Le catechesi di Giovanni Paolo I
La grande virtù dell'umiltà
Alla mia destra e alla mia sinistra ci sono Cardinali e Vescovi, miei fratelli nell'episcopato. Io sono soltanto il loro fratello maggiore. Il mio saluto affettuoso a loro e anche alle loro diocesi.
Giusto un mese fa, a Castelgandolfo, moriva Paolo VI, un grande Pontefice, che ha reso alla Chiesa, in 15 anni, servizi enormi. Gli effetti si vedono in parte già adesso, ma io credo che si vedranno specialmente nel futuro. Ogni mercoledì egli veniva qui e parlava alla gente. Nel Sinodo 1977 parecchi vescovi hanno detto: « I discorsi di Papa Paolo del mercoledì sono una vera catechesi adatta al mondo moderno ». Io cercherò di imitarlo, nella speranza di poter anch'io, in qualche maniera, aiutare la gente a diventare più buona. Per esser buoni, però, bisogna essere a posto davanti a Dio, davanti al prossimo e davanti a noi stessi. Davanti a Dio, la posizione giusta è quella di Abramo, che ha detto: « Sono soltanto polvere e cenere davanti a te, o Signore! ». Dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio. Quando io dico: Signore io credo; non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma; si crede alla mamma; io credo al Signore, a quello che Egli mi ha rivelato. I comandamenti sono un po' più difficili, qualche volta tanto difficili da osservare; ma Dio ce li ha dati non per capriccio, non per suo interesse, bensì unicamente per interesse nostro. Uno, una volta, è andato a comperare un'automobile dal concessionario. Questi gli ha fatto un discorso: guardi che la macchina ha buone prestazioni, la tratti bene, sa? Benzina super nel serbatoio, e, per i giunti, olio, di quello fino. L'altro invece: Oh, no, per sua norma, io neanche l'odore della benzina posso sopportare, e neanche l'olio; nel serbatoio metterò spumante, che mi piace tanto e i giunti li ungerò con la marmellata. Faccia come crede; però non venga a lamentarsi, se finirà in un fosso, con la sua macchina! Il Signore ha fatto qualcosa di simile con noi: ci ha dato questo corpo, animato da un'anima intelligente, una buona volontà. Ha detto: questa macchina vale, ma trattala bene.
Ecco i comandamenti. Onora il Padre e la Madre, non uccidere, non arrabbiarti, sii delicato, non dire bugie, non rubare... Se fossimo capaci di osservare i comandamenti, andremmo meglio noi e andrebbe meglio anche il mondo. Poi c'è il prossimo... ma il prossimo è a tre livelli: alcuni sono sopra di noi, alcuni sono al nostro livello, altri sono sotto. Sopra ci sono i nostri genitori. Il catechismo diceva: rispettarli, amarli, obbedirli. Il Papa deve inculcare rispetto ed obbedienza dei figli per i genitori. Mi dicono che qua ci sono i chierichetti di Malta. Venga uno, per favore... I chierichetti di Malta, che, per un mese, hanno fatto servizio in San Pietro. Allora, tu come ti chiami? - James! - James. E, senti, sei mai stato ammalato, tu? - No. - Ah, mai? - No. - Mai stato ammalato? - No. - Neanche una febbre? - No. - Oh, che fortunato! Ma, quando un bambino è ammalato, chi è che gli porta un po' di brodo, un po' di medicina? Non è la mamma? Ecco. Dopo tu diventi grande, e la mamma diventa vecchia, e tu diventi un gran signore, e la mamma poverina sarà a letto ammalata. Ecco. E allora chi è che porterà alla mamma un po' di latte e la medicina? Chi è? - Io e i miei fratelli. - Bravo! Lui e i suoi fratelli, ha detto. E questo mi piace. Hai capito?
