Perr allontanare ogni possibile velleità di rompere con la Chiesa due esempi 'Martin Lutero e san Francesco'
Da pagina 30 a pagina 38 di PER L'ETERNITA' di Robert Sarah
Quali che siano le difficoltà che la Chiesa sta attraversando di questi tempi, quali che siano gli orribili scandali di cu si sono resi colpevoli alcuni alti prelati, quale che sia la corruzione finanziaria di cui essa è accusata, cari sacerdoti e cari fedeli laici, non permettiamo che si insinui in noi l'idea fatale di spezzare il vincolo di pace attraverso una separazione sacrilega dalla nostra Santa Madre Chiesa. Non illudiamoci di poter restare ancora nella società di Cristo per la salvezza eterna uscendo dalla Chiesa. Ripetiamolo ancora con Sant'Agostino: "Abbiamo […] lo Spirito Santo se amiamo la Chiesa; e amiamo la Chiesa, se rimaniamo nella sua unità e nella sua carità". Certo, molte cose nel contesto umano della Chiesa possono deluderci. Può anche darsi che, senza che ne abbiamo colpa, veniamo profondamente fraintesi. È addirittura possibile che, nel suo stesso seno, ci troviamo a subire delle persecuzioni. Tuttavia, davanti al Padre che unico vede nel segreto, rallegriamoci di partecipare in questo modo alla veritatis unitas che il Venerdì Santo imploriamo nell'attualizzazione dell'Eucarestia per tutti. Rallegriamoci se avremo acquistato al prezzo del sangue dell'anima questa esperienza intima che renderà efficaci i nostri accenti quando dovremo sostenere qualche fratello vacillante e quando rivolgeremo a lui le parole di san Giovanni Crisostomo: "Non ti allontanare dalla Chiesa; niente vi è più forte della Chiesa. La Chiesa è la tua unica speranza, la Chiesa la tua salvezza, la Chiesa il tuo rifugio. È più in alto del cielo e più vasta della terra. Non invecchia mai, è sempre nel vigore delle proprie forze".
Per allontanare ogni forma di scoramento e di ogni possibile velleità di rompere con la Chiesa, proponiamo due esempi: Martin Lutero e san Francesco d'Assisi. A mo' di introduzione, esaminiamo ciò che al riguardo scrive Georges Bernanos. Il grande scrittore cattolico oppone all'atteggiamento del riformatore la resistenza dei santi. Nell'opera intitolata Fratello Martin, troviamo questa luminosissima riflessione: "Vi sono dei farisei nella Chiesa, il fariseismo seguita a circolare nelle vene del gran corpo, e ogni volta che la carità si affievolisce, l'infezione cronica sbocca in una crisi acuta. […] l'indignazione non ha mai redento nessuno e probabilmente ha portato a perdizione molte anime, e i baccanali simoniaci di Roma del sedicesimo secolo non sarebbero stati gran che vantaggiosi per il diavolo se non avessero condotto al risultato unico di gettare nella disperazione di Lutero e, assieme all'indomabile monaco, i due terzi della dolente cristianità. Lutero e i suoi hanno disperato della Chiesa, e chi dispera della Chiesa – è strano – finisce, presto o tardi, per disperare anche dell'uomo. Da questo punto di vista il protestantesimo appare un compromesso con la disperazione. […] La disgrazia di Martin Lutero fu la pretesa di riformare […]. Chi pretende di riformare la Chiesa con gli stessi mezzi che si usano per riformare una società di questo mondo, non solo fallisce nella sua impresa, ma infallibilmente finisce di trovarsi fuori della Chiesa […]. Si riforma la Chiesa soffrendo per lei, si riforma la Chiesa visibile soffrendo per la Chiesa invisibile. Si riformano i vizi della Chiesa solo dando senza risparmio l'esempio delle sue virtù più eroiche virtù. Può darsi che san Francesco non sia stato meno disgustato di Lutero della dissolutezza e della simonia dei prelati. È certo che ne ha sofferto di più, perché era di natura diversa del monaco di Weimar. Per egli non ha sfidato l'iniquità, non ha tentato di fronteggiarla, s'è gettato nella povertà, vi si è sprofondato più che ha potuto, insieme ai suoi, come nella sorgente d'ogni remissione, d'ogni purezza. Invece di cercare di togliere alla Chiesa i beni mai acquistati, l'ha colpata di tesori invisibili, e, sotto la dolce mano d'un tale mendicante, il mucchio d'oro e di lussuria è fiorito come una siepe nel mese di aprile. […] La Chiesa non ha bisogno di riformatori, ma di santi".
Parliamo anzitutto del riformatore Martin Lutero. Nel 2017 abbiamo commemorato il cinquecentesimo anniversario dell'affissione da parte del monaco agostiniano, su una Chiesa di Wittenberg, delle novantacinque tesi che condannano, in particolare, la pratica delle indulgenze come la Chiesa insegna, ma anche altri punti che riguardano la fede, per esempio la realtà del purgatorio. Questo atto pubblico è solitamente considerato l'inizio di ciò che viene chiamata "Riforma". In realtà, prima ancora di tutte le sventure che sarebbero seguite, Lutero aveva rotto con la Chiesa di Cristo già nel 1517, quando aveva incominciato a osservare soltanto le proprie errate convinzioni personali. Eppure, come si vedrà, Lutero era stato un monaco pio e zelante.
