Verità di ragione e fede

Francesco Lamendola, in "Accademia Adriatica di Filosofia" – 26 maggio 2022

Fede e ragione sono le due vie, distinte ma complementari, che conducono la mente umana alla conoscenza della realtà ultima, passando attraverso la conoscenza delle cose terrene. Queste ultime sono l'oggetto della ragione umana, che le considera in se stesse, nelle loro qualità e proprietà; dal punto di vista della fede, invece, esse sono simili a dei gradini che conducono verso l'alto, cioè verso la Causa Prima, che è Dio. La filosofia si serve della sola ragione naturale, mentre la fede è illuminata direttamente dalla Rivelazione divina che comunque non va contro la ragione, poiché la ragione e la fede provengono dalla stessa fonte, che è Dio, il quale nel primo caso parla alla ragione attraverso le cose, nel secondo le parla rivolgendosi ad essa in maniera im-mediata, ossia senza mediazione alcuna. La teologia, che sta un gradino al di sopra della filosofia per il suo oggetto e per i suoi strumenti, si suddivide in teologia naturale, che si serve della sola ragione, come la filosofia, per giungere ad affermare la necessità e la realtà di Dio, della legge morale soprannaturale sottesa alla legge morale naturale, dell'immortalità dell'anima che si ricava, per analogia, dalla indistruttibilità delle sostanze semplici, e in teologia soprannaturale, la quale parte dai dati della Rivelazione e discende da essi a chiarire e illuminare la dimensione terrena, il regno della natura e l'ambito della storia.

 

Vi sono culture che non sono mai arrivate a definire con tale precisione la natura e l'ambito della filosofia e quello della fede. Nella cultura islamica, ad esempio, è molto dubbio se si possa parlare di una teologia, e anche la filosofia è costretta sovente, come accade con il pensiero di Averroè, che essa debba trincerarsi dietro la comoda dottrina delle due verità: una verità di fede per le persone comuni e una verità di ragione per il filosofo, il quale poi afferma di sottomettersi, se necessario, (ma si tratta di una sottomissione più che dubbia) alla fede. E questo perché in tale cultura ogni verità proviene dal Corano, che non è, come la Bibbia per i cristiani, un libro divinamente ispirato, ma pur sempre scritto da uomini, e quindi soggetto a qualche differenza d'interpretazione, ma è un libro dettato a Maometto da Allah, per il tramite dell'arcangelo Gabriele, e quindi assolutamente perfetto e inequivocabile in ogni sua pagina e ogni singolo versetto. Non c'è nulla da interpretare: è tutto evidente, bisogna solo mandare a memoria ogni sura e applicarne il contenuto alla lettera. Per una ragione analoga, nella cultura islamica le arti figurative sono drasticamente limitate: è proibito raffigurare la persona umana, perché l'uomo è fatto a immagine di Dio, e dunque raffigurarlo equivarrebbe a un empio tentativo di costruire un'immagine umana di Dio stesso; non solo: di fatto anche le figure di qualsiasi altro essere vivente scarseggiano o sono assenti. Si discute se tale proibizione sia frutto di un'equivoca interpretazione della legge religiosa, ma sta di fatto che essa esiste ed è verificabile nella maggior parte dei casi (si pensi alla distruzione delle secolari statue di Buddha sulle rocce di Bamyan, in Afghanistan, da parte dei talebani); e se anche non la si trova nel Corano, appartiene alla tradizione, che in pratica ha la stessa forza coercitiva. Tale è il timore che l'uomo, raffigurando le creature, possa cadere nell'idolatria della bellezza e mancare di rispetto nei confronti del solo creatore di tutte le cose.

 

 

 

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S. Tommaso d'Aquino, verità di ragione e di fede?

 

 

 

Nella cultura greca classica, al contrario, la ragione va orgogliosamente per la propria strada e non si preoccupa minimamente di tenersi in linea con le verità di fede, perché l'uomo si fa misura di tutte le cose, secondo la celebre formulazione di Protagora, il padre della sofistica, riferita da Platone nel dialogo Teeteto, 152 a: L'uomo è misura (métron) di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono. Fin dai loro primi passi, cioè dalla scuola ionica, i filosofi greci sviluppano la loro ricerca razionale senza alcun  riguardo ad una verità soprannaturale e senza neanche porsi il problema d'individuare un accordo fra ragione e fede: essi danno per scontato che la fede negli dèi non ha nulla a che fare con la ricerca razionale del vero; e se anche successivamente, ad esempio in Platone, tale questione emerge, non viene mai affrontata sistematicamente, né chiarita in maniera adeguata. Inoltre nella cultura greca classica non c'è una codificazione della fede religiosa e quindi la "via della fede" si riduce a un insieme di tradizioni e di pratiche, che per loro natura ben difficilmente possono entrare in urto, ma anche in un eventuale rapporto di complementarità e di collaborazione, con la ricerca filosofica; e proprio per la mancanza d'una codificazione scritta, o anche a causa di essa, sorsero e si diffusero enormemente i culti misterici, una sorta di religione parallela, depositari di una conoscenza segreta, di origine soprannaturale e quindi divina, riservata ai soli iniziati, che soddisfaceva maggiormente il bisogno di verità dei fedeli.

