Servi di una volontà impazzita

Francesco Lamendola in "Accademia Adriatica di Filosofia" – 30 Settembre 2021

Volontà sana e volontà malata

Siamo profondamente convinti che uno dei mali fondamentali della civiltà moderna e del suo sistema di vita, se non addirittura il male fondamentale, sia l'impazzimento della volontà, che si manifesta da un lato in una debolezza cronica, ossia nell'incapacità di perseguire ciò a cui tende, dall'altro in una folle estensione ed assolutizzazione, per cui essa vuole tutto ciò che le è possibile volere, non avendo di mira il fine ultimo, ma soffermandosi nel volere anche tutti i fini intermedi, molti dei quali non sono necessari in se stessi, ma andrebbero considerati come delle semplici tappe verso il raggiungimento del fine. A monte di ciò, appare chiaro che il problema fondamentale è lo smarrimento del fine ultimo: perché è palese che se la volontà non vuole ciò che vuole in vista di esso, ma vuole qualsiasi cosa, a casaccio e a capriccio, solo perché sul momento appare desiderabile all'intelletto, o alla sensibilità, ma poi si rivela chiaramente nel suo carattere effimero o addirittura dannoso, allora ci si trova in presenza d'una volontà malata, che gira a vuoto come una pompa idraulica che continua a pompare anche se non c'è più acqua ma solamente aria, e quindi sta eseguendo un lavoro inutile e pazzesco, che prima o poi finirà per danneggiarla e per renderla inutilizzabile quando sarà necessario pompare veramente l'acqua.

 

 

L'uomo moderno sembra aver smarrito del tutto il senso dello scopo, della direzione, del fine, e quindi sembra in balia di una volontà impazzita, che invece di servirlo, lo obbliga a servirla, ad esempio disperdendo gran parte delle sue energie in un dinamismo fine a stesso, trascurando i suoi bisogni più veri e profondi!

 

 

 

Qual è il fine ultimo della volontà? Diciamo che il fine ultimo della volontà è ciò che le si addice naturalmente e senza il quale l'individuo, cui la volontà appartiene, si riduce a vivere male, ossia in maniera innaturale e sofferente. E cosa si addice naturalmente alla volontà, che sia anche essenzialmente necessario all'individuo, e non accidentalmente? Evidentemente il bene supremo. Ora, qual è il bene supremo per l'essere umano? Il bene supremo è la felicità: perché solo quando è felice l'essere umano dispiega tutta la sua potenza vitale e gode intensamente della propria condizione. Ma come si può raggiunge la felicità? Realizzando il proprio fine. Dunque è felice l'uomo che ha realizzato il proprio fine, ed è sana e ben diretta la volontà che tende con tutte le sue forze verso di esso, mentre è malata e deviata la volontà che si dirige verso fini artificiali o innaturali, che non l'avvicinano di un passo a quel fine, oppure che l'avvicinerebbero, ma essa si ferma e indugia sulle tappe intermedie e sui fini secondari che sono necessari solo nella misura in cui permettono di giungere alla meta ultima. Se, per esempio, diciamo che il fine dell'organismo è la salute, è chiaro che l'assunzione di medicinali è un atto che si rende necessario in vista del raggiungimento o il ristabilimento della salute; ma se l'assunzione di medicinali tende a divenire una metà in sé, vale a dire se essi vengono assunti per una sorta di automatismo, senza vera necessità, allora ci troviamo in presenza di una deviazione del volere, che non tende al fine naturale che gli è proprio, ma ad un fine intermedio che cessa di essere necessario nella misura in cui finiscono le condizioni che lo avevano reso tale. Perciò nel malato immaginario che si ingozza di farmaci pensando che solo così potrà tenere a bada le malattie, vi è una sostituzione dei fini della volontà: mentre in un primo tempo essa voleva assumere i farmaci per godere della salute, ora assume i farmaci per la paura di non poter conseguire o mantenere la salute, e in tal modo perde di vista il fine vero, che è la salute, per impigliarsi in un fine secondario, la cura mediante i farmaci, che da oggetto temporaneo e strumentale diviene lo scopo finale.

 

Volontà sana e volontà malata? Il problema fondamentale è lo smarrimento del fine ultimo!

 

 

 

Si pone perciò la domanda: quando la natura umana realizza il proprio fine? Quando sviluppa al più alto grado possibile ciò che le è essenziale e conforme a se stessa, ciò che è pienamente e specificamente umano. Pienamente  specificamente umana è la ragione, la facoltà che distingue la natura umana da quelle dei bruti e delle creature vegetative. E la ragione, a sua volta, può essere usata per conoscere diversi gradi di realtà; ma è chiaro che tocca la vetta più alta quando si rivolge alla ricerca delle causa prima e del fine ultimo dell'esistente, ciò che in termini religiosi si chiama Dio. Pertanto è felice e realizzata la natura umana allorché cerca e trova Dio, e si appaga nella conoscenza e nella contemplazione di Lui: tale è il suo naturale fine ultimo, che coincide con il bene spremo, ossia con la felicità. Conoscere, amare e adorare Dio è sia il bene più grande che la natura umana possa raggiungere, conformemente a ciò cui essa è ordinata, cioè l'uso della ragione; sia il conseguimento della massima felicità. Ma, per far questo, ha bisogno della volontà: perché non basta vedere e capire, bisogna anche volere, cioè dirigersi consapevolmente  verso il fine.

