Un vescovo pro-life analiza i risultati dellle elezioni italiane

Diocesi di Ventimiglia, in "Corrispondenza Romana" – 6 ottobre 2022

Mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo, è noto in Italia per l'imponente attività pastorale che svolge nella sua diocesi e anche per il suo impegno in difesa della vita e della famiglia. Nel 2021 inviò un forte messaggio alla Marcia per la Vita (https://www.corrispondenzaromana.it/international-news/address-in-rome-march-for-life-bishop-antonio-suetta-the-divine-commandment-thou-shalt-not-kill-is-an-irrepressible-command-that-cannot-be-repealed-or-suspended/) e alla vigilia delle elezioni 2022, in un messaggio alla sua diocesi, ha messo in rilievo la contrapposizione di alcuni programmi elettorali con la dottrina cattolica e con la Chiesa «per la presenza di punti come, ad esempio, le istanze della ideologia gender, il suicidio assistito o l'eutanasia, il cosiddetto riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne» (https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/messaggio-del-vescovo-antonio-suetta-per-le-elezioni-politiche-2022/).

 

Di particolare interesse è dunque la sua analisi del voto del 25 settembre, tratta da un'intervista rilasciata a Mauro Mazza, direttore della rivista Charta Minuta, di cui riportiamo il testo integrale.

 

Eccellenza: il voto del 25 settembre sembra disegnare una nuova e diversa Italia. Ci sono vincitori e vinti. Gli elettori hanno compiuto una scelta chiara che potrebbe preludere a una stagione di stabilità. Cosa è lecito attendersi dal nuovo governo, tra emergenze da affrontare e un futuro da scrivere, speriamo oltre la/le crisi?

 

Innanzitutto appunto un governo stabile, che possa guidare il Paese nelle complicate e pericolose situazioni critiche di questo tempo: l'uscita dalla pandemia, i rischi della guerra incombente con i suoi contraccolpi sull'economia e la tenuta sociale, l'inflazione e la recessione. Il nuovo assetto politico ha poi la grande e grave responsabilità di attuare il PNRR favorendo lo sviluppo, la giustizia, la pace sociale, l'ammodernamento dello Stato quanto a infrastrutture e rilancio dell'industria, l'occupazione e riformando la macchina della burocrazia e dell'amministrazione della giustizia quali presupposti indispensabili per quanto ho appena richiamato.

 

Dal punto di vista di un Vescovo, come valuta la figura politica e le scelte (quelle annunciate e quelle compiute finora) di Giorgia Meloni? E come spiega un Pastore la grande affermazione del partito Fratelli d'Italia?

 

Ciò che attira il mio interesse e suscita in me fiducia non riguarda tanto le molteplici questioni di corrente e concreta amministrazione, naturalmente legate alle regole dei vari ambiti operativi, alle situazioni contingenti, alle connessioni internazionali e a scelte/situazioni ereditate. Non è neppure mia competenza trattare tali aspetti. Sono invece soddisfatto che il voto popolare abbia fatto emergere una sensibilità caratterizzante il nostro popolo e la nostra storia, segnati da una tradizione di umanesimo cristiano e dunque incompatibile con le esasperazioni espresse dalla cultura di sinistra. Essa ha sempre più disertato le vere questioni e necessità della gente per promuovere, anche con una certa violenza politica e propagandistica, pericolosissime ideologie, che, pur nascondendosi elegantemente dietro la difesa di presunti diritti umani, in realtà risultano profondamente disumane e foriere di forte negatività e cattivi frutti per il futuro della società. Le diverse formazioni della sinistra – anche le più moderate e magari, a loro dire, vicine al mondo cattolico – sono pericolosamente inficiate da quella dittatura del relativismo etico, di cui parla Benedetto XVI, che oggi dilaga attraverso il cosiddetto "politicamente corretto" e che costituisce purtroppo il criterio prevalente, talvolta esclusivo, delle grandi istituzioni di riferimento come il parlamento europeo. Per questa ragione interpreto il successo del partito Fratelli d'Italia e della sua coalizione politica non principalmente come l'esito di un voto di protesta o della logica dell'alternanza, ma piuttosto come un risveglio – lo spero davvero – di autentica civiltà politica, capace di riscoprire e rivitalizzare la formidabile tradizione del nostro popolo e di promuovere, specialmente nella famiglia e nella scuola, una sempre più necessaria capacità discrezionale circa i valori autentici su cui fondare la vita dell'uomo e la società.

