Vaccinarsi

Stefano Fontana, in "La Nuova Bussola" – 2 Settembre 202

È incomprensibile il motivo per cui alcuni intellettuali cattolici considerino libertarismo irresponsabile la scelta di altri cattolici di non vaccinarsi. Eppure i cattolici critici della vaccinazione dicono ciò che da sempre la morale naturale e cattolica dice di fare. Il diritto di non vaccinarsi è fondato su un dovere verso la propria persona e di quanti sono sotto la nostra tutela.

 

 

Quando i cattolici contestano questa vaccinazione lo fanno solo in nome della libertà, che in questo caso sarebbe libertarismo anarcoide, e quindi indeboliscono la solidarietà, che ha comunque bisogno dell'autorità politica? Il dibattito su questa questione, iniziato qualche settimana fa e sul quale anche la Bussola era intervenuta (clicca qui) non si è  in seguito sopito. Altri intellettuali cattolici hanno espresso nel frattempo le loro posizioni, fornendo talora elementi nuovi per cui è meglio tornarci sopra.

 

Iniziamo con calma dalle affermazioni più semplici. La scelta di vaccinarsi o meno, se non caricata di altri significati ideologici, è un atto della intelligenza pratica realizzato attraverso la virtù della prudenza, dopo essersi debitamente informati e consigliati, prima di tutto con il proprio medico. Questo i cattolici critici della attuale vaccinazione dicono e non altro. Quello che dicono, quindi, è quello che da sempre la morale naturale (infatti lo direbbe anche Aristotele) e cattolica dice di fare. Come afferma la Veritaris splendor, la coscienza morale è "un atto dell'intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta da scegliere qui e ora" (n. 33).

 

Non riesco a capire perché un atto così naturale possa essere considerato una forma di individualismo anarcoide e di libertarismo irresponsabile. Quello a non vaccinarsi è un diritto, ma i cattolici che motivatamente lo scelgono, lo fanno per ossequio previo a un dovere. Quindi non è un atto anarcoide e libertario, perché il soggettivismo anarcoide e libertario fa una cosa solo perché vuole farla, e non per un ossequio intelligente e prudente al dovere. Il diritto comporta di avere qualcosa a disposizione. Il dovere invece comporta di essere a disposizione di qualcosa di indisponibile, appunto il dovere.

 

È per questo che per la morale naturale e cattolica il dovere precede il diritto, lo precede proprio perché lo libera dal suo individualismo anarcoide e lo sottopone ad un dovere indisponibile, che non dipende da noi. I doveri infatti non si scelgono, ma si accolgono. Torno a dire, per questo, che non riesco a comprendere perché una simile posizione circa la vaccinazione debba essere accusata di liberalismo sfrenato. Mi sembra proprio il contrario.

 

Chi decide – dopo aver fatto i passi convenienti e propri della deliberazione che San Tommaso illustra    - di non vaccinarsi e non vaccinare i propri figli esprime un diritto fondato però su un dovere, quello di rispettare il proprio corpo e quello delle persone minori di cui abbiamo la tutela. Noi abbiamo dei doveri nei confronti degli altri, ma non solo, ne abbiamo anche verso noi stessi. Occuparsi del proprio benessere fisico, evitare medicine dall'esito incerto, tutelare l'integrità del proprio corpo è sì un diritto ma perché prima di tutto è un dovere. La solidarietà verso gli altri è certamente un principio importante di comportamento etico, ma non esclude questa - chiamiamola così - solidarietà verso se stessi e non è corretto chiamare quest'ultima un atto di individualismo. Chi non sa nuotare e quindi non si getta in mare per salvare un naufrago non è un individualista.

 

Rispettare il dovere nei confronti di se stessi – come nel caso di chi evita la vaccinazione – non è un atto di individualismo anche perché, così facendo, si richiama tutti ad un principio morale indisponibile. Per esempio, chi non vuole vaccinarsi perché non è moralmente doveroso assumere farmaci sperimentali, non esprime solo una sua opinione individuale, ma evidenzia una norma universale. Egli infatti lo fa in ossequio ad un dovere, che ha sempre anche il carattere dell'universalità. Il suo atto è quindi personale ma non individualista, egli lo fa non per un suo capriccio ma per rispettare una legge valida per tutti. L'ossequio al dovere significa l'ossequio all'indisponibilità non solo per me e per una mia scelta irrazionale, ma per tutti gli uomini in quanto intelligenti.

 

Non si dà, allora, una separazione tra la scelta morale della persona nel rispetto di un dovere che essa ha nei propri confronti e la scelta morale che assume il criterio della solidarietà: le due cose sono un tutt'uno inseparabile. Anche a questo proposito non riesco a concordare con alcuni intervenuti nel dibattito a cui mi riferisco, che vedono nella scelta di non vaccinarsi una dissociazione tra individuo e società.

 

Il rifiuto di vaccinarsi – condotto secondo le modalità classiche viste sopra e non per atteggiamenti irrazionali o utilitaristi – è sì un atto personale, ma anche politico, come ormai accade in molti casi davanti ai dilemmi etici della nostra epoca. Chi lo fa è come se ricordasse al potere politico che anche per lui, per il potere, c'è qualcosa di indisponibile, qualcosa su cui esso non può mettere le mani e non tanto per rispettare i diritti individualistici dei cittadini, ma per rispettare i doveri dello stesso potere politico. È vero, come è stato scritto, che il potere politico preme perché ci si vaccini ma non si prende la responsabilità di certificare che la vaccinazione è sanitariamente utile, ma proprio questa irresponsabilità del potere è appunto messa in luce dall'atto personale e politico di non volersi vaccinare.

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