 

La volontà, dice san Tommaso d'Aquino, è inclinazione verso lo scopo: dunque è dirigere la potenza del volere verso l'atto dell'agire, secondo un obiettivo determinato, in vista di un fine preciso individuato dalla ragione.

 

Scrive il Dottore Angelico (Summa Theologica, I, q. XXIXII, a. 1 e q. XXXII, a. 2; traduzione di Niola Petruzzellis, Brescia, La Scuola Editrice, 1959, pp. 64-66):

 

[LA VOLONTÀ È SOTTOPOSTA SOLAMENTE  ALLA NECESSITÀ DEL FINE SUPREMO]

 

La parola necessità ha sensi molteplici. È necessario ciò che non può non essere. Ora la necessità può imporsi ad un essere o in virtù di un principio intrinseco materiale, come quando diciamo che è necessario  che un composto formato di elementi contrari si dissolva, o in virtù di un principio intrinseco formale, come quando diciamo che è necessario che un triangolo abbia la somma degli angoli interni eguale a due retti. Questa è la necessità strutturale e assoluta. Ma può anche avvenire che un essere non possa essere se non in forza di un agente estrinseco, sia esso una causa finale o una causa efficiente. Si verifica il primo caso, quando non si può raggiungere un fine o non lo si può raggiungere pienamente senza far uso di un determinato mezzo. In tal senso diciamo che il cibo è necessario alla vita e il cavallo per il viaggio. Questa è la necessità proveniente dal fine, che alle volte si dice anche utilità.  Si verifica il secondo caso, quando la necessità proviene da un altro essere agente, come quando uno è costretto da un altro, in guisa da non poter agore altrimenti Questa si chiama necessità di coazione e ripugna totalmente alla volontà. Noi definiamo forzato ciò che è contrario all'inclinazione di una cosa. Ora, l'atto di volontà è una certa inclinazione verso uno scopo. Come si dice naturale ciò che è conforme all'inclinazione della natura, così si dice volontario ciò che corrisponde alla tendenza della volontà; come, dunque, impossibile che alcunché sia violento e naturale insieme, è del pari impossibile che un atto sia coatto, o violentato, e volontario insieme. Ma la necessità del fine non ripugna alla volontà, quando non si può giungere al fine se non in un determinato modo: per esempio, dalla volontà di attraversare il mare scaturisce la necessità di volere una nave. Similmente neppure la necessità naturale ripugna alla volontà: anzi  necessario che come l'intelletto aderisce ai primi principi, così la volontà aderisca al fine ultimo, che è la felicità. Il fine, infatti, corrisponde nella sfera pratica a ciò che è il principio nella sfera speculativa. Ciò che conviene naturalmente e immutabilmente ad un essere è necessariamente il fondamento e il principio di tutto il resto, perché la natura è in ogni cosa il principio ed ogni movimento parte da un punto iniziale immobile.

 

[LA VOLONTÀ NON VUOLE NECESSARIAMENTE TUTTO CIÒ CHE VUOLE]

 

La volontà non vuole necessariamente tutto ciò che vuole. Per comprendere ciò chiaramente, bisogna considerare che, come l'intelletto naturalmente e necessariamente aderisce ai primi principi, così aderisce la volontà all'ultimo fine. Vi sono tuttavia delle conoscenze che non sono in necessaria connessione coi primi principi, come, ad esempio, le proposizioni contingenti, la cui negazione o ignoranza non comporta la negazione o l'ignoranza dei primi principi. L'intelletto non dà necessariamente l'assenso a queste proposizioni. Ma altre proposizioni, che hanno una necessaria connessione coi primi principi, come le conclusioni dimostrative, sono necessarie: la negazione di esse importa la negazione dei primi principi. L'intelletto dà necessariamente l'assenso a queste proposizioni, dopo aver conosciuto per mezzo della deduzione dimostrativa la connessione necessaria che le ricollega i primi principi: prima di ciò l'assenso non è necessario. Lo stesso si verifica per la volontà: vi sono infatti certi beni particolari che non hanno una connessione necessaria con la felicità, perché si può esser felici anche senza di essi; perciò la volontà non aderisce necessariamente a beni siffatti. Ma ve ne sono altri che hanno una connessione necessaria con la beatitudine e son quelli mediante i quali l'uomo si congiunge a Dio, nel quale soltanto si torva la vera felicità. Tuttavia, prima che la certezza intrinseca alla visione di Dio riveli questa necessaria connessione, la volontà non aderisce necessariamente a Dio e ai beni che ne dipendono e che a Lui conducono

 

La volontà, dice san Tommaso d'Aquino, è inclinazione verso lo scopo: dunque è dirigere la potenza del volere verso l'atto dell'agire, secondo un obiettivo determinato, in vista di un fine preciso individuato dalla ragione!