 

Le generalizzazioni andrebbero evitate. Ma, a volte, si ha l'impressione che da parte cattolica – pastori, media, movimenti – non vi sia sempre equità di giudizio. Sembra che nei confronti della destra (non solo quella italiana) non vi sia un atteggiamento sereno, nonostante posizioni in sintonia con il Magistero e con il diritto naturale. Per dirla tutta, è come se si guardasse con più benevolenza alle forze decisamente laiciste. 

 

È vero, purtroppo questa è l'impressione e – credo – talvolta la verità. Ritengo che dipenda principalmente da due fattori: una sostanziale mancanza di conoscenza e formazione circa la dottrina cristiana e la storia, soprattutto nella ricerca delle premesse filosofiche e ideologiche che ne determinano il corso; anche una sorta di "timidezza" di fronte alla pervasività di modelli assolutamente antitetici alla visione cristiana fa propendere per una via di malinteso dialogo e di ammiccante tolleranza, che, alla fine, produce pericolose contaminazioni nello sforzo abbastanza inutile di restare sulla scena. In effetti i risultati di una siffatta strategia mostrano sempre quanto sia vera l'affermazione evangelica che "se il sale perde il suo sapore a null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente" (cfr. Mt 5, 13): il mondo con la sua logica plaude ad approcci del genere fintanto che ne può trarre vantaggi o fintanto che non disturba il suo corso per poi trascurare o combattere il messaggio cristiano quando lo trova incompatibile o di intralcio. Il criterio "nel mondo, ma non del mondo" rimane sempre illuminante e conveniente. Credo che la tradizione cattolica debba ritrovare e mostrare la propria originalità, luminosa e sempre attuale, superando una sorta di complesso di inferiorità rispetto alle pretese della narrazione pervasiva della sinistra di possedere l'esclusiva della cultura, del progresso e dell'etica.

 

Cosa ci si può attendere da una politica (divenuta maggioranza parlamentare) sul terreno delicatissimo al confine con l'etica?

 

Sempre tenendo presente che la politica è l'arte del bene possibile, mi auguro che, nella complessa gestione delle molteplici istanze istituzionali e sociali, una rinnovata azione politica promuova e permetta lo sviluppo dei fondamenti della nostra civiltà italiana ed europea impedendo la deriva della resa incondizionata ai non-principi" del relativismo. In Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, J. Ratzinger scrive così: "Chi può nascondersi che il relativismo, al quale noi tutti oggi siamo esposti, produca una crescente inclinazione al nichilismo? L'interrogativo si fa così stringente: con quali contenuti possiamo colmare il vuoto spirituale, creatosi con il fallimento dell'esperimento marxista? Su quali fondamenta spirituali possiamo costruire un comune futuro, in cui Est e Ovest si leghino in una nuova (esperienza di) unità, ma anche Nord e Sud trovino un cammino comune?"

 

Di fronte all'egemonia del "pensiero unico" che domina in Europa, esistono ancora margini e concrete possibilità di correzione, di ravvedimento? Oggi, se un governo nazionale assume posizioni difformi viene redarguito e condannato da Bruxelles…

 

Teologicamente risponderei che assolutamente si, perché il bene e la verità hanno un'intrinseca diffusività ed un'autentica consistenza di valore, che, a differenza del male e dell'errore, apparentemente vincenti per la dinamica violenta con cui tentano di imporsi, pazientemente mettono radici nel cuore dell'uomo per poi fruttificare clamorosamente. Aggiungo poi che l'unione fa la forza… ed oggi, qua e là, si notano parecchie e felici crepe nella disinvolta ostentazione del "pensiero unico", che si candiderebbe a governare il mondo.

 

Ferma restando la distinzione tra politica e religione, la Chiesa non potrebbe fare di più e meglio in quella terra di missione che è diventata l'Europa? A volte paiono prevalere timori e timidezze. Oppure si scelgono questioni distinte e distanti dai princìpi che papa Ratzinger chiama "non negoziabili".La Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo di Gesù con la parola e la testimonianza, promovendo il vero bene, terreno e soprattutto eterno, nella vita degli uomini e denunciando ogni deragliamento sul piano della dottrina e della condotta: questo è il suo compito. La Chiesa non si pone nel mondo come una delle tante istituzioni o agenzie, ma offre, quale madre, maestra e compagna solidale di viaggio, i suoi tesori più preziosi, che sono la divina rivelazione, i sacramenti, la preghiera, la santità e la carità dei suoi figli. La Chiesa sa che la sua battaglia "non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (cfr Ef. 12) e pertanto sa che non può combatterla semplicemente con espedienti mondani. Sempre nella stessa lettera agli Efesini l'apostolo Paolo chiede per se ciò che oggi anch'io domando per il mio ministero di Vescovo e imploro per la Chiesa: "E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare" (6, 19).

 

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