Onore all'Ucraina e al cardinale
Roberto de Mattei, in "Corrispondenza Romana" – 7 Marzo 2022
Vi sono uomini che incarnano le virtù e i valori più profondi di un popolo. Tale fu il cardinale Josyf Slipyj, arcivescovo maggiore di Halyč e di Leopoli degli Ucraini, di cui ricorre il 130esimo anniversario della nascita, proprio mentre la sua terra natale conosce una nuova immane tragedia.
Nato 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nell'Ucraina occidentale, a diciannove anni Josef Slipyj entrò nel Seminario di Leopoli, dove fu ordinato sacerdote il 30 settembre 1917 e poi inviato a Roma per completare i suoi studi presso l'Istituto Orientale e l'Università Gregoriana. Nel 1925 venne nominato Rettore del seminario di Leopoli e nel 1929 dell'Accademia teologica della stessa città. L'Ucraina intanto era caduta sotto il giogo sovietico e Stalin, tra il 1932 e il 1933, requisì tutta la produzione agricola per imporre la collettivizzazione forzata del paese attraverso la carestia, conosciuta come Holodomor (cfr. Anne Applebaum, La grande carestia. La guerra di Stalin all'Ucraina, tr. it. Mondadori, Milano 2019).
Mentre si avvicinava la guerra, il metropolita greco-cattolico dell'Ucraina Andrej Szeptycki (1865-1944), che lo aveva avviato al sacerdozio, lo richiese a Pio XII come suo coadiutore con diritto di successione. Così, nel 1939, mons. Josef Slipyj venne nominato esarca dell'Ucraina orientale e alla morte del metropolita Szeptycki, il 1° novembre 1944, divenne Capo e padre della Chiesa cattolica ucraina. Era un momento terribile per il suo Paese, stretto tra la morsa dei nazisti e dei comunisti. L'11 aprile 1945 il metropolita Slipyj venne arrestato dai sovietici e condannato a otto anni di lavori forzati nei gulag, mentre veniva inscenato un Sinodo illegale che proclamava la "riunificazione" della Chiesa cattolica ucraina con il Patriarcato ortodosso di Mosca, dominato dal regime sovietico. Le chiese dei greco-cattolici, circa 3.000, vennero date agli ortodossi e quasi tutti i vescovi e i sacerdoti furono uccisi o incarcerati. Nel 1953 l'arcivescovo Slipyj subì una seconda condanna a cinque anni di Siberia e nel 1958 una terza a quattro anni di lavori forzati. Nel 1962, a settant'anni, patì la quarta condanna, consistente nella deportazione a vita nel durissimo campo di Mordovia. In tutto, l'eroico presule passò 18 anni nelle carceri e nei gulag.
Il padre gesuita Pietro Leoni (1909-1995), sopravvissuto ai lager sovietici, descrivendo gli orrori del campo di transito di Kivov, racconta che un giorno alcuni detenuti furono introdotti nella sua cella. "Sull'imbrunire mi sentii chiamare da una voce sconosciuta: un uomo anziano, con la barba, stava in piedi davanti al mio posto; mi porse la mano presentandosi: Giuseppe Slipyj. Fu allo stesso tempo una gioia e un dolore sapermi insieme al mio metropolita" (Mons. Giovanni Choma, Josyf Slipyj, padre e confessore della Chiesa ucraina martire, La Casa di Matriona, Milano 2001, p. 68).
Pio XII intervenne ripetutamente in favore degli ucraini e del loro metropolita incoraggiandoli a resistere alle persecuzioni, soprattutto con l'enciclica Orientales Omnes Ecclesias del 23 dicembre 1945. Tuttavia, nel 1958, dopo la morte di Pio XII, i rapporti tra la Russia e il Vaticano iniziarono a mutare. Quando Giovanni XXIII annunciò il Concilio Vaticano II, volle che ad esso partecipassero i rappresentanti del Patriarcato di Mosca. Le autorità del Cremlino imposero come condizione il silenzio del Concilio sul comunismo. Un accordo segreto fu siglato, nell'agosto del 1962, nella cittadina francese di Metz tra il cardinale Tisserant, rappresentante del Vaticano, e il vescovo ortodosso Nikodim da parte russa. La grande assemblea convocata per discutere sui problemi del proprio tempo avrebbe taciuto sulla maggiore catastrofe politica del Novecento (R. de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai, Lindau, Torino 2010, pp. 174-177).
In quegli anni i gulag comunisti pullulavano di prigionieri per motivi religiosi, specialmente della Chiesa cattolica ucraina. Sarebbe stato uno scandalo se nell'aula del Concilio fossero stati assenti i vescovi vittime della persecuzione e presenti invece gli esponenti del Patriarcato di Mosca, che appoggiavano i carnefici. Fu svolta dunque una trattativa tra la Santa Sede e il Cremlino, per permettere al metropolita Slipyj di partecipare al Concilio. Il capo della Chiesa ucraina non voleva abbandonare il suo paese, ma ubbidì al Papa e prima di lasciare Mosca consacrò clandestinamente vescovo il sacerdote redentorista ucraino Wasyl Welyckowskyj.