 

 

 

Alla luce delle considerazioni di san Tommaso, appare che la volontà non si dirige indifferentemente in qualsiasi direzione, o meglio, se ciò avviene significa che è subentrato un disordine, un'anomalia, sicché quella volontà non sta seguendo la legge fondamentale di tutto ciò che esiste in natura, ossia l'attrazione verso ciò che è necessario. Necessario all'uomo è rivolgere a Dio la propria facoltà sovrana, la ragione, e la volontà esprime questo movimento naturale. È sana, pertanto, questa è la deduzione che traiamo noi, la volontà che si dirige verso il fine naturale della ragione, poiché la volontà è lo strumento della ragione: ossia verso Dio, sommo bene e somma felicità. È malata, viceversa, la volontà che non si dirige verso tale fine e che, invece di essere strumento della ragione, si fa strumento dei bassi appetiti; oppure si fa strumento della ragione, ma di una ragione deviata, la quale invece di cercare la sua più alta realizzazione, che è la conoscenza di Dio, si rivolge verso altri fini, ad esempio la conoscenza di un sapere occulto che si oppone a Dio e che pretende di fare dell'uomo qualcosa di più di quel che comporta il suo statuto ontologico di creatura, cioè quasi un rivale del suo Creatore. Sia che la volontà sia deviata quanto all'oggetto, sia che sia deviata quanto all'impulso, che serve la sfera appetitiva anziché la sfera razionale; sia, infine, che sia patologicamente debole e incapace di perseguire il proprio scopo per un difetto di forza e di perseveranza, la volontà malata costituisce una degenerazione della persona umana sviluppata e orientata in maniera sana e normale. E a quanti obiettano, in ossequio a uno dei sacri principi della cultura moderna, che il concetto di "normale" è illegittimo, perché tutto ciò che esiste, e quindi tutti i comportamenti umani, devono essere considerati normali fino a prova contraria, e comunque pienamente legittimi e meritevoli di essere accettati dalla società, rispondiamo con la sintetica e folgorante definizione di san Tommaso: si dice naturale ciò che è conforme all'inclinazione della natura. Per fare un esempio, come non è conforme alla natura che un cavallo desideri volare, o un pipistrello cerchi la luce, così non è normale che un essere umano cerchi la propria realizzazione in una vita simile a quella di un bruto, mirando solamente a soddisfare gl'istinti inferiori, e a ciò rivolga tutta la sua volontà: perché la volontà esiste per servire l'intelletto, e se l'intelletto non cerca quello che gli è proprio, ma quello che gli è dissimile, ciò vuol dire che l'ordine naturale è stato sovvertito in maniera grave.

 

 

 

E' felice e realizzata la natura umana allorché cerca e trova Dio, e si appaga nella conoscenza e nella contemplazione di Lui: tale è il suo naturale fine ultimo, che coincide con il bene spremo, ossia con la felicità!

 

 

 

La seconda riflessione che scaturisce dalla lettura di san Tommaso è che la volontà non vuole tutto ciò che vuole, perché a volte vuole delle cose che sono necessarie per giungere al fine, e non perché siano dei fini in se stesse, e quindi le vuole solo in quanto rappresentano dei passaggi necessari per giungere al fine vero. L'esempio della nave è molto chiaro: se uno vuole attraversare il mare, ha bisogno di una nave e quindi desidera avere una nave o procurarsi un passaggio a bordo di una nave; ma non desidera la nave per se stessa, non la desidera in quanto fine della propria volontà, ma solo in quanto mezzo per un fine ulteriore, quello vero. Qui però sorge il grosso problema della cultura moderna, che, essendo basata sull'idea di progresso illimitato, esalta tutto ciò che è fare, agire, possedere e consumare, e quindi si disperde in cento e cento direzioni, verso cento e cento fini, molti dei quali artificiali, oppure naturali, ma artificialmente ingigantiti e assolutizzati. Confuso e abbagliato da tutti questi stimoli, sottoposto a una pressione incessante, che lo spinge quasi come un forzato a non fermarsi mai, a non riflettere, a non chiedersi verso cosa stia andando, ma ad esaltarsi per il fatto di andare e di andare sempre più velocemente e sempre più confortevolmente (anche se su questo ci sarebbe molto da dire), l'uomo moderno sembra aver smarrito del tutto il senso dello scopo, della direzione, del fine, e quindi sembra in balia di una volontà impazzita, che invece di servirlo, lo obbliga a servirla, ad esempio disperdendo gran parte delle sue energie in un dinamismo fine a stesso, trascurando i suoi bisogni più veri e profondi. E ciò vale anche e soprattutto per il grande idolo della modernità, la Scienza, che sembra lanciata verso sempre nuovi traguardi, senza mai fermarsi a riflettere se ciò che sta facendo è buono e utile, ma si inebria all'idea di poter oltrepassare tutti i confini, ad esempio dando un figlio a una donna il cui uomo è morto da anni grazie alle tecniche di fecondazione artificiale. Ma dove ci condurrà mai, una scienza siffatta?

Del 30 Settembre 2021

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