Rischi e opportunita del nuov o corso pro-life italiano
Luca Marcolivo, in "La Nuova Bussola" – 23 maggio 2023
Un momento del raduno a Piazza san Giovanni
I numeri non sono mancati e non era scontato. 40mila partecipanti dichiarati dagli organizzatori sono un risultato davvero notevole, in considerazione delle titubanze post-Covid che animano ancora molte persone e delle annose divisioni nel mondo pro-life. Non si chiama più "Marcia per la Vita" come nel passato decennio ma il format è simile: una lunga passeggiata di famiglie, bambini, genitori, nonni ma anche tanti giovani, rappresentanti di associazioni e congregazioni religiose. Tutti in cammino da piazza della Repubblica a piazza San Giovanni, per la festa finale.
Ciò che è cambiato è l'approccio: un comitato organizzativo sostenuto da un ampio numero di associazioni aderenti – oltre un centinaio – a testimonianza della ricerca di una "coralità". I due portavoce della manifestazione "Scegliamo la Vita" sono volti ormai noti ai pro-life italiani: il neurochirurgo Massimo Gandolfini e la psicologa Maria Rachele Ruiu (l'uno in rappresentanza del Family Day, l'altra di Pro Vita & Famiglia), da sette-otto anni sono tra gli animatori di punta delle più importanti manifestazioni per la vita e per la famiglia, contro l'aborto, l'eutanasia e l'ideologia gender. Nella sfida di "Scegliamo la vita", alle spalle di Gandolfini e Ruiu, c'è un universo molto ampio, rappresentativo di tante realtà che, in modo diverso, si richiamano alla sussidiarietà e, con approccio laico, alla dottrina sociale della Chiesa.
Alla manifestazione romana, non sono mancate comunità evangeliche e anche musulmane, queste ultime rappresentate dall'UCOII. Questo "pluralismo", per certi versi, rappresenta una scommessa dalle prospettive vantaggiose ma con risvolti rischiosi. Da un lato, il perimetro della galassia pro-life si allarga, con tanti soggetti chiamati al confronto e alla collaborazione: un passo avanti rispetto alla frammentazione del recente passato. Dall'altro lato, amalgamare uomini e gruppi così eterogenei per estrazione e sensibilità non è un'opera così scontata: sarà dunque opportuno non ripetere gli errori del passato e tenere a mente le dolorose spaccature nel mondo pro-life, in molti casi mai rimarginate.
Altro elemento di novità: sabato non si è scesi in piazza contro l'aborto ma per la vita, a trecentosessanta gradi. I riferimenti di Gandolfini, nel suo discorso finale, all'indottrinamento gender, all'eutanasia in Italia e nel mondo e, soprattutto, all'inverno demografico sono da vedere nell'ottica di una sinergia tra istanze distinte ma tutte strettamente collegate tra loro. La difesa della vita non può essere scissa dalla difesa della famiglia e dalla difesa della libertà educativa: simul stabunt, simul cadent. Alla base, ha detto Gandolfini, c'è un "problema fondamentalmente culturale" di una "mentalità contro la vita" che considera "la maternità come una scelta da sfigati", mentre "le famiglie numerose vengono etichettate come fenomeni da baraccone". Non si può scindere il contrasto all'aborto dalla battaglia contro l'eutanasia perché, al fondo, c'è la stessa cultura dello scarto che pretende di "cancellare la sofferenza, uccidendo il sofferente". C'è una fortissima analogia tra l'uccisione di un bambino innocente nel grembo materno, rivendicata da taluni come un "diritto", e l'"eutanasia di Stato" che sopprime i piccoli Charlie Gard e Alfie Evans. La battaglia per la vita è unitaria e integrale ed è, in definitiva, un'epocale "battaglia contro il male", sostiene Gandolfini.
Un terzo aspetto significativo del nuovo corso è determinato dalla testimonianza. Non ha senso marciare per ribadire semplicemente delle questioni di principio: è fondamentale incarnarle in un'esperienza vissuta. Ecco allora i drammatici racconti di due giovani donne, Giuliana e Maya, che hanno guardato l'aborto in faccia e hanno avuto il coraggio di optare per la vita, anche se la nuova vita da accogliere era fragile e destinata a durare un battito d'ali oppure era destinata a crescere senza un padre. Ecco anche i ricordi di gioventù di Andrea Menegozzo, uno dei componenti del gruppo rock The Sun, passato attraverso la droga, la depressione e la tentazione di farla finita, prima tornare a desiderare fortemente la vita grazie a un percorso di fede. La musica, quando tende verso l'infinito e non verso gli inferi, può diventare uno strumento di redenzione e la band veneta, capitanata dal carismatico cantante Francesco Lorenzi, ne ha dato prova nel concerto che ha concluso la manifestazione romana.
Altro messaggio significativo espresso in modo specifico da Maria Rachele Ruiu: l'opzione per la vita diventa impossibile, se non si rivaluta pienamente l'alleanza uomo-donna. "C'è un'ideologia che attacca le donne, proprio perché la donna è matrice della vita", ha affermato la Ruiu. Un attacco che avviene in modo subdolo, colpendo a prescindere gli uomini, "indicati come nemici, violenti, superflui". Private della possibilità del vero amore, visto come un'illusione, private della maternità, vista soltanto come un peso, le donne d'oggi si ritrovano sole, "autosabotate", in definitiva, infelici.
Non si può uscire dal tunnel nero della cultura mortifera di oggi se non si porta il verbo della vita in tutti i consessi della difficile società odierna: "scegliamo la vita in parlamento, sull'economia, nella giustizia, nella sanità, nell'istruzione, nei servizi sociali, nel sistema fiscale", ha detto ancora Maria Rachele Ruiu. Parole che fanno da cinghia di trasmissione tra le dichiarazioni di intenti espresse alla manifestazione di sabato e la loro concretizzazione. "Scegliamo la vita" ha concluso con successo il primo tempo della sua partita, scaldando i cuori della gente. La seconda tappa del match – probabilmente la più impegnativa – richiederà il confronto con la politica e con tutti quei "poteri forti" ai quali non si potranno fare sconti. Una scommessa difficile, che si potrà vincere solo se sarà giocata fino in fondo e senza compromessi.
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