Ma non succede sempre. Io, vescovo di Venezia, andavo qualche volta, nelle case di ricovero. Una volta ho trovato un'ammalata, un' anziana: « Come va Signora? » - « Beh, da mangiare, bene! Caldo? Riscaldamento? Bene » - « Allora è contenta Signora? » - « No » - si è messa quasi a piangere. « Ma perché piange? » - « Mia nuora, mio figlio non vengono mai a trovarmi. Vorrei vedere i nipotini ». Non basta il caldo, il cibo, c'è un cuore; bisogna pensare anche al cuore dei nostri vecchi. Il Signore ha detto che i genitori devono essere rispettati e amati, anche quando sono vecchi. E oltre ai genitori c'è lo Stato, ci sono i Superiori. Può il Papa raccomandare l'obbedienza? Bossuet, che era un grande vescovo, ha scritto: « Dove nessuno comanda tutti comandano. Dove tutti comandano, nessuno più comanda, ma il caos ». Qualche volta si vede anche in questo mondo qualcosa del genere. Quindi rispettiamo quelli che sono superiori. Poi ci sono i nostri eguali. E qui, di solito, ci sono due virtù da osservare: la giustizia, la carità. Ma la carità è l'anima della giustizia. Bisogna voler bene al prossimo, il Signore ce l'ha raccomandato tanto. Io raccomando sempre non solo le grandi carità, ma le piccole carità. Ho letto in un libro, scritto da Carnegie, americano, intitolato « l'arte di far gli amici », questo piccolo episodio: una signora aveva quattro uomini in casa: il marito, un fratello, due figli grandi. Lei sola doveva fare le spese, lei la biancheria e stirare, lei la cucina, lei tutto. Una domenica vengono a casa. La tavola è preparata per il pranzo, ma sul piatto c'è solo un pugnetto di fieno. Oh! Gli altri protestano e dicono: cosa, fieno! e lei dice « no, è tutto preparato. Lasciate che vi dica: cambio i cibi, vi tengo puliti, faccio di tutto. Mai, mai una volta che abbiate detto: ci hai preparato un bel pranzetto. Ma dite qualche cosa! Non sono di sasso. Si lavora più volentieri, quando si è riconosciuti. Sono le piccole carità. In casa nostra abbiamo tutti qualcuno, che aspetta un complimento ». Ci sono i più piccoli di noi, ci sono i bambini, i malati, perfino i peccatori. Io sono stato molto vicino, come vescovo, anche a quelli che non credono in Dio. Mi son fatto l'idea che essi combattono, spesso, non Dio, ma l'idea sbagliata che essi hanno di Dio. Quanta misericordia bisogna avere! E anche quelli che sbagliano... Bisogna veramente essere a posto con noi stessi. Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l'umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra. Bassi, bassi: è la virtù cristiana che riguarda noi stessi.
Alle coppie di sposi novelli
La presenza di sposi novelli commuove particolarmente, perché la famiglia è una grande cosa. Io una volta ho scritto un articolo sul giornale e mi sono permesso di scherzare, citando Montaigne, uno scrittore francese, il quale diceva: « Il matrimonio è come una gabbia: quelli che son fuori, fanno di tutto per entrare, quelli che son dentro fan di tutto per uscire ». No no no. Però, però alcuni giorni dopo mi è capitata una lettera di un vecchio Provveditore agli studi, che aveva scritto libri e mi ha rimproverato dicendo: « Eccellenza, ha fatto male a citare Montaigne, io e mia moglie ci siamo uniti da 60 anni ed ogni giorno è come il primo giorno ». Anzi, mi ha citato un altro poeta francese, in francese, ma io lo dico in italiano: ti amo ogni giorno di più: oggi molto più di ieri, ma molto meno di domani. E faccio l'augurio che, a voi, succeda la stessa cosa.
Ai partecipanti al VII Convegno Internazionale organizzato dalla Società Internazionale dei Trapianti
Adesso, se permettete, vorrei invitarvi ad unirvi alle mie preghiere, per una intenzione che mi sta molto a cuore. Voi avete saputo dalla stampa, dalla televisione, che, oggi, a Camp David, negli Stati Uniti, comincia una importante riunione tra i governanti di Egitto, Israele e Stati Uniti, per trovare una soluzione al conflitto del Medio Oriente. Questo conflitto, che da più di 30 anni si combatte sulla terra di Gesù, ha già causato tante vittime, tante sofferenze, sia fra gli arabi, sia fra gli israeliani, e come una brutta malattia ha contagiato i Paesi vicini. Pensate al Libano, un Libano martire, sconvolto dalle ripercussioni di questa crisi. Per questo, quindi, vorrei pregare, insieme, per la riuscita della riunione di Camp David: che queste conversazioni spianino la via ad una pace giusta e completa. Giusta, cioè con soddisfazione di tutte le parti in conflitto. Completa, senza lasciar irrisolta alcuna questione: il problema dei Palestinesi, la sicurezza d'Israele, la città Santa di Gerusalemme. Preghiamo il Signore di illuminare i responsabili di tutti i popoli interessati, perché siano lungimiranti e coraggiosi nel prendere le decisioni che devono portare la serenità e la pace in Terra Santa ed in tutto il mondo d'Oriente.
GIOVANNI PAOLO I
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 13 settembre 1978
Vivere la fede
Il mio primo saluto va ai miei confratelli vescovi, che vedo qui numerosi.