Nato nel 1483 da una buona famiglia cristiana, Martin fu attratto ben presto dalla religione e in seguito dalla teologia. Suo padre desiderava diventasse un giurista; egli decise però di farsi monaco agostiniano, entrando nell'Ordine di Sant'Agostino nel 1505. Ordinato sacerdote nel 1507, ottenne il dottorato in teologia nel 1512. Da questa data in poi, la sua occupazione sarà quella di insegnare e predicare. Lutero aveva ricevuto una buona formazione, e a livello intellettuale fu sicuramente influenzato dalla lettura di molti importanti autori, quali Aristotele e Guglielmo di Ockham. È tuttavia sulla base della propria personale vita interiore, della propria intima esperienza spirituale, che Lutero avrebbe costruito una nuova dottrina, lontana dall'insegnamento della Chiesa Cattolica. Era dotato, inoltre, di un temperamento focoso e passionario, preda di forti tentazioni, per esempio contro la castità, con un debole per la buona tavola, una propensione alla collera e un desiderio di indipendenza, fino all'orgoglio…Nel 1515, nel quadro del suo insegnamento, prese a commentare le Lettere di san Paolo, in particolare la prima – secondo il canone biblico – ossia la Lettera ai Romani, immediatamente ricca, di incredibile splendore, ma anche di formidabile difficoltà di comprensione. A partire da ciò che ritenne di aver capito di quel testo, affidandosi esclusivamente al proprio pensiero e senza fare affidamento alla Tradizione della Chiesa, Luterò elaborò una nuova teologia che si presentava, fin da subito, radicalmente incompatibile con quella della Chiesa Cattolica, anche se la rottura pubblica e manifesta si sarebbe verificata soltanto più tardi. La domanda che lo tormentava era la seguente: "Posso salvarmi se sono ancora assalito dalle tentazioni".
Secondo la dottrina cattolica, per i meriti di Cristo l'uomo che accetta la divina Rivelazione mediante la fede, e che, mosso dalla speranza della salvezza divina, si pente dei propri peccati e si rivolge a Dio, ottiene per grazia il perdono dei peccati e la santificazione della propria anima. Così, secondo l'espressione di san Pietro, egli diene "partecipe della natura divina" (2 Pt 1,4). "Infatti, brillando in noi l'Unigenito, siamo trasformati nel Verbo stesso che tutto vivifica". "Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati" (Ef 2,4-5). Il cristiano che vive della carità è, dunque trasformato, santificato interiormente, è divenuto realmente l'Amico di Dio attraverso una somiglianza reale e stabile con Lui. Come Amico Di Dio, egli compie spontaneamente le Sue opere, le buone opere di virtù che, per la grazia di Cristo presente in lui, gli procurano la salvezza e la felicità in Cielo.
Lutero rifiuta questa verità. Per lui, il fatto di aver abbracciato la fede e la vita cristiana non cancella il peccato dall'anima. Per Martin Lutero, il cristiano resta, in realtà, sempre un peccatore e la su anima totalmente corrotta. Ora, poiché con il sacrificio della Croce Cristo ha meritato per gli uomini la salvezza, il manto dei suoi meriti ricopre la sporcizia della mia anima e Dio, nostro Padre, vedendomi rivestito di questo manto, mi ammette in Cielo. Le buone opere, quindi, non possono vantare alcun merito, perché interiormente l'uomo rimane sempre peccatore; semplicemente, esse incoraggiano il cristiano a perseverare nella fede che copre i propri peccati.
Questo è il nucleo che Lutero chiama "La verità del Vangelo" cui offrire la nostra fiducia. Da qui discende naturalmente il resto della sua dottrina: in primo luogo, la messa in discussione della Chiesa come sacramento della presenza e dell'azione sacramentale del Risorto attraverso di lei. Essa non è divina, se non altro perché sostiene che l'umo può salvarsi con le buone opere, mentre, come Lutero ha potuto verificare nella deludente esperienza della vita monastica – le buone opere non sono in grado di cancellare il peccato. Poiché l'anima non viene trasformata dalla grazia, i sacramenti non vi operano più alcunché di reale. Per lo stesso motivo, la Santa Messa perde ogni significato. Resterà una semplice memoria della Cena, perché ci si rammenti dell'unico sacrificio di Cristo sulla Croce e si ravvivi la nostra fede nella sua redenzione di copertura del peccato, non di liberazione, di ricreazione. Lutero, però, non si accontenta di questa marginalizzazione della Messa. Sacerdote in rotta con la società, monaco infedele ai propri voti, egli sviluppa un odio per il Santo Sacrificio della Messa: "La messa, afferma nel 1521, "è il più terribile abominio di tutte le idolatrie papiste". E conclude: "Se cade la messa, crolla il papato". Poiché le buone opere, soprattutto i voti monastici sono inutili e ingannevoli, Lutero decide di tornare allo stato laicale e, nel1525 sposa una ex religiosa, Catherine de Bora, dalla quale avrà sei figli. Quando Lutero morì, il 18 febbraio 1546, la Guerra dei Trent'anni devastava la Germania, una guerra che si estese a quasi tutta Europa e poi a tutto il mondo.
