L'universale coscienza del peccato

 

Dal 1985 al 1990, parroco di Torri del Benaco, ho avuto per cinque mesi di agosto alla Casa del Padre, il filosofo Cornelio Fabro e a mezzogiorno andavo a pranzo con lui. Era il momento in cui scriveva la vita di Santa Gemma Galgani e dalla vita di Santa Gemma e da altri scritti traggo le citazioni che mi fanno rivivere le meravigliose conversazioni.  Ho potuto cogliere i concetti cristiani di peccato, di colpa, di dolore dei peccati, di rimorso, di tentazione del diavolo sul perdono, sulla misericordia, della contemporanea sofferenza di Cristo per il peccato. Tentazione che ha provocato tante sofferenze in santa Gemma, analoghe a quelle di don Calabria dal 1949 al 1954, anno in cui ha offerto la vita per la salute di Pio XII morente, che ha vissuto, poi, altri quattro anni, fino al 1958.

1.    Il senso del peccato

 

Nell'Antico Testamento il peccato è trasgressione della legge, è un'offesa legale; Nel Nuovo Testamento esso è invece ribellione del figlio verso il Padre, verso la sua Provvidenza, è rottura di un patto d'amore donato dallo Spirito Santo che rende possibile incontrare la salvezza, la felicità Eterna in Gesù Cristo Salvatore, vivo e presente sacramentalmente nella sua Chiesa e che si identifica soprattutto nei piccoli, nei poveri, negli ammalati fisicamente e spiritualmente, rendendoci possibile la carità cioè l'amore di Dio in noi per un umanesimo cristiano.

Il peccato, quindi, non nasce da una energia fisica repressa come oggi vorrebbe la psicanalisi, il che toglierebbe senso a tutta la Redenzione e all'opera salvifica di Cristo, nonché alla malizia stessa del peccato con cui il demonio fa soffrire. La cultura moderna post illuminista dell'umanesimo ateo liberale, nel suo orizzonte antropologico radicale e storicista tende a deresponsabilizzare l'uomo come persona gestito dalla la massa, opprimendo quell'anelito insopprimibile di libertà, cui comunque ogni uomo anela anche inconsapevolmente: è, con l'umanità di Cristo, la Via alla Vita e Verità nella divinità di Cristo che rende liberi, non è l'io.  "Già in Kant e nell'umanesimo ateo liberale dell'illuminismo moderno, asserisce Fabro, sono pressoché assenti i concetti cristiani di peccato, di colpa, di dolore e perdono dei peccati e di rimorso sofferente…i quali non hanno senso al di fuori di un autentico rapporto personale di ogni uomo con Dio incarnato, morto, risorto e sacramentalmente vivo. È impressionante, e sempre più evidente nella coscienza dell'uomo moderno non più fedele all'umanesimo cristiano cioè alle origini dell'Occidente, che l'impegno per l'autenticità dell'uomo sia cercato a spese della perdita, e spesso del ripudio esplicito della Via umana del Verbo incarnato alla Vita divina che fa liberi. Così il messaggio di salvezza che Cristo ha offerto con la sua Passione, Morte, Risurrezione e Ascensione alla Felicità eterna, viene capovolto nella negazione del peccato e nella proclamazione antropocentrica della sufficienza delle categorie storiche con la vittoria definitiva sul peccato senza l'alienazione dell'attesa della Felicità eterna subito per l'anima e quindi per la risurrezione del corpo".

Questi capisaldi dell'umanesimo cristiano sono oggi popolarmente attaccati dalla New Age che in variante forme dissolve la trascendenza, la creazione, l'essere tri personale di Dio nell'unità dell'unico Essere divino, nega l'esistenza del peccato classificandolo come imperfezione, vanificando la necessità e l'opera della salvezza compiuta da Gesù Cristo, Salvatore e Redentore con Lui risorto, vivo, personalmente presente e operante. Mentre tutta la mistica cristiana che Sant'Agostino fa vivere nella preghiera dei salmi, e nel nostro caso in Santa Gemma e in San Giovanni Calabria, evidenziano al massimo la Passione di Cristo per la redenzione dell'uomo, per la liberazione dal peccato.

