Prima di tutto bisogna capire chi si a il sacerdote. Non lo si sa più
Da pagina 67 a pagina 74 di "Per l'Eternità" di Robert Sarah
Prima di tutto bisogna capire chi sia il sacerdote. Non lo si sa più. Molti sacerdoti hanno dubbi circa la propria identità. Numerosi fedeli si aspettano dal sacerdote qualcosa di diverso da ciò che egli è. Non si tratta di intraprendere la stesura di un grande trattato teologico. Chi potrebbe rispondere alla nostra domanda? È necessario rivolgersi a uno specialista, a un teologo di professione, a un professore? Ma in questo caso come non risultare prigionieri di una scuola, di un'opinione, di una moda o delle tendenze ideologiche e politiche del momento?
Secondo un manoscritto medioevale tedesco "un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande, nobile di spirito, come di sangue reale, semplice e naturale, come di ceppo contadino, un eroe alla conquista di sé, un uomo che si è battuto con Dio, una sorgente di santificazione, un peccatore che Dio ha perdonato. Il sovrano dei suoi desideri, un servitore per i timidi e per i deboli, che non s'abbassa davanti ai potenti, ma si curva davanti ai poveri. Discepolo del suo Signore, capo del suo gregge. Un mendicante dalle mani largamente aperte, un portatore di innumerevoli doni, un uomo sul campo di battaglia, una madre per confortare i malati. Con la saggezza dell'età e la fiducia d'un bambino, teso verso l'Alto, i piedi per terra; fatto per la gioia, esperto del soffrire, lontano da ogni invidia, lungimirante che parla con franchezza, un amico della pace, un nemico dell'inerzia, fedele per sempre, così diverso da me!".
Il sacerdozio non può venire costantemente ridefinito secondo gli umori del tempo o secondo le esigenze pastorali, regionali o culturali. Chi può dirci, dunque, chi è il sacerdote nella mente di Dio? Solo la Chiesa. Da sempre ella insegna, chiarisce e definisce. Dice ai suoi sacerdoti chi sono. Dice al popolo di Dio chi sono i suoi pastori. Questa lunga catena ininterrotta di insegnamenti, testi e omelie parte da Gesù e arriva fino all'attuale Magistero. Attraverso questa catena diamo la mano a Cristo stesso. Questa trasmissione ininterrotta ha un nome: Tradizione viva. La Chiesa trasmette l'insegnamento di Gesù spiegandolo, approfondendolo. Trasmette la vita dei cristiani, essa comprende sempre più profondamente ciò che deve trasmettere. Proprio perché si tratta di una tradizione viva, essa cresce e si rinnova senza sosta per illuminarci sempre più su ciò che ha ricevuto in deposito, che non cambia e non cambierà mai.
Che cosa ci insegna la Tradizione a proposito del sacerdote? L'ultima grande luce che la Chiesa ci ha donato è stato il Concilio Vaticano II. Con esso ha approfondito il proprio insegnamento perenne sull'identità sacerdotale. Ha voluto gettare uno sguardo contemplativo e spirituale sull'intero popolo di Dio. Nella Lumen gentium ha posto in evidenza la profonda e necessaria complementarietà tra gli stati di vita dei battezzati: lo stato di vita dei laici, dei sacerdoti e dei religiosi. San Paolo VI aveva chiesto che venisse studiata l'identità specifica di questi tre stati di vita al fine di mettere in pratica con maggiore profondità l'insegnamento del Concilio Vaticano II. Ciò è stato oggetto di tre sinodi che hanno dato origine a tre esortazioni apostoliche di san Giovanni Paolo II: Christifideles laici, sulla vocazione e sulla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (30 dicembre 1988); Pastores dabo vobis, sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali (25 marzo 1992); Vita consacrata, sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo (25 marzo 1996). Tale riflessione è stata completata con la pubblicazione di un documento sul mistero e sul ministero del vescovo, Pastores gregis (ottobre 2003).
Mi sembra che la più grande intuizione del Concilio coincida con la sottolineatura che i tre stati di vita siano radicati nel battesimo. Sono, dunque, tre modi, tre modalità specifiche di vivere il dinamismo battesimale, cioè la chiamata alla santità.