 

Solo nella cultura cristiana il ruolo rispettivo delle due vie si chiarifica in maniera così limpida come quella illustrata da san Tommaso d'Aquino, sì che esse si sostengono vicendevolmente, con la constatazione che non si possono contraddire, appunto perché provengono entrambe da Dio; e che se un conflitto pare che insorga, deve trattarsi necessariamente di un uso improprio della facoltà razionale. Infatti la ragione naturale, se rettamente usata, non può in alcun caso contraddire la fede; se ciò pare che accada, bisogna ripercorre i ragionamenti sviluppati fino a trovare il punto in cui la ragione si è sviata ed è caduta in errore, ad esempio non collegando in maniera adeguata due ragionamenti, oppure traendo una conclusione più grande e non giustificata rispetto alle premesse logiche del discorso. Ma non può esserci, neppure in linea teorica, alcuna doppia verità: la verità è una e una soltanto, e postulare una seconda verità, ossia una verità di ragione diversa da quella della fede, è semplicemente impossibile, perché irrazionale. Ogni volta che, in una forma o in un'altra, un pensatore postula l'esistenza di una doppia verità, o s'inganna oppure mente consapevolmente: lo si vede in quei filosofi, come Giordano Bruno, i quali pretendono di giungere, con la sola ragione, a delle verità che contraddicono la Rivelazione, ma poi si dicono disposti a rivedere le loro affermazioni, evidentemente per sottrarsi alle conseguenze della loro audacia (la stessa cosa che faceva Averroè nell'ambito della cultura islamica).

 

 

 

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Il disegno di scristianizzazione dell'Europa e del mondo? Da Galilei e Giordano Bruno, alla "ragione illuminista": chi ha paura dell'armoniosa collaborazione tra fede e ragione?

 

 

 

Scrive San Tommaso nella Summa contra Gentiles (ma il titolo originale dell'opera è: Liber de Veritate Catholicae Fidei contra errores infidelium), I, q.7-8):

 

Si deve osservare che le cose sensibili, dalle quali la ragione umana desume  la conoscenza, conservano in sé un certo vestigio della causalità divina, però così imperfetto da essere del tutto insufficiente a manifestare la natura stessa di Dio. Infatti gli effetti conservano in una certa misura la somiglianza con la loro causa, perché ogni agente produce una cosa a sé somigliante; ma l'effetto non sempre raggiunge una perfetta somiglianza. Perciò la ragione umana, nel conoscere le verità di fede, che possono essere evidenti soltanto a coloro che contemplano l'essenza di Dio, è in grado di raccoglierne certe analogie, che però non sono sufficienti a dimostrare tali verità o a comprenderle per intuizione intellettiva. Tuttavia è proficuo per la mente umana esercitarsi in tali ragionamenti, per quanto inadeguati, purché non si abbia la presunzione di comprendere o di dimostrare.

 

E sempre nella stessa opera (II, q. 4):

 

La dottrina della fede cristiana s'interessa delle creature in quanto in esse si riscontra una certa immagine di Dio, e in quanto l'errore su di esse può portare all'errore sulle cose di Dio. Perciò le creature interessano la dottrina suddetta e la filosofia umana sotto aspetti diversi. Infatti la filosofia umana le considera per quello che sono: cosicché secondo le diversità dei loro generi si riscontrano varie discipline filosofiche. Invece la fede cristiana non le considera per quello che sono in se stesse: considera il fuoco, per esempio, non in quanto fuoco, ma in quanto rappresenta la trascendenza di Dio, e in quanto in qualche modo dice ordine a Dio. […]

 

Per questo motivo il filosofo e il credente considerano nelle cose aspetti differenti. Infatti il filosofo ne considera le proprietà che loro convengono secondo la propria natura: nel fuoco, per esempio, la tendenza a salire verso l'alto. Invece il credente considera nelle creature il loro riferimento a Dio, ossia il fatto che sono create da Dio, che a lui sono soggette, ed altre cose del genere. Perciò non si deve a un'imperfezione della dottrina della fede il suo disinteresse per tante proprietà delle cose, per esempio per la configurazione del cielo o per la qualità del suo moto. Del resto neppure il naturalista si interessa delle proprietà della linea che sono oggetto della geometria, ma soltanto  della linea in quanto delimita un corpo fisico.

