La speranza
Luisella Scrosati, in "La Nuova Bussola" – 27 Marzo 2022
Nella scorsa lezione, tra i vari aspetti, abbiamo visto quale sia l'atteggiamento adeguato dell'uomo di fronte a Dio che si rivela e quindi quali sono le conseguenze del credere in un unico vero Dio. "Credo in unum Deum" include LE TRE VIRTÙ TEOLOGALI: fede, speranza e carità e LA VIRTÙ DI RELIGIONE, in particolare il culto e l'adorazione.
A questo discorso possiamo collegare un aspetto molto importante del MESSAGGIO DI FATIMA, ovvero l'apparizione dell'Angelo nel 1916 che ha preceduto quella della Madonna. In quell'occasione, l'Angelo insegnò ai tre pastorelli una preghiera:
«Mio Dio, io credo, adoro, spero e Vi amo. Vi chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano».
Questa preghiera straordinariamente vera, possiamo intuirla nel suo profondo significato e nella sua lungimiranza, in quanto tutti i problemi che noi stiamo vivendo sono legati al mancato riconoscimento reale dell'unico vero Dio e di conseguenza al non obbedire più al primo grande comandamento. Ciò che manca nel nostro tempo è esattamente la fede, la speranza, la carità e l'adorazione. E sono esattamente i quattro atti che l'Angelo richiama e per i quali chiede riparazione.
Noi aderiamo a Dio tramite l'intelletto, che non va inteso in senso razionalistico, in quanto la fede conduce all'adesione a Dio; abbiamo infatti visto che la ragione formale della fede è che Dio rivela e si rivela. Noi crediamo a tutto quello che Dio rivela proprio perché è Lui a rivelarcelo Noi aderiamo con la fede a Dio, prima Verità: questa prima Veritas dalla quale dipendono poi le singole verità articolate tra di loro.
OGGI PROSEGUIAMO PRENDENDO IN CONSIDERAZIONE LA VIRTÙ TEOLOGALE DELLA SPERANZA. Anche la Speranza ha come fine, come sua destinazione, Dio. In questo caso vi è una adesione a Dio sotto l'aspetto della beatitudine eterna e in quanto Dio è il solo che può dare all'uomo i mezzi per giungere a questa beatitudine, in quanto questa beatitudine oltrepassa la capacità dell'uomo.
L'uomo, mentre è attirato e spera in Dio come sua beatitudine, come il fine della sua vita, nello stesso tempo spera in Lui anche per ricevere i mezzi che a questa beatitudine conducono, in quanto Dio è onnipotente, è bontà infinita e tutto può e vuole il nostro bene.
Vi sono due quaestiones della Summa Theologiae, II-II, la 17 e 18, che appunto sono dedicate alla virtù teologale della Speranza:
«La speranza riguarda principalmente la felicità eterna, e tutte le altre cose che vengono chieste a Dio le considera come secondarie, e in ordine a questa felicità. Esattamente come la fede, che ha per oggetto principalmente Dio e secondariamente le cose che sono a lui ordinate». (Q. 17, art, 2, ad. 2)
Quindi il focus della speranza è sulla BEATITUDINE ETERNA: tutto il resto ha senso e va ordinato in quanto conduce a questa beatitudine.
«Una virtù si dice teologale per il fatto che ha Dio per oggetto a cui aderisce. Ora, uno può aderire a un oggetto in due modi: primo, per l'oggetto medesimo; secondo, per giungere ad altre cose in forza di esso. Ora, la carità fa aderire a Dio per se stesso, unendo a lui l'anima con l'affetto dell'amore. Invece la speranza e la fede ci fanno aderire a Dio come a un principio dal quale ci derivano dei beni. Da Dio infatti derivano a noi la conoscenza della verità e il conseguimento della perfetta beatitudine. Perciò la fede fa aderire l'uomo a Dio in quanto questi è il principio per conoscere la verità: poiché noi crediamo vere le cose che ci sono rivelate da Dio. La speranza invece ci fa aderire a Dio in quanto egli è per noi il principio della perfetta beatitudine: cioè in quanto mediante la speranza contiamo sull'aiuto divino per raggiungere la perfetta beatitudine». (Art. 6)
Negli articoli successivi san Tommaso ordina tra loro le virtù teologali, tracciando un bellissimo quadro sintetico. Nell'articolo 7 si domanda se la speranza preceda la fede e conclude che È LA FEDE CHE PRECEDE LA SPERANZA.