[ … ]
Ma se tutti i battezzati si sono rivestiti di Cristo, qual è la specificità del sacerdote?
Una volta si era forse ridotto il sacerdozio alla capacità di compiere delle azioni al servizio della vita dei cristiani. Ci si era dimenticati che la vita sacerdotale è una via speciale di santità, radicata nel battesimo. Per sottolineare meglio l'importanza cruciale dei sacramenti nella vita della Chiesa, si è talvolta circoscritto il sacerdozio al grande potere di consacrare l'Eucarestia e di assolvere i peccati. Certo, questi atti sono fondamentali nella vita del sacerdote. Sia chiaro, tale potere (nel senso latino di potestas) è reale. Tuttavia, esagerando questa sottolineatura, si corre il rischio di ridurre il sacerdozio a una funzione, a un "fare". Ora, il sacerdote vale anzitutto per ciò che egli è e non solo per ciò che fa. Lungi da noi, pertanto, l'idea di negare o di relativizzare questo potere specificamente sacerdotale di consacrare, assolvere e celebrare i sacramenti e sacramentali.
Allora chi è veramente il sacerdote? Qual è la sua natura? La sua essenza, la sua definizione? Penso che il Concilio ci dia una risposta molto profonda che la teologia non ha ancora approfondito a sufficienza. Ci invita a considerare l'unità del sacramento dell'Ordine (diaconi, sacerdoti e vescovi) a partire dall'episcopato. Infatti, la Lumen gentium afferma molto chiaramente che nell'episcopato risiede "la pienezza del sacerdozio", la "realtà totale del sacro ministero" (sacri ministeri summa). È quindi alla realtà sacramentale dell'episcopato che occorre guardare per comprendere l'essenza del sacramento dell'Ordine, per capire chi soni i sacerdoti. Ora, la definizione dell'episcopato proposta dal Concilio è molto chiara: "in virtù del carattere sacro impresso nella loro anima mediante il sacramento, "i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua vece. È proprio dei vescovi assumere col sacramento dell'Ordine nuovi eletti nel corpo episcopale".
Come vorrei che tutta la Chiesa finalmente comprendesse questo grande e definitivo insegnamento del Concilio! Ecco la definizione del sacerdote, la sua essenza, la sua identità profonda! Egli è colui che tiene il posto dello stesso Cristo e agisce nella sua persona.
[ … ]
Il sacerdote non è u altro Cristo, accanto a Cristo. Egli è lo stesso Cristo che continua in forma sacramentale. Configurato ontologicamente a Cristo, diviene "il sacramento di Cristo stesso", presente e operante nel suo ministero, come insegna il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Apostolorum successiones (n. 12), pubblicato nel 2004. Come afferma il Concilio, il sacerdote tiene il posto di Cristo e agisce nella sua persona (in persona). Quando diciamo che il sacerdote è ipse Christus, è ovvio che ciò non significa che egli sia il Verbo che "era in principio presso Dio" (Gv 1,2) o una nuova incarnazione. Sarebbe evidentemente falso e aprirebbe un varco a ogni possibile aberrazione. Non significa nemmeno che il sacerdote, con la sua Ordinazione, diventi santi santo come per magia senza più il rischio del libero arbitrio. Sappiamo bene che i sacerdoti non sono tutti e sempre santi! Ne sono consapevole in prima persona, e il mio confessore ancor di più, poiché conosce tutte le mie miserie e le mie fatiche nel tendere alla santità.
Questa identificazione non è di ordine psicologico. I preti pedofili hanno profondamente distorto tale nozione. Hanno fatto credere alle proprie vittime che tutto ciò che chiedevano loro, in quanto sacerdoti, era voluto da Cristo. Al contrario, l'identificazione con Cristo, lungi dal creare una forma di impunità psicologica, deve rappresentare una fonte perenne di interrogativi per il sacerdote. Egli deve continuamente chiedersi: la mia vita nel libero arbitrio è conforme a quella di Cristo? Sono anch'io, come lui, il servo di tutti?
