Giovedì Santo
Attualizzazione eucaristica nella Cena del Signore (Gv 13,1-15) "Li amò sino alla fine"
Gesù depone le vesti della sua gloria, si cinge col "panno" dell'umanità e si fa schiavo da risorto, da vivo sacramentalmente nell'Eucarestia. Lava i piedi dei discepoli e li rende così capaci di accedere, con il loro libero arbitrio, al convito divino al qual Egli li invita. Al posto delle purificazioni cultuali ed esterne, che purificano l'uomo ritualmente, lasciandolo così com'è, subentra il bagno nuovo: Egli ci rende puri mediante la sua parola e il suo amore., mediante il dono sacramentale di sé stesso. "Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato", dirà ai discepoli nel discorso della vite (Gv 15,3). Sempre di nuovo ci lava con la sua parola. Sì, se accogliamo le parole di Gesù in atteggiamento di meditazione, di preghiera e di fede, esse sviluppano in noi la loro forza purificatrice e ci rendono liberi. Giorno dopo giorno siamo come ricoperti di sporcizia multiforme, di parole vuote, di pregiudizi, di sapienza ridotta ed alterata; una molteplice semifalsità o falsità aperta s'infiltra continuamente nel nostro intimo. Tutto ciò offusca e contamina la nostra anima, ci minaccia con l'incapacità per la verità e per il bene. Se, nella liturgia della Parola, accogliamo le parole di Gesù col cuore attento, esse si rivelano veri lavaggi in ogni Messa, purificazioni dell'anima, dell'uomo interiore. La lavanda che Gesù dona ai suoi discepoli è anzitutto semplicemente azione sua come nei sacramenti – il dono della purezza, della "capacità per Dio" offerto loro. Ma il dono diventa poi un modello, il compito di fare la stessa cosa gli uni per gli altri. I Padri hanno qualificato questa duplicità di aspetti della lavanda dei piedi con le parole Sacramentum ed exemplum. Sacramentum significa in questo contesto non uno dei sette sacramenti, ma il mistero della presenza di Cristo, vivo nel suo insieme, dall'incarnazione fino alla croce, alla risurrezione, vivo presente e operante: questo insieme diventa la forza risanatrice e santificatrice, la forza trasformatrice in una nuova forma di essere, nell'apertura per Dio e nella comunione con Lui vivo, presente soprattutto eucaristicamente. Ma questo nuovo essere che Egli, senza nostro merito, semplicemente ci dà deve poi trasformarsi in noi nella dinamica di una nuova vita fraterna nell'attesa della felicità eterna, del Cielo. L'insieme di dono ed esempio, che troviamo nella pericope della lavanda dei piedi, è caratteristico per la natura del cristianesimo in genere. Il cristianesimo, in rapporto col moralismo della sola legge pur necessaria, è di più e una cosa diversa. All'inizio non sta il nostro fare, la nostra capacità morale di fedeltà necessaria alla legge. Cristianesimo è anzitutto dono: Dio si dona a noi – non dà qualcosa, ma sé stesso soprattutto nell'Eucarestia almeno di ogni domenica. E questo avviene non solo all'inizio, nel momento della nostra conversione. Egli resta continuamente nel Tabernacolo Colui che si dona. Sempre di nuovo ci offre i suoi doni. Sempre ci precede. Per questo l'atto centrale dell'essere cristiani è l'Eucarestia almeno della domenica: la gratitudine per essere stati gratificati, la gioia per la vita nuova di amore che Egli ci dà ci spinge questa sera a sostare in adorazione dopo la Messa.
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