 In maniera inequivocabile Fabro mi ha fatto pensare su questa riflessione: "Il nucleo operante nell'esperienza mistica di Gemma Galgani, è la sua conformità alla passione di Cristo per la liberazione dal peccato. Eccezionale, perché dotata ed accompagnata dall'impressione fisica delle Stimmate sempre presenti e da quasi tutti gli altri fenomeni dolorosi (in don Calabria soprattutto dal 1949 al 1954 dalle sofferenze psichiche della tentazione demoniaca senza bisogno di esorcismo e di cure psichiatriche): quali la corona di spine, la flagellazione, il peso della croce e i "dolori mentali" come il peso di tutti i peccati ingranditi dalla tentazione, le vessazioni diaboliche, l'agonia dell'Orto e l'abbandono dello spirito … Al fondo di questi fenomeni, come situazione che li anima e li contiene, sta la duplice esperienza intensiva e comprensiva dei dolori di Cristo, i quali per singolare grazia le apparivano al vivo nella contemporaneità della storia umana e, dall'altra parte, l'esperienza altrettanto forte ed opprimente della malizia del peccato come dell'unico vero male del mondo di cui, con l'umanesimo ateo dell'illuminismo moderno, se n'è perduta la consapevolezza quando la liberazione dal peccato è la ragione stessa dell'Incarnazione e, risorto, della sua presenza sacramentale nella Chiesa.

Ma ciò ch'è ancor più singolare in Gemma, come vedremo nel suo crudo e realistico linguaggio (come in don Calabria), è ch'essa riferisce le sofferenze di Cristo alla malizia dei suoi peccati: il fatto cioè di considerarsi non solo peccatrice, ma la più grande peccatrice di tutti i tempi, colei che ha fatto piangere Gesù (don Calabria si sentiva aiutato in questa prova dal cardinal Shuster con le lettere).Di questa singolare "impressione" non c'è spiegazione, né teologica né psicologica: Gemma sapeva del perdono, di avere sempre aspirato al paradiso, alla Felicità eterna e quindi ad un vita verginale di purezza – e neppure si tratta di un'espressione solamente teologica, poiché ogni cristiano è chiamato anzitutto e soprattutto a pentirsi ed a riparare i propri peccati".

In questa deriva post-moderna e post- cristiana di un umanesimo ateo liberista, in un Occidente post cristiano in cui si è affievolita la predicazione di Cristo Crocefisso e del suo Vangelo di liberazione da un amore più grande di ogni peccato, si va perdendo fin da bambini il sentimento cristiano del peccato, quasi nessuno si accosta regolarmente al sacramento della divina misericordia "di cui Gemma e don Calabria erano assetati" per assaporare il sangue di Cristo. Anche da questo studio, ossia sul versante dell'esperienza mistica delle Stimmate ed il vissuto di Gemma sul senso del peccato, il filosofo Fabro propone argomentazioni molto forti, tali da poter erigere una diga alla prorompente furia della piena dell'errore e della confusione anche della New Age.

 

2.    La positività del peccato

  

Il peccato è sempre una decisione del libero arbitrio, datoci da Dio per amare a immagine di Lui che è amore, adoperato per l'opposto. C'è in ogni peccato un atto di volontà e, quindi, di responsabilità personale; è stato il Cristianesimo a fare chiarezza sul senso del peccato e a darci con Cristo la rivelazione della realtà positiva del peccato, quella che Gemma e don Calabria in maniera esperienziale sentono fino allo spasimo, in modo lacerante e straziante. Ascoltiamo qualche espressione di Gemma (analoghe in Calabria, come ho attinto da don Pedrollo):

 

"I miei peccati si sono innalzati sopra di me … (Estasi, p. 51)

 

Ah, Gesù, quello che mi affligge di più in questo mondo sono i miei peccati … (Estasi, p. 56).

 

Siamo sempre qui: ho peccato, ho fatto tanti peccati. (…) Ho fatto tanti peccati, Gesù … (Estasi, p. 819).