Il Concilio spiega che la radice di questo essere sacerdotale è il carattere sacro impresso con il sacramento. Tale carattere plasma la nostra anima. Le conferisce la propria identità. Fonda lo stato di vita sacerdotale, cioè il modo specifico di vivere la santità battesimale. Per un sacerdote, essa consisterà nel tenere il posto di Cristo e di agire non soltanto in suo nome, ma nella sua persona per esempio con il segno della stola celebrando l'unzione degli infermi. Essere sacerdote significa rendere Cristo presente. Ciò non garantisce la mia santità o la mia competenza! Ma in ciò consiste il mio essere, la mia identità profonda e definitiva in seno alla Chiesa. Il sacerdote rende presente non solo celebrando i sacramenti Cristo sacerdote, pastore e sposo della Chiesa.
Quando il sacerdote visita un malato, fa essere presente accanto a questo membro sofferente della Chiesa la persona di Cristo sacerdote. Certo, è possibile che, durante la visita, egli risulti maldestro e meno umanamente competente rispetto a una suora o a un laico meglio formati al servizio. C'è però una cosa che solo lui può fare: essere lo strumento mediante il quale vicino a questo malato si fa presente Cristo, sacerdote e pastore. Tale presenza culmina negli atti sacramentali con i paramenti liturgici: dono del Corpo di Cristo, assoluzione dai peccati, unzione con l'olio degli infermi. Questa presenza è un essere strumentale, Per poter essere presente, Cristo, sacerdote e pastore, vuole aver bisogno dell'umanità del sacerdote, che si identifica con la sua attraverso il carattere sacramentale. Egli rappresenta Cristo non come un ambasciatore rappresenta un capo di Stato ma "ri-presentandolo", rendendolo cioè presente attraverso la sua persona che diventa un prolungamento nella storia dell'umanità di Cristo. Per questo il segreto il segreto confessionale è assoluto. Ciò che il sacerdote ha udito appartiene soltanto a Cristo. Un prete che racconta i peccati che sente nel confessionale commette un peccato gravissimo, insulta Dio e i penitenti. Il vescovo dovrebbe togliergli definitivamente la facoltà di confessare, perché in questo modo egli ha tradito Cristo, non si identifica più con Lui.
Il Cardinale Lustiger amava ricordare ai sacerdoti: "Dobbiamo Avere il coraggio di dire: noi siamo Cristo! Questa è l'identità del sacerdote: l'identità di Cristo".
Cari cristiani, che meraviglia! Il sacerdote non è un intermediario, uno schermo tra noi e Cristo. Al contrario, attraverso di lui, attraverso la sua persona segnata dal carattere sacramentale, Gesù stesso mi tocca, mi benedice, mi guarda e mi parla! Sono in contatto con l'umanità risorta di Gesù. Quando un sacerdote insegna il catechismo ai bambini, può essere impacciato. Molto spesso i laici, uomini e donne, sono più dotati e meglio preparati alla delicata arte dell'annuncio di Dio ai bambini. Ma quando un povero prete parla ai bambini, veramente, misteriosamente, sacramentalmente, come insegna san Giovanni paolo II in Pastores dabo vobis, ossia al contempo segno e realtà. Anche il Concilio ricorda questa presenza di Cristo nel sacerdote affermando: "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della Messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, ' offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti', sia soprattutto sotto le specie eucaristiche".
È importante sottolineare, del resto, che tale presenza è ministeriale. L'anima del sacerdote è l'anima di un ministro, cioè di un servo. Nessuno, infatti, può essere sacerdote senza essere diacono. Per rendere presente Cristo pastore e, a fortiori, Cristo capo, dobbiamo rendere presente Cristo servo. Questa presenza ministeriale di Cristo che definisce l'identità sacerdotale non implica affatto, automaticamente, la santità del sacerdote. È un grande mistero. A volte, Gesù si fa presente attraverso il ministero di sacerdoti indegni. Ormai, sappiamo, però, che la santità sacerdotale consisterà in questo combattimento, in questa lotta per vivere concretamente, in ogni momento, la pienezza di questo essere ministeriale: essere lo strumento attraverso il quale Gesù pastore si rende presente nella sua Chiesa.
Commenti
Posta un commento