimana migliaia di cittadini, da Shanghai a Pechino ai campus di una cinquantina di università. Sul web nessuna notizia sulle manifestazioni contro la politica Covid Zero.

 

Le dimostrazioni all'insegna della disobbedienza civile sono invece sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. Migliaia le persone che hanno protestato contro le restrizioni, scandendo slogan contro il Partito comunista e Xi Jinping in persona. Il grido «dimissioni, dimissioni» è risuonato alto e forte.

 

 

Dopo la trionfale conclusione del ventesimo congresso del Partito comunista, che gli ha permesso di blindare il proprio potere alla guida del paese, il leader viene contestato apertamente dalla folla: una fatto che nessuno avrebbe potuto immaginare fino a poco tempo fa.

 

Le autorità hanno rafforzato la censura su internet e bloccato gli account degli utenti che hanno condiviso foto e video sui social network.

 

 

Anche dal punto di vista simbolico la contestazione è clamorosa. Le proteste sono avvenute in pieno centro di Shanghai e nel campus della prestigiosa università Tsinghua di Pechino, dove lo stesso Xi Jinpiung si è laureato.

 

Scrive Pierre Haski, di France Inter: "Per capire quanto siano audaci questi gesti, nati dall'esasperazione per le misure anticovid e dal desiderio di libertà, bisogna tenere presente che niente di simile era mai accaduto dopo la primavera del 1989, quando il movimento democratico di piazza Tiananmen fu represso nel sangue il 4 giugno. In tre decenni la Cina ha vissuto diverse contestazioni, ma mai di questa portata, soprattutto dopo l'avvento di Xi nel 2012".

 

 

Il fatto è che la strategia "Covid Zero" ha portato la popolazione a uno stato di esasperazione non più sostenibile. Le misure restrittive e gli interminabili lockdown, applicati con durezza, hanno anche conseguenze tragiche, come nel caso dei soccorsi non arrivati in tempo per salvare le persone da un incendio a Urumqi, dove ci sono stati dieci morti.

 

Scrive John Ai su AsiaNews: "Il governo cinese non ha ancora risposto alle dimostrazioni. Dopo l'incendio mortale di Urumqi, l'atteggiamento arrogante dei dirigenti locali ha scatenato la rabbia dei cinesi in diverse parti del Paese. Le autorità dello Xinjiang hanno incolpato coloro che hanno perso la vita nel rogo per la scarsa consapevolezza della sicurezza e la mancanza di conoscenze, evitando di dire che le uscite di emergenza degli edifici residenziali erano chiuse a chiave".

 

 

Proteste massicce sono avvenute anche nella fabbrica Foxconn di Zhengzhou (Henan), dove vengono prodotti gli ultimi modelli di iPhone. Dalla fine di ottobre, dopo che un gran numero di lavoratori è risultato positivo al Covid, ai dipendenti è stato ordinato di rimanere nei dormitori. Molti però sono fuggiti a piedi, per evitare di essere arrestati sui mezzi pubblici.

 

Il malessere sociale è forte nella classe media produttiva, che non ne può più della chiusura delle frontiere e del rallentamento dell'economia. La sensazione di soffocamento è ormai troppo forte.

 

Ora che cosa farà il governo? Il Partito comunista è alle prese con un dilemma: non vuole sconfessare la politica dei lockdown ma non può nemmeno continuare a tenere reclusa un'intera popolazione. Pur volendo evitare una nuova Tiananmen, il Partito vorrà comunque reagire quando riterrà minacciato il suo potere.

 

 

Il contagio democratico preoccupa più di quello del virus. Preoccupa soprattutto il risveglio delle università, dove si formano i quadri e dove cova un crescente disagio, anche a causa degli alti tassi di disoccupazione fra i laureati.

 

Spiega Pierre Haski: "Ripetendo allo sfinimento che l'Occidente è in declino e che il modello cinese è in piena ascesa, Xi pensava di aver allontanato la tentazione democratica che spaventa la Cina da oltre un secolo. Ma non è riuscito a cancellare ciò che Nathan Law, leader in esilio della rivolta di Hong Kong, ha definito con una formula efficace: 'Il desiderio di uscire dalla gabbia e volare'. Difficile a questo punto far rientrare la popolazione nella gabbia".

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