 

Quanti peccati, o Gesù! Togline il peso: mi fanno ribrezzo il gran numero. Accetto Gesù, tutte le pene, tutte le afflizioni che mi manderai; ne meriterei tante di più. Sarebbe tutta misericordia, Gesù, se tu accumulassi pene, afflizioni; anzi, Gesù, se tu me ne vuoi aggiungere … sì, se tu ne vuoi aggiungere, bacerò sempre la tua mano. Vedi, Gesù, questo dolore mi scuote tutte le fibre del cuore e mi impegna a non offenderti più. Aumenta la gioia di non offenderti più, gioia che chi ha perso al consapevolezza del peccato e del perdono non può più esperimentare.

 

O Dio! Gesù, togli tutto quello che la mia malizia mi mette in mente, poi accetta l'offerta. Non mi abbandonare, Gesù; guarda l'anima mia, pensa quanto hai faticato per salvarla. Eterno Padre, guarda Gesù, abbi pietà di me. Eccomi pronta, pronta a tutto. Vuoi che viva? Io sono contenta.

 

Fai pure, Gesù, che tutto il mondo mi conosca per quella miserabile che sono (Estasi, p.97).

 

Ti ho offeso, ti ho offeso tanto … (Estasi, p.135). O Gesù, tu avresti ragione di lamentarti di me; sì, perché ti ho offeso…E immeritevole qual sono, bisognerebbe pure che rendessi all'altare tante particole, (da me) rubate, tanto sangue … Ma te lo prometto l'emenda, basta che tu continui la corrente dei tuoi favori … Perché dal fango dove sono, innalzarmi al Paradiso, alla Felicità eterna?...

 

Piuttosto che mancarti di fedeltà e di amore, fammi morire …Meglio vivere fra le pene, che vivere peccatrice … (Estasi, p. 136).

 

Bisogna però che dica che tante volte, ma in particolare il giovedì sera, mi prende tanta una tristezza tale, al pensiero di aver commessi tanti peccati, tutti mi ritornano alla mente, che mi vergogno di me stessa, e mi affligge tanto tanto. Ieri sera pure, poche ore prima, mi venne questa vergogna, questo dispiacere, e trovo solo un po' di quiete in quel po' di patire che Gesù mi manda, offrendolo prima per i peccatori, e in particolare per me, e poi per le anime del purgatorio (Estasi, p. 193).

 

La solita ripugnanza mi giunge; il timore di perdere l'anima mi viene; il numero dei peccati e l'enormità di essi, tutto mi si spalanca davanti. Che agitazione! In quei momenti l'Angelo Custode mi suggerì all'orecchio: "Ma la misericordia di un Dio è infinita! MI quietai (Estasi, p. 197).

 

Difficile, mi dice Fabro, spiegare la realtà positiva del peccato, ma senza questa analisi non ha senso la redenzione di Cristo e non ha senso, di conseguenza, la realtà che i mistici hanno il dono di vivere.

 

"C'è quindi in ogni peccato un atto della volontà alla luce dell'intelletto, c'è un rischio, una specie di aggressività, di sicurezza. La decisione originaria è la scelta originaria: io non mi do alla rapina, al delitto …Io voglio, ed è quello che conta perché se il male e il peccato si riducessero prevalentemente ed essenzialmente a mera privazione, l'uomo non sarebbe responsabile. È un'azione positiva il peccato, il dispregio della legge e della bontà divina, di sfida a Dio, al suo amore, di scelta di queto mio io, di questo mio libero arbitrio nel mondo, di affermazione dell'io nella ricchezza, nella dinamica dei partiti più o meno estremisti, ecc. Si tratta di una scelta qualificativa interna così che se, per un atto radicale di introflessione trascendentale, ciascuno di noi potesse riversarsi all'interno della propria coscienza dopo una scelta radicale di questo tipo, si vedrebbe configurato nel delitto o nel rischio o nella virtù che ha operato.

 

Ecco quindi la positività di scelta; questo è un apporto unico, esclusivo del messaggio di libertà del Cristianesimo.