Papa Giovanni, in una sua nota, che è stata anche stampata, ha detto: « Stavolta ho fatto il ritiro sulle 7 lampade della santificazione ». 7 virtù, voleva dire e cioè fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Chissà se lo Spirito Santo aiuta il povero Papa oggi ad illustrare almeno una di queste lampade, la prima: la fede. Qui, a Roma, c'è stato un poeta, Trilussa, il quale ha cercato anche lui di parlare della fede. In una certa sua poesia, ha detto: « Quella vecchietta ceca, che incontrai / la sera che mi spersi in mezzo ar bosco, / me disse: - se la strada nun la sai / te ciaccompagno io, che la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso / de tanto in tanto te darò na voce, / fino là in fonno, dove c'è un cipresso, / fino là in cima, dove c'è una croce. / Io risposi: Sarà... ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede... / La ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: - Cammina -. Era la fede ». Come poesia, graziosa; come teologia, difettosa. Difettosa perché quando si tratta di fede, il grande regista è Dio, perché Gesù ha detto: nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira. S. Paolo non aveva la fede, anzi perseguitava i fedeli. Dio lo aspetta sulla strada di Damasco: « Paolo - gli dice - non sognarti neanche di impennarti, di tirar calci, come un cavallo imbizzarrito. Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Ho disegni su di te. Bisogna che tu cambi! ». Si è arreso, Paolo; ha cambiato, capovolgendo la propria vita. Dopo alcuni anni scriverà ai Filippesi: « Quella volta, sulla strada di Damasco, Dio mi ha ghermito; da allora io non faccio altro che correre dietro a Lui, per vedere se anche io sarò capace di ghermirlo, imitandolo, amandolo sempre più ». Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita. Cosa non sempre facile. Agostino ha raccontato il viaggio della sua fede; specialmente nelle ultime settimane è stato terribile; leggendo si sente la sua anima quasi rabbrividire e torcersi in conflitti interiori. Di qua, Dio che lo chiama e insiste, e di là, le antiche abitudini, « "vecchie amiche" - scrive lui -; e mi tiravano dolcemente per il mio vestito di carne e mi dicevano: "Agostino, come?!, tu ci abbandoni? Guarda, che tu non potrai più far questo, non potrai più far quell'altro e per sempre!" ». Difficile! « Mi trovavo - dice - nello stato di uno che è a letto, al mattino. Gli dicono: "Fuori, Agostino, alzati!". Io invece, dicevo: "Sì, ma più tardi, ancora un pochino!". Finalmente il Signore mi ha dato uno strattone, sono andato fuori. Ecco, non bisogna dire: Sì, ma; sì, ma più tardi. Bisogna dire: Signore, sì! Subito! Questa è la fede. Rispondere con generosità al Signore. Ma chi è che dice questo sì? Chi è umile e si fida di Dio completamente! ».
Mia madre mi diceva quand'ero grandetto: da piccolo sei stato molto ammalato: ho dovuto portarti da un medico all'altro e vegliare notti intere; mi credi? Come avrei potuto dire: mamma non ti credo? Ma sì che credo, credo a quello che mi dici, ma credo specialmente a te. E così è nella fede. Non si tratta solo di credere alle cose che Dio ha rivelato ma a Lui, che merita la nostra fede, che ci ha tanto amato e tanto fatto per amore nostro. Difficile è anche accettare qualche verità, perché le verità della fede son di due specie: alcune gradite, altre ostiche al nostro spirito. Per esempio, è gradito sentire che Dio ha tanta tenerezza verso di noi, più tenerezza ancora di quella che ha una mamma verso i suoi figlioli, come dice Isaia. Com'è gradito e congeniale. C'è stato un grande vescovo francese, Dupanloup, che ai rettori dei seminari era solito dire: con i futuri sacerdoti, siate padri; siate madri. E' gradito. Con altre verità, invece, si fa fatica. Dio deve castigare; se proprio io resisto. Egli mi corre dietro, mi supplica di convertirmi ed io dico: no!, quasi sono io a costringerlo a castigarmi. Questo non è gradito. Ma è verità di fede. E c'è un'ultima difficoltà, la Chiesa. S. Paolo ha chiesto: Chi sei Signore? - Sono quel Gesù che tu perseguiti.
Una luce, un lampo ha attraversato la sua mente. Io non perseguito Gesù, manco lo conosco: perseguito invece i cristiani. Si vede che Gesù e i cristiani, Gesù e la Chiesa sono la stessa cosa: inscindibile, inseparabile.
Leggete San Paolo: « Corpus Christi quod est Ecclesia ». Cristo e Chiesa sono una sola cosa. Cristo è il Capo, noi, Chiesa, siamo le sue membra. Non è possibile aver la fede, e dire io credo in Gesù, accetto Gesù ma non accetto la Chiesa. Bisogna accettare la Chiesa, quella che è, e come è questa Chiesa? Papa Giovanni l'ha chiamata « Mater et Magistra ». Anche maestra. San Paolo ha detto: « Ognuno ci accetti come aiuti di Cristo ed economi e dispensatori dei suoi misteri ».