Giunse a Roma il 9 febbraio 1963, ma non tacque. L'11 ottobre 1963 Slipyj intervenne in Concilio parlando della testimonianza di sangue della Chiesa ucraina e proponendo di elevare la sede di Kiev-Halyč al rango patriarcale. Egli ricorda di aver rivolto questa richiesta numerose volte a Paolo VI ma di avere sempre ricevuto un diniego per ragioni politiche. Il riconoscimento del Patriarcato ucraino avrebbe infatti ostacolato l'Ostpolitik e il dialogo ecumenico con la chiesa ortodossa di Mosca (Memorie, Università Cattolica Ucraina, Leopoli-Roma 2018, pp. 512-513). Però, il 25 gennaio 1965 fu creato cardinale da papa Paolo VI, che elevò la Chiesa greco-cattolica ucraina al rango di Arcivescovato maggiore di Leopoli degli Ucraini.
Fra il 1968 e il 1976, malgrado l'età avanzata, il cardinale Slipyj intraprese lunghi e faticosi viaggi presso le comunità della diaspora ucraina nelle Americhe, in Australia e in Europa, continuando a svolgere il ruolo di Pastore del suo popolo. Nel 1976 lanciò un appello alle Nazione Unite in favore delle vittime del comunismo e nel 1977, in un drammatico intervento presso il Tribunale Sakharov, denunciò ancora una volta la persecuzione religiosa in Ucraina. Il mondo guardava a lui e al cardinale József Mindszenty (1892-1975) come a due grandi testimoni della fede cattolica nel Novecento.
Per assicurare il futuro della Chiesa ucraina, il cardinale Slipyj non arretrò di fronte a gesti estremi. Peter Kwasniewski ha recentemente ricordato come il 2 aprile 1977 egli ordinò clandestinamente tre vescovi, senza l'autorizzazione di Paolo VI, incorrendo automaticamente nelle censure canoniche previste dal can. 953 del Codice allora vigente. Però, a differenza di quanto accadrà per mons. Marcel Lefebvre, scomunicato nel 1986 per la stessa infrazione della legge canonica, nessuna misura scattò ipso facto, nei confronti del cardinale Slipyj (http://blog.messainlatino.it/2021/10/card-wojtya-disobbedi-al-papa-al-pari.html). Uno dei vescovi da lui ordinati era mons. Lubomyr Husar (1933-2017), che Giovanni Paolo II nominò, dopo Slipyj, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica e cardinale. A lui successe come primate Svjatoslav Ševčuk, che si trova in questo momento sotto le bombe nella città assediata di Kiev. Nel 2004 la sede dell'arcivescovato maggiore è stata trasferita a Kiev e ha mutato il proprio nome in quello attuale di Kiev-Halyč.
Il cardinale Josef Slipyj morì in esilio a Roma a novantadue anni il 7 settembre 1984 ed è ora sepolto a Leopoli, nella cripta della cattedrale di San Giorgio, accanto al metropolita Andrej Szeptycki. Giovanni Paolo II lo definì «uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa» (L'Osservatore Romano, 19 ottobre 1984).
Mentre l'identità religiosa e politica della sua terra è ancora una volta brutalmente calpestata, la memoria dell'eroica resistenza del cardinale Josyf Slipyj ci aiuta a confidare nel futuro dell'Ucraina. Kiev fu il luogo della conversione del popolo russo alla Chiesa cattolica, e da Kiev, non da Mosca, è destinata a partire la seconda grande conversione della Russia annunciata dalla Madonna a Fatima. Del messaggio di Fatima il cardinale Slipyj fu un grande zelatore. Nel 1980 egli presentò a Giovanni Paolo II due milioni di firme raccolte dall'Armata Azzurra, insistendo in un lungo colloquio con il Papa sulla necessità di consacrare la Russia al Cuore Immacolato di Maria (John Haffert, Dear Bishop! Memoirs of the Author concerning the History of the Blue Army, AMI International Press, Washington 1982, p. 229). Questa consacrazione non è ancora avvenuta secondo le modalità richieste dalla Beatissima Vergine, alla quale il cardinale Slipyj così si rivolse nel suo testamento: «Seduto sulla slitta e facendomi strada verso l'eternità…recito una preghiera alla nostra protettrice e Regina del Cielo, la sempre Vergine Madre di Dio. Prendi la nostra Chiesa ucraina e il nostro popolo ucraino sotto la tua efficace protezione!» (Memorie, pp. 524-525). Facendo nostre le sue parole in questo momento tragico della storia del mondo non possiamo che proclamare a voce alta: "Onore al cardinale Slipyj e al suo popolo martire".
Commenti
Posta un commento