 

Altrove, Fabro va ancora più a fondo del problema e dice: "Anche Kierkegaard ha un'idea certamente pessimistica dell'umanità e quest'idea non è in senso luterano – checché ne dicano tanti espositori – ma in senso esistenziale in quanto egli, pur affermando in modo vigoroso la libertà umana, tuttavia vede che questa libertà – come già Sant'Agostino, Pascal e tutti i più profondi moralisti e scrutatori della soggettività umana – è tutta a servizio dell'io soggettivo, dell'io piccolo delle nostre passioni, dell'io idolo e non dell'io come compito di libertà proveniente dal sacramentum, dalla presenza sacramentale di Cristo. Questo "io-io" che ci striscia accanto e ci soffia nelle orecchie, nelle orecchie del cuore e della mente, che ci insinua sottilmente tutti i pregiudizi del nostro tornaconto facendoci apparire appunto la verità dentro l'angolo della soggettività …: forse se una volta in vita riuscissimo a sbarazzare il nostro io da tutte le corazze di difesa che noi abbiamo costruito con tanti anni di apologetica nostra, se riuscissimo a snidarlo e snudarlo per poter contemplare in viso in tutte le sue malefatte, le più insidiose ( e questo non deve farci orrore ma deve impegnarci a vedere che razza di galantuomo è questo "io"!); se noi potessimo avere quasi un'illuminazione radicale, un raggio che facesse la trasparenza del cuore e la percezione di tutto il gomitolo e l'andirivieni dei nostri progetti soggettivi …, noi vedremmo l'importanza radicale  di questa libertà per la verità e forse per la prima volta capiremmo e vedremmo quel punto interiore, quel punto profondo attorno al quale dovrebbe svolgersi tutta la nostra vita. E quel punto profondo è l'io schietto, (l'io umile che Gemma, che Calabria hanno esperimentato), l'io che si disperderebbe se non avesse la certezza di un Principio assoluto  del Redentore che ci ha dato la Grazia".

 

In una omelia domenicale a Torri  Fabro ebbe a dire: "San Tommaso afferma che il "motivo principale dell'Incarnazione è il peccato dell'uomo", l'uso negativo del libero arbitrio dato all'uomo per poter amare a immagine di Dio e usato male e riprendendo l'espressione di S. Agostino: "Se l'uomo non avesse peccato, Cristo non si sarebbe incarnato. A questo punto, spiega Fabro, abbiamo un attestato, un documento giuridico trascendentale che Dio ci ama, ama ogni persona: il Padre ha mandato per opera dello Spirito Santo in una Vergine il suo Figlio in terra non perché il mondo fosse più perfetto, ma perché l'uomo non fosse disperato.

 

3.    Situazione del carisma particolare in Gemma e Calabria

Proviamo a seguire un altro percorso in elevazione trascendentale. Gemma "si professa e si confessa, con spietata insistenza, peccatrice e gran peccatrice. Si potrebbe anche osservare che Gemma parli così di sé perché "ingrandisce" cioè esagera (per un complesso di colpa!) le sue presunte mancanze … una spiegazione verosimile, anche ovvia, dal punto di vista della psicologia normale. Ma questo non è il caso Gemma e Calabria (lo psichiatra Cherubino Trabucchi l'ha detto a Fabro) che per tutto il resto si mostrano sempre equilibrati e discreti, portati a parlare sempre bene degli altri e … sempre male di sé: come mai? Tanto più che è Gesù stesso – e questo sembra ancor più sconcertante – che proclama Gemma "la peggio di tutte le creature" Ma è lo stesso Gesù poi che celebra, in altre estasi (e Gemma stessa è pronta a riconoscere), le meraviglie di grazie che opera in lei e le predice la glorificazione degli altari.

Dobbiamo forse pensare a qualcosa di più alto, ad una situazione di spirito più profonda al di là di ogni valutazione finita, cioè di carattere totale e tutt'abbracciante. Si potrebbe, forse, parlare di una "situazione -carisma" del senso del peccato ossia di un senso – totale della malizia del peccato stesso ch'è abbracciato dall'anima nella sua pienezza di malizia, della sua prima origine lungo tutto il corso della storia umana, ch'è la storia di prevaricazione continuata e di ribellioni sempre in atto dell'uomo contro Dio uni trino. Ora il santo, come figlio di Adamo da una parte e dall'altra per il lume speciale ricevuto, si sente coinvolto e immerso in questo torrente limaccioso e fetente della storia e quindi anch'egli si confessa reo e correo.