Quando il povero Papa, quando i vescovi, i sacerdoti propongono la dottrina, non fanno altro che aiutare Cristo. Non è una dottrina nostra, è quella di Cristo; dobbiamo solo custodirla, e presentarla. Io ero presente quando Papa Giovanni ha aperto il Concilio l'11 ottobre 1962. Ad un certo punto ha detto: Speriamo che con il Concilio la Chiesa faccia un balzo avanti. Tutti lo abbiamo sperato; però balzo avanti, su quale strada? Lo ha detto subito: sulle verità certe ed immutabili. Non ha neppur sognato Papa Giovanni che fossero le verità a camminare, ad andare avanti, e poi, un po' alla volta, a cambiare. Le verità sono quelle; noi dobbiamo camminare sulla strada di queste verità, capendo sempre di più, aggiornandoci, proponendole in una forma adatta ai nuovi tempi. Anche Papa Paolo aveva lo stesso pensiero. La prima cosa che ha fatto, appena fatto Papa, fu di entrare nella Cappella privata della Casa Pontificia; lì in fondo Papa Paolo ha fatto fare due mosaici: San Pietro e San Paolo: San Pietro che muore, San Paolo che muore; ma sotto San Pietro ci sono le parole di Gesù: Pregherò per te, Pietro, perché non venga mai meno la tua fede. Sotto San Paolo, che riceve il colpo di spada: ho consumato la mia corsa, ho conservato la fede. Voi sapete che nell'ultimo discorso del 29 giugno, Paolo VI ha detto: dopo quindici anni di pontificato, posso ringraziare il Signore; ché ho difeso, ho conservato la fede.
E' madre anche la Chiesa. Se è continuatrice di Cristo e Cristo è buono: anche la Chiesa deve essere buona; buona verso tutti; ma se per caso, qualche volta ci fossero nella Chiesa dei cattivi? Noi ce l'abbiamo, la mamma. Se la mamma è malata, se mia madre per caso diventasse zoppa, io le voglio più bene ancora. Lo stesso, nella Chiesa: se ci sono, e ci sono, dei difetti e delle mancanze, non deve mai venire meno il nostro affetto verso la Chiesa. Ieri - e finisco - mi hanno mandato il numero di « Città Nuova »: ho visto che hanno riportato, registrandolo, un mio brevissimo discorso, con un episodio. Un certo predicatore Mac Nabb, inglese, parlando ad Hyde Park, aveva parlato della Chiesa. Finito, uno domanda la parola e dice: belle parole le sue. Però io conosco qualche prete cattolico, che non è stato coi poveri e si è fatto ricco. Conosco anche dei coniugi cattolici che hanno tradito la loro moglie; non mi piace questa Chiesa fatta di peccatori. Il Padre ha detto: ha un po' ragione, ma posso fare un'obiezione? - Sentiamo - Dice: scusa, ma sbaglio oppure il colletto della tua camicia è un po' unto? - Dice: sì, lo riconosco. - Ma è unto, perché non hai adoperato il sapone, o perché hai adoperato il sapone e non è giovato a niente? No, dice, non ho adoperato il sapone. Ecco. Anche la Chiesa cattolica ha del sapone straordinario: vangelo, sacramenti, preghiera. Il vangelo letto e vissuto; i sacramenti celebrati nella dovuta maniera; la preghiera ben usata sarebbero un sapone meraviglioso capace di farci tutti santi. Non siamo tutti santi, perché non abbiamo adoperato abbastanza questo sapone. Vediamo di corrispondere alle speranze dei Papi, che hanno indetto e applicato il Concilio, Papa Giovanni, Papa Paolo. Cerchiamo di migliorare la Chiesa, diventando noi più buoni. Ciascuno di noi e tutta la Chiesa potrebbe recitare la preghiera ch'io sono solito recitare: Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri.
Io devo dire una parola anche ai nostri cari ammalati, che vedo lì. Lo sapete, Gesù ha detto: mi nascondo dietro a loro; quello che viene fatto a loro vien fatto a me. Quindi nelle loro persone noi veneriamo il Signore stesso e auguriamo che il Signore sia loro vicino, li aiuti, e li sostenga.
A destra invece ci sono gli sposi novelli. Hanno ricevuto un grande sacramento; facciamo voti che questo sacramento ricevuto sia veramente apportatore non solo di beni di questo mondo, ma più di grazie spirituali. Nel secolo scorso c'era in Francia Federico Ozanam, grande professore; insegnava alla Sorbona, ma eloquente, ma bravissimo! Suo amico era Lacordaire, il quale diceva: « E' così bravo, è così buono, si farà prete, diventerà un vescovone, questo qui! ». No! Ha incontrato una brava signorina, si sono sposati. Lacordaire c'è rimasto male, e ha detto: « Povero Ozanam! E' cascato anche lui nella trappola! ». Ma due anni dopo, Lacordaire venne a Roma, e fu ricevuto da Pio IX. « Venga, Padre, - dice - venga. Io ho sempre sentito dire che Gesù ha istituito sette sacramenti: adesso viene Lei, mi cambia le carte in tavola; mi dice che ha istituito sei sacramenti, e una trappola! No, Padre, il matrimonio non è una trappola, è un grande sacramento! ». Per questo facciamo di nuovo gli auguri a questi cari Sposi; che il Signore li benedica.
