La grande bellezza puo rilanciare l'Italia, ma bisogna amarla

Antonio Socci, in "Libero" – 1 Maggio 2022

Dopo due anni di pandemia, due anni da incubo, l'Italia del turismo sta ripartendo. Per il 2022 infatti le stime parlano di più di 92 milioni di arrivi e circa 343 milioni di presenze fra stranieri e italiani (un aumento – rispettivamente – del 43 per cento e del 35 per cento rispetto all'anno scorso).

 

Non siamo ancora tornati ai dati del 2019, ma la ripresa è forte. Sperando che i venti di guerra che soffiano impetuosi non gelino questa fioritura…

 

Con l'inizio di maggio sciameranno verso la Penisola milioni di persone che cercano nella nostra terra una Bellezza sognata e ignota, che tante volte hanno sentito raccontare o che hanno già assaporato e vogliono tornare a gustare.

 

La bellezza è – fin dall'antichità – il principale connotato dell'identità italiana. Già Marco Terenzio Varrone (116 a.C. – 27 a.C.), nella più antica delle 'laudes Italiae' che conosciamo, il 'De re rustica', del 37 a.C., celebra l'Italia come il giardino del mondo: "Voi che avete peregrinato per molte e diverse terre, ne avete vista una più coltivata dell'Italia? Io, per conto mio, non credo che ce ne sia".

 

Anche la nostra letteratura, ai suoi esordi, canterà questa caratteristica della Penisola. L'Italia è in Dante il "bel paese là dove 'l sì suona" o "'l giardin de lo 'mperio". In Petrarca è "il bel paese / ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe".

 

In una enciclopedia medievale l'Italia è la "terra pulcherrima, soli fertilitate pabulique ubertati gratissima", la bellissima terra, piacevole per la fertilità del suolo e l'ubertosità dei suoi pascoli.

 

Insomma da secoli dire Italia significa dire bellezza naturalistica e paesaggistica. La quale è sì dovuta – anzitutto – a una fortunata collocazione geografica e a una felice situazione climatica, ma i tanti doni del Creatore si sono combinati con la straordinaria opera degli uominiche fin dall'antichità hanno arricchito la natura con il lavoro e l'ingegno.

 

Infatti è grazie agli agricoltori romani che furono introdotte da noi tantissime delle piante che oggi vediamo e coltiviamo e che provengono da altre aree del mondo. Così oggi l'Italia è un paradiso di biodiversità e questo è anche alla base della ricchezza della nostra alimentazione e della nostra cucina, parte non secondaria dell'attrattiva turistica.

 

Del resto non c'è solo la bellezza naturale. Il patrimonio culturale italiano non ha eguali nel mondo: più di 4 mila musei, 6 mila aree archeologiche, 85 mila chiese soggette a tutela e 40 mila dimore storiche censite.

 

Ma qui cominciano anche le dolenti note: l'incuria, gli scempi, gli abusi sono storia nota. Leonardo Sciascia scriveva nel lontano 1969: "L'Italia è il paese dell'arte ma le opere d'arte che vadano in malora".

 

Lo stesso assalto turistico a questo patrimonio e alle città d'arte se – per un verso – è positivo, per altro verso ha qualcosa di angosciante, pare un consumo "mordi e fuggi" che di quella bellezza non comprende nulla, scivola sulla superficie alla velocità di un selfie. E lascia una distesa di cartacce e lattine.

 

D'altronde l'Italia è un'unica, immensa, opera d'arte plasmata insieme dalla natura e da generazioni e generazioni di italiani, che sono stati il grande artista collettivo.

 

Se i più geniali figli del nostro popolo – come Michelangelo – seppero dare forma prodigiosa al marmo o alle basiliche, i nostri umili contadini – imparando inizialmente dai monaci medievali che dissodarono un'Italia distrutta dalle invasioni barbariche – hanno dato forma al nostro paesaggio esprimendo in esso il loro sentimento della vita, la spiritualità che come popolo vivevano.

 

Franco Rodano, nelle sue "Lettere dalla Valnerina", descriveva incantato la bellezza che vedeva "in questa mia valle [dell'Umbria] e nei suoi poveri campi ancora amorosamente coltivati […] nella netta geometria di questi poderi, che sono prodotto antico, di una lunghissima storia, di una millenaria capacità contadina (conservata dalla Controriforma) di vivere il lavoro non solo come duro travaglio disseminato di 'spine e triboli', ma anche come accurata e paziente ricerca, al tempo stesso, e del necessario e del bello".

 

Noi, italiani del XXI secolo, sembriamo perlopiù estranei a questa storia, viviamo immersi nella nostra millenaria bellezza con una distrazione che ferisce.

 

Possediamo un patrimonio ereditato, senza meriti, ma non sembriamo consapevoli della fortuna che abbiamo avuto, né delle nostre responsabilità.

 

Albert Einstein, che con l'Italia ebbe un legame profondo (ci visse per anni e anche una parte importante della sua famiglia ci ha abitato a lungo) un giorno disse: "Se io potessi liberamente scegliere il mio domicilio a libero piacere, vorrei vivere in Italia per il resto della mia vita".

 

Essere nati in un Paese così è una fortuna e un privilegio. Dovremmo avvertire il dovere di custodire, valorizzare e proteggere questa immensa opera d'arte per tutta l'umanità. In fondo la bellezza italiana è per tutti. Perché, come diceva Sviatoslav Richter, "ogni persona al mondo ha due patrie: la propria e l'Italia".

Antonio Socci

Da "Libero", 1° Maggio 2022

 

 

 

 

 

 

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