 Questa è certamente una situazione nuova e speciale, è un trascendere il lume normale della ragione e della morale e i dati effettivi e reali della memoria storica: si potrebbe forse parlare di un elevarsi della memoria cordis in un dolore di compassione infinita e universale. Ma anche questa è un'espressione che non rende, per Fabro, la densità di "realtà" delle espressioni di Gemma. Invece di un "elevarsi", un termine certamente poco adatto ad esprimere l'appenarsi e la partecipazione dolorosa della Santa, si potrebbe parlare di uno sprofondarsi e di un inabissarsi – per un particolare lume di grazia – al di là dello steso proprio nulla della creazione, ossia di uno sprofondarsi nella percezione intima e vissuta del peccato radicale come peccato reale ossia come suo proprio peccato. Come quando esclama: "O Gesù, in tutti i giorni della mia vita io ho sempre peccato: molte offese le ho già piante; ma quel che è peggio, è che ne faccio sempre di nuove" (Estasi, 78, p. 102)". Don Pedrollo mi confermava analoghe espressioni in Calabria.

Siamo debitori al pensiero e alla penna di un Fabro, alla sua radicalità metafisica per questa profonda analisi del peccato come atto di libertà, rifiuto per proprio essere dono, figlio di Dio e, quindi di malizia. Sembrerebbe aver dato veste metafisica alle manifestazioni mistiche ed estatiche della nostra Gemma. E così se il filosofo assicura Gemma da banali o superficiali interpretazioni, la Santa ne ispira la mente e il cuore.

Egli che in una lettera (del 23.IX.1989), indirizzata a Madre Giovanna, scrisse: "Spesso con la memoria penso a Lucca, entro con fede nel vostro Santuario e mi raccomando a Gemma "testimone del soprannaturale".

La contemporaneità alla passione di Cristo

1.    Gesù Cristo, Salvatore, Redentore, risorto e vivo, soffre ancora?

Ci addentriamo ora in un'analisi tanto profonda, quanto discreta: "C'è un testo sintomatico proprio di Gemma che sembra ricondurci alla spiegazione tradizionale. Rileggiamo parzialmente la lettera 57^ (22 aprile 1901) al P. Germano suo confessore non facile, dove la Santa scrive che Gesù "… non le risponde più allegro come prima; ora mi risponde sì, ma ha le lacrime agli occhi. Quando mi metto a pregare, qualunque preghiera faccia, mi guarda e piange (cioè mi sembra di vedergli gli occhi lacrimosi). Mai ho il coraggio di domandargli nulla. Ieri mattina, costretta per obbedienza a domandarglielo, gli dissi: "Gesù perché piangete?" ed Esso: "Figlia non me lo chiedere …". Mi fece piangere tanto anche me …".

 

Seguiamo ancora le parole di Gemma:

"Oh! Quando vedo piangere Gesù, mi trafigge proprio il cuore; penso … penso …che col peccato gli ho aggravato l'oppressione che fu ricolmato nel fare orazione nell'Orto … In quel momento Gesù vide tutti i peccati, tutte le mie mancanze e insieme vide il posto che avrei occupato all'inferno, se il cuore di Gesù non mi avesse impetrato perdono".

Molti preferiscono dormire, mentre nell'Orto, Gesù agonizza e suda Sangue e si prepara all'atto di supremo sacrificio per la nostra salvezza.

 

2.    Ma cosa può dire al riguardo la ragione, la filosofia?

Fabro cita alcuni passaggi di pensatori sensibili a questo problema: "Questa esperienza della contemporaneità al dolore reale di Cristo nella Passione risale almeno fino ad Origine, il quale nelle Omelie in Leviticum scrive: "Salvator meus luget nunc peccata mea".  Il testo è citato anche da Kierkegaard nelle riflessioni cristologiche del Diario della maturità…", che così spiega: "Dice bene Origene: "Ancora (nella gloria) Egli piange per i nostri peccati. Non può rallegrarsi fin quando noi rimaniamo nella nostra ingiustizia. Come può Egli, che salì l'altare per redimere i nostri peccati, come può essere in gioia quando la miseria dei nostri peccati sale fino a Lui? Egli nel Regno di Dio non vuole bere da solo il vino della gioia; Egli aspetta noi. Ma quando domanderete voi, sarà portata a compimento la Sua gioia e la Sua opera? Quando avrà reso me l'ultimo e il più misero di tutti i peccatori, perfetto e compiuto". L'ultima osservazione è una formula eccellente, specialmente quando la si considera come un foglio bianco dove ciascuno può scrivere il proprio nome ma l'eccellenza della formula di Origene è che egli, dopo un'introduzione così grandiosa, più di tutta la storia universale, riporta poi la situazione" "a me". E come non ricordare l'appassionato momento di B. Pascal nel "Le mystère de Jésus" alla dolorosa agonia nell'Orto? Ancora in questa linea, con somiglianza sconcertante con Gemma, la testimonianza di padre Pio da Pietrelcina; più vicine nel tempo le mistiche: Maria Valtorta, Sr Elena Aiello, Angelina Lanza e Teresa Musco e le apparizioni di Cristo sotto la Croce, con le ferite sanguinanti, dei Crocefissi ed immagini sacre, pure sanguinanti.