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 20 settembre 1978
La speranza
Seconda tra le sette « lampade della santificazione » per papa Giovanni era la speranza. Vi parlo oggi di questa virtù, che è obbligatoria per ogni cristiano. Dante nel suo Paradiso (1) ha immaginato di presentarsi a un esame di cristianesimo. Funzionava una commissione coi fiocchi. « Hai la fede? » gli chiede prima San Pietro. « Hai la speranza? » continua S. Giacomo. « Hai la carità? » finisce S. Giovanni. « Sì - risponde Dante - ho la fede, ho la speranza, ho la carità », lo dimostra e viene promosso a pieni voti. Ho detto che è obbligatoria: non per questo la speranza è brutta o dura: anzi, chi la vive viaggia in un clima di fiducia e di abbandono, dicendo con il salmista: « Signore, tu sei la mia roccia, il mio scudo, la mia fortezza, il mio rifugio, la mia lampada, il mio pastore, la mia salvezza. Anche se si accampasse contro di me un esercito, non temerà il mio cuore; e se si leva contro di me la battaglia, anche allora io sono fiducioso ».
Direte: non è esageratamente entusiasta questo salmista? Possibile che, a lui, le cose siano sempre andate tutte diritte? No, non gli sono andate diritte sempre. Sa anche lui, e lo dice, che i cattivi spesso sono fortunati ed i buoni oppressi. Se ne è anche lamentato talvolta con il Signore; è arrivato a dire: « Perché dormi, Signore? Perché taci? Svegliati, ascoltami, Signore ». Ma la sua speranza è rimasta: ferma, incrollabile. A lui e a tutti gli speranti si può applicare quello che ha detto S. Paolo di Abramo: « credette sperando contro ogni speranza »(2). Direte ancora: come può avvenire questo? Avviene, perché ci si attacca a tre verità: Dio è onnipotente, Dio mi ama immensamente, Dio è fedele alle promesse. Ed è Lui, il Dio della misericordia, che accende in me la fiducia; per cui io non mi sento né solo, né inutile, né abbandonato, ma coinvolto in un destino di salvezza, che sboccherà un giorno nel Paradiso. Ho accennato ai Salmi. La stessa sicura fiducia vibra nei libri dei Santi. Vorrei che leggeste un'omelia tenuta da S. Agostino nel giorno di Pasqua sull'Alleluia. Il vero Alleluia - dice pressappoco - lo canteremo in Paradiso. Quello sarà l'Alleluia dell'amore pieno: questo, di adesso, è l'Alleluia dell'amore affamato, cioè della speranza.
Qualcuno dirà: ma se io sono povero peccatore? Gli rispondo come risposi a una signora sconosciuta, che s'era confessata da me molti anni fa. Essa era scoraggiata, perché - diceva - aveva avuta una vita moralmente burrascosa. Posso chiederle - dissi - quanti anni ha? - Trentacinque. - Trentacinque! Ma lei può viverne altri quaranta o cinquanta e fare ancora un mucchio di bene. Allora, pentita com'è, invece che pensare al passato, si proietti verso l'avvenire e rinnovi, con l'aiuto di Dio, la sua vita. Citai in quell'occasione S. Francesco di Sales, che parla delle « nostre care imperfezioni ». Spiegai: Dio detesta le mancanze, perché sono mancanze. D'altra parte, però, in un certo senso, ama le mancanze in quanto danno occasione a Lui di mostrare la sua misericordia e a noi di restare umili e di capire e compatire le mancanze del prossimo.
Non tutti condividono questa mia simpatia per la speranza. Nietzsche - per esempio - la chiama « virtù dei deboli »; essa farebbe del cristiano un inutile, un separato, un rassegnato, un estraneo al progresso del mondo. Altri parlano di « alienazione », che distoglierebbe i cristiani dalla lotta per la promozione umana. Ma « il messaggio cristiano - ha detto il Concilio - lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo... li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente »(3).