«Oggetto della speranza è il bene futuro arduo, possibile a conseguirsi. Quindi perché uno speri, si richiede che l'oggetto della speranza gli sia proposto come raggiungibile. Ora, l'oggetto della speranza è in un senso la beatitudine eterna, e in altro senso l'aiuto di Dio [...]. E sia l'una che l'altra cosa è a noi proposta dalla fede, la quale ci fa conoscere che possiamo raggiungere la vita eterna, e che è a nostra disposizione l'aiuto di Dio; poiché sta scritto: "Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste, e che ricompensa coloro che lo cercano". Perciò è chiaro che la fede precede la speranza». (Art. 7)
San Tommaso si chiede poi se anche la carità preceda la speranza; e qui conclude che mentre la fede precede la speranza, LA CARITÀ SEGUE LA SPERANZA, facendo però delle distinzioni:
«In ordine genetico la speranza precede la carità. Infatti come uno si dispone ad amare Dio, [...], per il fatto che cessa dal peccato nel timore di essere da lui punito, così la speranza predispone alla carità, in quanto uno, nella speranza di essere ricompensato da Dio, si infervora ad amarlo e a osservarne i comandamenti. Invece in ordine di perfezione la carità è prima per natura. E così al sopraggiungere della carità, la speranza diviene più perfetta: poiché dagli amici speriamo in sommo grado. E in questo senso S. Ambrogio afferma che la speranza viene dalla carità» (Art. 8).
Nell'articolo quarto (sempre della quaestio 17), Tommaso si chiede se si possa sperare lecitamente nell'uomo. Per rispondere a ciò, bisogna ricordare che la speranza ha di mira due obiettivi, la beatitudine a cui l'uomo aspira e l'aiuto con cui questo bene può essere raggiunto: la beatitudine eterna come fine ultimo e l'aiuto di Dio come causa prima che porta alla beatitudine. Perciò Tommaso conclude:
«Come non è lecito sperare un bene diverso dalla beatitudine quale ultimo fine, ma solo quale mezzo ad essa subordinato; così non è lecito sperare in un uomo, o in un'altra creatura, come se si trattasse di una causa prima, capace di condurre alla beatitudine. E' invece lecito sperare in un uomo, o in altre creature, se esse vengono considerate quali agenti secondari e strumentali, capaci di servire al conseguimento di certi beni ordinati alla beatitudine. È in questo modo che noi ci rivolgiamo ai santi, e chiediamo anche agli uomini determinate cose». (Art. 4)
Ogni volta che la nostra speranza si porta su qualcosa che Dio non è, sia come fine ultimo sia come mezzo o causa prima, la speranza teologale viene frustrata e si compie un atto disordinato.
Un ultimo rilievo ci viene dalla quaestio 18, art. 4. San Tommaso si domanda se la nostra speranza, ovvero quella di coloro che sono ancora in viaggio verso la salvezza, abbia la DOTE DI CERTEZZA.
«La speranza si fonda principalmente non sulla grazia già posseduta, ma sulla divina onnipotenza e misericordia, con la quale può conseguire la grazia anche chi non la possiede ancora, in modo da giungere alla vita eterna. Ora, chiunque ha la fede è certo dell'onnipotenza e della misericordia di Dio. Il fatto che alcuni, pur avendo la speranza, non raggiungono la beatitudine, deriva da un difetto del libero arbitrio, che mette l'ostacolo del peccato, e non da una mancanza della divina onnipotenza, o misericordia, su cui si fonda la speranza. Per cui ciò non pregiudica la certezza della speranza». (Art. 4, ad 2-3)
La speranza non si fonda pertanto su qualcosa di nostra proprietà, ma sulla divina onnipotenza e sulla divina misericordia. La certezza sta in Dio: che Dio può e che Dio vuole salvare l'uomo. Qual è invece l'incertezza? L'incertezza sta non tanto nella nostra fragilità, ma nel libero arbitrio dell'uomo. Ma la speranza in quanto tale è certa, perché certo è l'aiuto di Dio e certa è la Sua onnipotenza per salvarci.
Commenti
Posta un commento