 

L'argomento è ripreso recentemente anche da Giuseppe Bicocchi nella Rivista "Santa Gemma e il suo santuario".

 

Pertanto l'analisi di Fabro è incalzante: "Ma il problema del significato di quel singolare fenomeno di Gesù che appare hic et nunc sofferente, grondante sangue, piangente … per i peccati che gli uomini, disprezzando la sua grazia cioè Lui, continuano a commettere, resta ancora da decifrare. Gemma scrive, d'accordo con la Tradizione che "…Gesù vide tutti i peccati …e vide il posto che avrei occupato nell'inferno", è certo che non solo come il Verbo eterno, ma anche come Uomo-Dio glorificato risorto alla destra del Padre, vivo e presente nella Chiesa, Cristo abbraccia dall'inizio alla fine la storia non solo dell'umanità ma di ogni individuo particolare. Si può anche credere -ma il Vangelo non lo dice – che Cristo nell'orto ha anche visto i peccati di tutti gli uomini ed ha sofferto per essi sudore di sangue … Per questo Cristo vuole che Gemma ripeta in sé le sofferenze fisiche e morali della Sua Passione. Gesù continuava: "Guardami: mi vedrai tutto trafitto, deriso da tutti, morto in Croce e Io ti invito tu pure a morire in croce con me…". Allora il Cristo che appare piangente, sofferente fino a versare sangue, crocifisso … rinnova misticamente, quindi, realmente, i dolori della Passione per i nostri peccati… Gemma non fa mai discorsi discorsivi ma intuitivi come Calabria.

 

Allora Cristo come uomo continua a soffrire? Od è soltanto la scena dei mistici, un'immagine retrospettiva? Ma non sarebbe obbligato allora il mistico a dichiararlo per primo? Perché allora tutti i mistici insistono nel descrivere il "fenomeno" in termini di presenza reale alla quale "partecipano" con il proprio dolore e i propri sentimenti? Insomma: il problema, così posto, ha un senso? A me sembra di sì, ma dubito di riuscire a dargli una prospettiva sufficiente: mi auguro che riesca qualche altro più profondo e soprattutto dotato di senso più spirituale. Il nostro modesto tentativo s'ispira ad un tipo di analisi esistenziale del tempo come "spazio" della libertà inteso nel senso, se così posso esprimermi, di contenente attivo della possibilità di cui la libertà è principio per ciascuno di noi, dalla nascita alla morte. Così, sul piano esistenziale – non certo, ovviamente, su quello metafisico – ogni decisione è scelta di libertà sempre nuova da parte dell'uomo, cioè di ogni singolo. Il punto più delicato, ed anche più suggestivo, si interroga Fabro, è quello di chiederci se questa continua presenza operante di Cristo usque ad consumationem saeculi non sia semplicemente ridotta ad una presenza, effettiva certamente, ma considerata come già "avvenuta". Ma si può dire anche in qualche modo che, grazie all'intreccio d'immanenza e trascendenza … nella forma soprattutto dell'incontro-scontro di due libertà, la divina e l'umana, che la Passione di Cristo, a causa dei continui peccati degli uomini, continua in qualche modo ("misticamente e realmente") in Cristo perché gli uomini continuano a peccare ed a qualificare la storia con il novum delle proprie scelte di ribellarsi a Dio.