 

E anche quando il filosofo e il credente considerano le creature sotto il medesimo aspetto, essi si rifanno a principi differenti. Poiché il filosofo argomenta partendo dalle cause proprie e immediate delle cose; il credente muove invece dalla causa prima: per esempio dal fatto che Dio lo ha rivelato, oppure da ciò che ridonda a gloria di Dio, oppure dall'esserci in Dio una potenza infinita. Ed ecco perché questa dottrina ha diritto all'appellativo di somma sapienza, avendo per oggetto la causa più alta […] Per questo motivo la filosofia umana dev'essere al suo servizio; cosicché talora la sapienza o scienza di Dio argomenta dai principi della filosofia umana. Infatti anche presso i filosofi la filosofia si serve di tutte le scienze per raggiungere le sue conclusioni.

 

Ed ecco perché queste due discipline non seguono il medesimo ordine. Infatti nella filosofia, che considera le creature in se stesse per giungere alla conoscenza di Dio, il primo oggetto da considerare sono le creature e l'ultimo è Dio. Invece nella dottrina della fede, la quale non considera le creature che in ordine a Dio, prima occorre considerare Dio e poi le creature. Di qui la maggiore perfezione di quest'ultima: perché somiglia di più alla conoscenza di Dio, il quale conosce le cose soltanto conoscendo se stesso.

 

 

 

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La verità è una e una soltanto, e postulare una seconda verità, ossia una verità di ragione diversa da quella della fede, è semplicemente impossibile, perché irrazionale!

 

 

 

Noi, figli della civiltà cristiana, dobbiamo essere consci e fieri di tale altissima affermazione di maturità della ragione, e al tempo stesso di un rapporto così armonioso e costruttivo come quello realizzato fra la via della ragione naturale e quello della fede. È quanto di più bello ha realizzato la nostra cultura e, fra le altre cose, a tale conquista dobbiamo l'esistenza di opere come la Divina Commedia o come gli affreschi di Giotto, gloriosa celebrazione della bellezza, della ragione e dello sforzo dell'uomo di protendersi verso Dio, con la massima audacia ma al tempo stesso con la più grande umiltà possibile.

 

Non deve stupire che la cultura moderna si sia accanita proprio contro tale armonioso connubio di ragione e fede e che abbia proclamato l'inconciliabilità delle due vie, squalificando la fede a semplice credenza privata e ammettendo come "ragione" il solo pensiero laicista e materialista, che prescinde ideologicamente da qualunque rapporto con la dimensione del soprannaturale. Oggi la cultura dominante predica, senza incontrare alcun contraddittorio, che la ragione esclude la fede, e viceversa; che chi usa la ragione non può credere, e chi crede non adopera la ragione; in breve, che esiste una distanza bissale, incolmabile e  definitiva fra ciò che dice la ragione e ciò che dice la fede. I rari uomini di scienza contemporanei, come Enrico Medi o, nella presente generazione, come Antonino Zichichi, i quali affermano, da scienziati, che non solo è possibile credere, ma che non esiste alcun contrasto di fondo tra la ragione e la fede, vengono ignorati e messi in disparte, in modo che il grosso pubblico non venga neppure a conoscenza della loro testimonianza. E ciò perché è in atto, da molto tempo e non certo da ieri, un vasto disegno di scristianizzazione dell'Europa e del mondo: si noti infatti che le critiche e le accuse degli scientisti sono dirette essenzialmente contro il cristianesimo e non contro le altre fedi religiose, cioè, guarda caso, proprio contro la sola religione che ha sempre proclamato con fierezza i diritti della ragione naturale e la celebrazione della bellezza del mondo sensibile. Come mai non si vede altrettanto accanimento contro le altre fedi, e come mai bruciano a decine le chiese cattoliche in tutto il mondo, nella più totale indifferenza, ma non le sinagoghe, né le moschee buddiste?

 

Per portare avanti quel disegno sono stai costruiti dei casi paradigmatici, come quelli di Galilei o di Giordano Bruno, che dovrebbero provare come la fede, in Europa, sia sempre stata nemica della ragione: il che è un falso patente e clamoroso. Chiunque studi quei singoli episodi con un minimo di obiettività, giunge alla conclusione che la persecuzione contro la "ragione" non c'entra per nulla. Viceversa la ragione illuminista, non appena è andata al potere, ha perseguitato spietatamente la fede: e questa è storia, attestata da politiche generalizzate che hanno prodotto innumerevoli casi. Perciò la domanda da porre è questa: chi ha paura dell'armoniosa collaborazione tra fede e ragione?

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