Sono anche affiorate ogni tanto nel corso dei secoli affermazioni e tendenze di cristiani troppo pessimisti nei confronti dell'uomo. Ma tali affermazioni sono state disapprovate dalla Chiesa e dimenticate grazie ad una schiera di santi lieti e operosi, all'umanesimo cristiano, ai maestri ascetici, che Saint-Beuve chiamò « les doux » e a una teologia comprensiva. S. Tommaso d'Aquino, ad esempio, pone tra le virtù la iucunditas ossia la capacità di convertire in un sorridere giocondo - nella misura e nel modo conveniente - le cose udite e vedute(4). Giocondo a questo modo - spiegavo ai miei alunni - è stato quel muratore irlandese che cascò dall'impalcatura e si ruppe le gambe. Portato all'ospedale, accorsero il dottore e la suora infermiera. « Poverino - disse quest'ultima - vi siete fatto male cascando ». Ma il malato: « Madre, non precisamente cascando, ma arrivando a terra mi son fatto male ». Dichiarando virtù lo scherzare e il far sorridere, S. Tommaso si trovava d'accordo con la « lieta novella » predicata da Cristo, con l'hilaritas raccomandata da Sant'Agostino, sconfiggeva il pessimismo, vestiva di letizia la vita cristiana, ci invitava a farci coraggio anche con le gioie sane e pure, che incontriamo sul nostro cammino. Quand'ero ragazzo, ho letto qualcosa su Andrea Carnegie scozzese, passato coi genitori in America e diventato un po' alla volta uno dei più ricchi uomini del mondo. Egli non era cattolico, ma mi colpì il fatto che ritornasse con insistenza sulle gioie schiette ed autentiche della sua vita. « Sono nato in miseria - diceva - ma non cambierei i ricordi della mia fanciullezza con quelli dei figli dei milionari. Che ne sanno essi delle gioie familiari, della dolce figura di madre che combina in sé le mansioni di bambinaia, di lavandaia, di cuoca, di maestra, di angelo e di santa? ». S'era impiegato giovanissimo in una filanda di Pittsburg con 56 misere lire mensili di stipendio. Una sera, invece di dargli subito lo stipendio, il cassiere gli disse di attendere. Carnegie tremava: « Adesso mi licenziano ». Invece, pagati gli altri, il cassiere gli disse: « Andrea, ho seguito attentamente il vostro lavoro; ho concluso che vale di più di quello degli altri. Vi porto lo stipendio a 67 lire ». Carnegie tornò correndo a casa, dove la mamma pianse di contentezza per la promozione del figlio. « Parlate di milionari - diceva Carnegie molti anni dopo - tutti i miei milioni messi assieme non mi hanno procurato mai la gioia di quelle undici lire di aumento ». Certo, queste gioie, pur buone e incoraggianti, non vanno assolutizzate; sono qualcosa, non il tutto; servono come mezzo, non sono lo scopo supremo; non durano sempre, ma solo breve tempo. « Di esse - scriveva S. Paolo - usino i cristiani, ma come non ne usassero, perché passa la scena di questo mondo »(5). Cristo aveva già detto: « Cercate prima di tutto il regno di Dio »(6).
Per finire, vorrei accennare ad una speranza, che da alcuni è proclamata cristiana, ed invece è cristiana solo fino ad un certo punto. Mi spiego: al Concilio ho votato anch'io il « Messaggio al Mondo » dei Padri Conciliari. Dicevamo in esso: il compito principale del divinizzare non esime la Chiesa dal compito dell'umanizzare. Ho votato la « Gaudium et Spes », mi sono commosso ed entusiasmato quando è uscita la « Populorum Progressio ». Penso che il Magistero della Chiesa non insisterà mai abbastanza nel presentare e raccomandare la soluzione dei grandi problemi della libertà, della giustizia, della pace, dello sviluppo; ed i laici cattolici mai abbastanza si batteranno per risolvere questi problemi. È, invece, errato affermare che la liberazione politica, economica e sociale coincide con la salvezza in Gesù Cristo, che il Regnum Dei si identifica con il Regnum hominis, che Ubi Lenin ibi Ierusalem.
A Friburgo, nell'85° Katholikentag è stato trattato nei giorni scorsi il tema « il futuro della speranza ». Si parlava del « mondo »da migliorare, e la parola « futuro » ci stava bene. Ma se dalla speranza per il « mondo » si passa a quella per le singole anime, allora bisogna parlare anche di « eternità ». Ad Ostia, sulla riva del mare, in un famoso colloquio, Agostino e Monica, « dimentichi del passato e volti all'avvenire, si domandavano cosa sarebbe stata mai la vita eterna »(7). Questa è speranza cristiana; questa intendeva papa Giovanni e questa intendiamo noi, quando, con il catechismo, preghiamo: « Mio Dio, spero dalla bontà vostra... la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Mio Dio, che io non resti confuso in eterno ».
Ai partecipanti alla riunione del Comitato europeo mondiale delle religioni per la pace
Nous adressons un salut cordial aux membres du Comité européen de la Conférence mondiale des Religions pour la Paix, réunis ces jours-ci à Rome.
Nous vous remercions de votre visite, car Nous apprécions votre action au service de la paix du monde grâce à la prière, aux efforts d'éducation à la paix, à la réflexion sur les principes fondamentaux qui doivent déterminer les rapports entre les hommes. Pour que la paix, en effet, se réalise, sa nécessité doit être profondément ressentie par la conscience, car elle nait d'une conception fondamentalement spirituelle de l'humanité. Cet aspect religieux pousse non seulement au pardon et à la réconciliation, mais aussi à l'engagement pour favoriser l'amitié et la collaboration entre les individus et les peuples.
