Crisi della democrazia

Ruben Razzante, in "La Nuova Bussola" – 14 giugno 2022

I 5 referendum sulla giustizia non hanno raggiunto il quorum. Verranno ricordati non solo per il flop, cioè per la bassissima affluenza alle urne: ci sono state anche irregolarità formali alla vigilia del voto. Ma a perdere è stata la democrazia nel suo complesso.

 

 

Verranno ricordati non solo per il flop, cioè per la bassissima affluenza alle urne, ma anche per le numerose violazioni delle regole da parte dei leader politici e dei media.

 

I 5 referendum sulla giustizia non hanno raggiunto il quorum. Alle urne si è recato solo un quinto dell'elettorato potenziale, circa il 20%. La sconfitta per chi li ha proposti e sostenuti, cioè i radicali, la Lega e gli altri partiti di centrodestra, è cocente. Si tratta, infatti, della percentuale più bassa nella storia dei referendum in Italia. Si può dire che hanno vinto i magistrati e hanno perso quei politici che avrebbero voluto modificare gli assetti di potere sul pianeta giustizia. Peraltro domani al Senato verrà discussa la riforma Cartabia, che recepisce tre dei cinque quesiti referendari di ieri.

 

Ma a perdere è stata la democrazia nel suo complesso, perché si dimostra ancora una volta che un istituto di democrazia diretta, concepito come strumento per consentire ai cittadini di partecipare al processo legislativo, attraverso l'abrogazione di legge considerate dannose, non viene apprezzato nella sua essenza e diventa un'arma di lotta politica degli uni contro gli altri. In questo caso il boicottaggio di tutte le forze politiche è avvenuto nei confronti di Matteo Salvini, che si era intestato la battaglia per la riforma della giustizia fin dalla fase di raccolta delle firme e che ora deve fare i conti con una debacle davvero clamorosa, anche se per certi aspetti attesa.

 

Ma ci sono state anche irregolarità formali alla vigilia del voto. Durante il week-end normalmente dedicato al silenzio elettorale, i leader politici e perfino alcuni autorevoli quotidiani hanno violato quel silenzio, dando chiare indicazioni di voto o polemizzando sui temi del referendum. Tre segnalazioni in particolare. La prima riguarda il quotidiano La Repubblica, che sabato ha esposto la sua posizione ufficiale, invitando gli italiani a non andare a votare o a votare "no" e riesumando perfino i processi a Berlusconi per difendere la legge Severino, della quale in un quesito dei referendum di ieri si chiedeva la cancellazione. La seconda riguarda il quotidiano Il Giornale, che apriva l'edizione di ieri con l'esplicito suggerimento di votare "si" per riformare la giustizia. Infine, Silvio Berlusconi che, ieri ai seggi a Milano, ha difeso la scelta di andare a votare "si" ai referendum e si è scagliato contro la magistratura politicizzata e contro il Quirinale.

 

Tutti episodi che la dicono lunga sulla strada che ancora la nostra democrazia deve percorrere per dimostrarsi una democrazia compiuta, fondata sul rispetto delle regole (in questo caso quelle della vigilia di ogni competizione elettorale) e su una chiara distinzione tra poteri (quello mediatico non deve in alcun modo entrare a gamba tesa sul terreno politico-elettorale).

 

Ma al di là dei referendum, la partecipazione alle elezioni è risultata bassa anche per quanto riguarda il voto amministrativo. Si è sempre detto che i cittadini si sentono maggiormente coinvolti dai governi cittadini e quindi vanno a votare con afflato partecipativo perché sentono di poter scegliere direttamente il proprio sindaco. Ieri non è stato così. La percentuale di aventi diritto che si sono recati ai seggi è di poco superiore al 40%, quindi meno di uno su due ha esercitato il diritto-dovere di voto. Anche questa notizia deve far riflettere sull'agonia della nostra democrazia. Non c'è più rischio Covid e quindi non si può imputare alla pandemia il pessimo risultato in termini di affluenza. E' la politica in forte crisi di legittimazione, a prescindere dal colore politico.

 

Stando agli exit poll, il centrodestra conquisterebbe al primo turno la città di Palermo e si riconfermerebbe a L'Aquila e Genova, mentre nelle altre città capoluogo più importanti si andrebbe al ballottaggio, con il centrodestra in vantaggio a Catanzaro e il centrosinistra in vantaggio a Parma e Verona.

 

Presto per dire chi ha vinto e chi ha perso tra i partiti. Si tratta di un test tutto sommato troppo poco significativo perché il numero di elettori chiamati al voto è, su base nazionale, non troppo rilevante. Ciò che rimane, invece, è la disaffezione dal voto, che dovrebbe inquietare la classe politica e spingere a una seria riflessione sulla selezione della classe dirigente e sulle risposte che la gente attende da tempo rispetto alle emergenze socio-economiche esplose negli ultimi mesi.

 

 

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