 

3.    Il tempo umano acquista un nuovo rapporto interiore

 

Sostiene Fabro: "Con la venuta di Cristo, il tempo umano acquista un nuovo rapporto interiore, cioè si inserisce nell'eternità che è proprio della divinità. Di conseguenza (credo si possa dire) con lo scomparire della presenza esteriore della Persona di Cristo dalla scena della storia del mondo, non può essere annullata la Sua è presenza reale – anche se invisibile – al mondo ed al tempo umano e quindi Egli non è mai assente agli eventi della storia. Questo sembra pacifico: perciò pare anche opportuno e legittimo concludere che come il nunc reale della presenza continua (-ata) di Cristo alla Chiesa, nelle vicende della sua realtà storica, non è tolta ma sostenuta dall'eternità, in cui anche l'umanità di Cristo è stata assunta e glorificata, così questa gloria non nega né distrugge, ma sostiene ed illumina sul piano soteriologico una presenza e partecipazione di una "nuova e reale" sofferenza di Cristo-uomo per i peccati che gli uomini ancora commettono e continuano ancora a commettere fino alla fine dell'eone storico che sarà chiuso con l'ultimo giudizio.

Ma Cristo ha detto che rimane con noi fino alla fine dei tempi. Ed allora: "…Per Cristo vale una ragione speciale: con l'incarnazione e con i singoli Misteri della sua vita il Verbo eterno ha contratto in Cristo una particolare "situazione di appartenenza al tempo" che è la storia umana, la quale costituisce per l'appunto il "tempo opportuno…della salvezza. Questa "situazione nuova" è una novità sia nel Verbo Incarnato destinato alla Passione, per salvare l'uomo, sia nell'uomo chiamato alla salvezza mediante la libertà, ossia la sua partecipazione libera alla Passione di Cristo. Ma il discorso non è semplice, poiché può sembrare: "una soluzione minimistica negare che in realtà per il "peccato" dell'uomo, Cristo ormai (glorioso) più non soffra come uomo, perché ha già sofferti per tutti i peccati della storia umana ch'Egli aveva già previsti uno per uno…i miei (come dice Gemma), i tuoi, quelli di ciascuno e con la speciale malizia di ciascuno. Pertanto come Cristo gioisce quando fioriscono i Santi, così anche soffre quando infestano i peccatori.

 

Per comprendere le divine realtà è necessario che la ragione segua le ispirazioni profonde dell'anima, quel "divino istinto" di cui già parlava Aristotele su cui san Tommaso poggia la mirabile dottrina dei Doni dello Spirito santo, approfondimento e prolungamento delle virtù teologali. I Doni abbracciano tutte le attività dell'anima sia speculative che pratiche e la introducono nei segreti della vita soprannaturale. Con l'anima così corroborata possiamo entrare nel tempo di Cristo: sofferente e glorioso. Fabro asserisce al riguardo: "La verità teologica della Divina Trascendenza e dell'impassibilità di Dio ci sembra resti salva ed anche, di conseguenza, di Cristo, come Verbo eterno nella sua generazione eterna (Gv 1,1). Nella seconda e terza nascita, ossia in quella che è avvenuta una volta sola nel parto verginale di Maria ed in quella che avviene in ogni anima che passa dal peccato alla grazia, secondo la profonda esposizione di Eckardt ripesa da Paulero, quando trascendenza e immanenza, ossia Dio e le creature, vengono a contatto e quasi si intersecano".

 

4.    "Essere per diventare sé stessi davanti a Dio in Cristo"

Un enunciato tutto da approfondire, una formula ontologica e dinamica, metafisica ed esistenziale che orienta la comprensione del rapporto di infinito-finito, divino-umano, eterno-temporale, assoluto-contingente, grazia e anima, fede e ragione, in una parola la libertà come creatività partecipata, secondo le espressioni di Fabro: "La rivoluzione cristiana, asserisce Fabro, consiste nella Rivelazione della libertà esistenziale, concetto sconosciuto nell'antichità, il nucleo di questo capovolgimento è la libertà la quale, peraltro, è possibile solo in funzione di un'autentica spiritualità.

La rivoluzione cristiana è essenzialmente rivelazione della libertà esistenziale. Esistenzialismo positivo e costruttivo. È su             questo fondamento metafisico che possiamo parlare di realtà presenziale di Cristo nella storia delle anime: la visione che Cristo ha ora, ed in ogni momento.

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