Que Dieu qui aime tous les hommes et qui a voulu être le Père de tous, vous aide dans cette oeuvre!
Ad un pellegrinaggio nazionale dal Kenya
It is a special joy to have the pilgrimage from Kenya, sponsored by the Consolata Fathers. My prayerful greetings go back with you to all the members of your families, to all your loved ones. God bless Kenya!
(1) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, « Paradiso », XXIV, XXV, XXVI.
(2) Rom. 4, 18.
(3) Gaudium et Spes, 34; cfr. ibid. 39 et 57; cfr. etiam Messaggio al Mondo dei Padri Conciliari, 20 ottobre 1962.
(4) Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-IIae, q. 168, a. 2.
(5) Cfr.1 Cor. 7, 31.
(6) Matth. 6, 33.
(7) S. AUGUSTINI Confessiones, IX, 10. GIOVANNI PAOLO I
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 27 settembre 1978
La carità
« Mio Dio, amo con tutto il cuore sopra ogni cosa Voi, bene infinito e nostra eterna felicità, e per amor Vostro amo il prossimo mio come me stesso e perdono le offese ricevute. O Signore, ch'io Vi ami sempre più ». È una preghiera notissima intarsiata di frasi bibliche. Me l'ha insegnata la mamma. La recito più volte al giorno anche adesso e cerco di spiegarvela, parola per parola, come farebbe un catechista di parrocchia. Siamo alla « terza lampada di santificazione » di Papa Giovanni: la carità. Amo. A scuola di filosofia il professore mi diceva: Tu conosci il campanile di San Marco? Sì? Ciò significa ch'esso è entrato in qualche modo nella tua mente: fisicamente è rimasto dov'era, ma nel tuo intimo esso ha impresso quasi un suo ritratto intellettuale. Tu, invece, ami il campanile di S. Marco? Ciò significa che quel ritratto, da dentro, ti spinge e ti inclina, quasi ti porta, ti fa andare con l'animo verso il campanile ch'è fuori. Insomma: amare significa viaggiare, correre con il cuore verso l'oggetto amato. Dice l'imitazione di Cristo: chi ama « currit, volat, laetatur », corre, vola e gode (1). Amare Dio è dunque un viaggiare col cuore verso Dio. Viaggio bellissimo. Ragazzo, mi estasiavo nei viaggi descritti da Giulio Verne (« Ventimila leghe sotto i mari », « Dalla terra alla luna », « Il giro del mondo in ottanta giorni », ecc.). Ma i viaggi dell'amore a Dio sono molto più interessanti. Li si legge nella vita dei Santi. S. Vincenzo de' Paoli, di cui celebriamo oggi la festa, per esempio, è un gigante della carità: ha amato Dio come non si ama un padre e una madre, è stato lui stesso un padre per prigionieri, malati, orfani e poveri. S. Pietro Claver, consacrandosi tutto a Dio, firmava: Pietro, schiavo dei negri per sempre. Il viaggio porta anche dei sacrifici, ma questi non devono fermarci. Gesù è in croce: tu lo vuoi baciare? non puoi fare a meno di piegarti sulla croce e lasciarti pungere da qualche spina della corona, che è sul capo del Signore (2). Non puoi far la figura del buon S. Pietro, che è stato bravo a gridare « Viva Gesù » sul monte Tabor, dove c'era la gioia, ma non s'è neppure lasciato vedere accanto a Gesù sul monte Calvario, dove c'era il rischio e il dolore (3). L'amore a Dio è anche viaggio misterioso: io non parto cioè, se Dio non prende prima l'iniziativa. « Nessuno - ha detto Gesù - può venire a me, se non lo attira il Padre » (4). Si chiedeva S. Agostino: ma, allora, la libertà umana? Dio, però, che ha voluto e costruito questa libertà, sa Lui come rispettarla, pur portando i cuori al punto da Lui inteso: « parum est voluntate, etiam voluptate traheris »; Dio non soltanto ti attira in modo che tu stesso voglia, ma perfino in modo che tu gusti di essere attirato (5). Con tutto il cuore. Sottolineo, qui, l'aggettivo « tutto ». Il totalitarismo, in politica è brutta cosa. In religione, invece, un nostro totalitarismo nel confronto di Dio va benissimo. Sta scritto: « Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte » (6). Quel « tutto » ripetuto e piegato alla pratica con tanta insistenza è davvero la bandiera del massimalismo cristiano. Ed è giusto: è troppo grande Dio, troppo Egli merita da noi, perché gli si possano gettare, come ad un povero Lazzaro, appena poche briciole del nostro tempo e del nostro cuore. Egli è bene infinito e sarà nostra felicità eterna: i denari, i piaceri, le fortune di questo mondo, al