Martin Lutero, il riformatore, ha dunque fallito: invece di purificare la Chiesa da l'interno, ha dilaniato il Corpo mistico di Cristo, provocando terribili guerre di religione. Dio, però, regge il mondo attraverso la Provvidenza. Infatti, quando nel 1521 la Chiesa scomunicò Lutero, nello stesso anno Dio fece nascere Sant'Ignazio di Loyola che, con i suoi collegi per i giovani e gli Esercizi spirituali, cercò di restaurare l'anima della Chiesa e di contribuire alla sopravvivenza della cristianità.
Come vedremo, era avvenuto tutto il contrario nel caso di Francesco d'Assisi, che, nel XIII secolo, aveva intrapreso la riforma della Chiesa attraverso la santità cioè l'osservanza dei comandamenti e i precetti della Chiesa nella grazia e la penitenza della povertà e dell'amore a Cristo nei poveri. Per comprendere il percorso di riforma di san Francesco, dobbiamo partire dalla sua conversione, e concretamente da ciò che viene chiamato il "bacio del lebbroso". Ne dà testimonianza egli stesso in questi termini: "Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, sentii un poco e uscii dal mondo".
Gesù ci dice: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà" (Mt 16, 24-25). Abbracciando il lebbroso, Francesco ha rinunciato a sé stesso, accettando ciò che c'era di più "amaro" e ciò che ripugnava di più alla sua natura. Ha fatto violenza su di sé. Egli non è andato spontaneamente dai lebbrosi, come guidato da umana compassione. "Il Signore stesso – egli scrive – mi condusse tra loro". Francesco non sposò né la povertà né i poveri; spossò Cristo e fu per amore di Cristo che spossò, per così dire, "in seconde nozze", Madonna Povertà. E così sempre avverrà nella santità cristiana. Come può un evento così intimo e personale quale la conversione del giovane Francesco aver innestato un movimento che avrebbe trasformato il volto della Chiesa ed esercitato un'influenza così forte sulla storia, fino ai giorni nostri?
È necessario che si soffermiamo per un momento sul contenuto dell'epoca. Al tempo di Francesco, la riforma della Chiesa era un'esigenza di cui tutti erano più o meno consapevoli. Il Corpo della Chiesa viveva in tensioni e profonde lacerazioni. La Chiesa stava per crollare e rovinare sotto il peso delle infedeltà e della corruzione, dei comportamenti mondani, della lussuria e dei peccati. Sono ben noti questi episodi piuttosto significativi della vita di san Francesco: "Francesco, va', ripara la mia casa che, come vedi è in rovina"; e poi il sogno di papa Innocenzo III, in cui vede Francesco sostenere con le spalle la Basilica di San Giovanni in Laterano che sta crollando.
Possiamo descrivere il percorso riformatore di Francesco attraverso questa semplice espressione: il ritorno radicale al Vangelo. Durante una Messa, Francesco udì il brano di Vangelo della missione dei discepoli: Gesù "li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. Disse loro: "Non prendete nulla pe il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno" (Lc 9,2-3). Fu per lui una folgorazione, di quelle che trasformano e orientano tutta la vita. Da quel giorno, la sua missione gli divenne chiara: un ritorno semplice e radicale al vero Vangelo, vissuto e predicato da Gesù. Si trattava. Concretamente, di rilanciare nel mondo la forma e lo stile di vita di Gesù e degli Apostoli descritto nei Vangeli. Così apre la sua Regola rivolgendosi ai fratelli: "La Regola e la vita dei Frati minori è questa osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo". Questo ritorno radicale al Vangelo si rifletet soprattutto nella predicazione di Francesco. Può sorprendere, ma egli parla quasi sempre della necessità di "fare penitenza". Dal momento della sua conversione, egli predica la penitenza con grande fervore e gioia, ed edifica tutti con la sua semplicità, con la purezza della sua parola e con la magnanimità del suo cuore. Ovunque andasse, Francesco ammoni va, raccomandava, pregava di fare penitenza. Non è forse questo il messaggio che la Beata Vergine Maria ci ripete ad ogni sua attuale apparizione: "Pregate e fate penitenza"? Non c'è, infatti evangelizzazione senza penitenza. Francesco non ha fatto altro che rilanciare il grande appello alla conversione con il quale si aprono la predicazione di Gesù nel Vangelo e quella degli Apostoli, il giorno dopo la Pentecoste. Ciò che intendeva per "conversione" egli non ha avuto bisogno di spiegarlo: tutta la sua vita ne era testimonianza. Questa è la via della santità che, in seno alla Chiesa, la rigenera profondamente, purificandola dai peccati dei suoi figli. E noi, sull'esempio dei santi, dobbiamo pregare, pregare, pregare, e fare penitenza cioè convertirci a Cristo
Commenti
Posta un commento