suo confronto, sono appena frammenti di bene e momenti fugaci di felicità. Non sarebbe saggio dare tanto di noi a queste cose e poco di noi a Gesù. Sopra ogni cosa. Adesso si viene ad un confronto diretto tra Dio e l'uomo, tra Dio e il mondo. Non sarebbe giusto dire: « O Dio o l'uomo ». Si devono amare « e Dio e l'uomo »; quest'ultimo, però, mai più di Dio o contro Dio o alla pari di Dio. In altre parole: l'amore di Dio è bensì prevalente, ma non esclusivo. La Bibbia dichiara Giacobbe santo (7) e amato da Dio (8), lo mostra impegnato in sette anni di lavoro per conquistarsi Rachele come moglie; « e gli parvero pochi giorni, quegli anni, tanto era il suo amore per lei » (9). Francesco di Sales fa sopra queste parole un commentino: « Giacobbe - scrive - ama Rachele con tutte le sue forze, e con tutte le sue forze ama Dio; ma non per questo ama Rachele come Dio né Dio come Rachele. Ama Dio come suo Dio sopra tutte le cose e più di se stesso; ama Rachele come sua moglie sopra tutte le altre donne e come se stesso. Ama Dio con amore assolutamente e sovranamente sommo, e Rachele con sommo amore maritale; l'un amore non è contrario all'altro perché quello di Rachele non viola i supremi vantaggi dell'amore di Dio » (10). E per amor vostro amo il prossimo mio. Siamo qui di fronte a due amori che sono « fratelli gemelli »e inseparabili. Alcune persone è facile amarle; altre, è difficile; non ci sono simpatiche, ci hanno offeso e fatto del male; soltanto se amo Dio sul serio, arrivo ad amarle, in quanto figlie di Dio e perché questi me lo domanda. Gesù ha anche fissato come amare il prossimo: non solo cioè con il sentimento, ma coi fatti. Questo è il modo, disse. Vi chiederò: Avevo fame nella persona dei miei fratelli più piccoli, mi avete dato da mangiare? Mi avete visitato, quand'ero infermo? (11)
Il catechismo traduce queste ed altre parole della Bibbia nel doppio elenco delle sette opere di misericordia corporali e sette spirituali. L'elenco non è completo e bisognerebbe aggiornarlo. Fra gli affamati, per esempio, oggi, non si tratta più soltanto di questo o quell'individuo; ci sono popoli interi.
Tutti ricordiamo le grandi parole del papa Paolo VI: « I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello » (12). A questo punto alla carità si aggiunge la giustizia, perché - dice ancora Paolo VI - « la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario » (13). Di conseguenza « ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile » (14).
Alla luce di queste forti espressioni si vede quanto - individui e popoli - siamo ancora distanti dall'amare gli altri « come noi stessi », che è comando di Gesù.
Altro comando: perdono le offese ricevute. A questo perdono pare quasi che il Signore dia precedenza sul culto: « Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono »(15).
Ultime parole della preghiera sono: Signore, ch'io vi ami sempre più. Anche qui c'è obbedienza a un comando di Dio, che ha messo nel nostro cuore la sete del progresso. Dalle palafitte, dalle caverne e dalle prime capanne siamo passati alle case, ai palazzi, ai grattacieli; dai viaggi a piedi, a schiena di mulo o di cammello, alle carrozze, ai treni, agli aerei. E si desidera progredire ancora con mezzi sempre più rapidi, raggiungendo mete sempre più lontane. Ma amare Dio - l'abbiamo visto - è pure un viaggio: Dio lo vuole sempre più intenso e perfetto. Ha detto a tutti i suoi: « Voi siete la luce del mondo, il sale della terra » (16); « siate perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste » (17). Ciò significa: amare Dio non poco, ma tanto; non fermarsi al punto in cui si è arrivati, ma col Suo aiuto, progredire nell'amore.
(1) L'imitazione di Cristo, 1.III, c. V, n. 4.
(2) Cfr. S. FRANCESCO DI SALES, OEuvres, éd. Annecy, t. XXI, p. 153.
(3) Cfr. Ibid., t. XV, p. 140.
(4) Io. 6, 44.
(5) S. AUGUSTINI In Io. Evang. tract., 26, 4.
(6) Deut. 6, 5-9.
(7) Dan. 3, 35.
(8) Mal. 1, 2; Rom. 9, 13.
(9) Gen. 29, 20.
(10) S. FRANCESCO DE SALES, OEuvres, éd. Annecy, t. V, p. 175.
(11) Cfr. Matth. 25, 34 ss.
(12) Populorum Progressio, 3.
(13) Ibid. 22.
(14) Ibid. 53.
(15) Matth. 5, 23-24.
(16) Matth. 5, 8.
(17) Ibid. 5, 48.
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