La Cina e la crisi figli
La Cina con la crisi demografica
Anna Bono
Dopo decenni di politiche di contenimento della crescita demografica la Cina è alle prese ormai da tempo con i problemi sociali ed economici causati dalla "politica del figlio unico" che dal 1979 al 2013 ha limitato a uno il numero di figli che ogni coppia aveva il diritto di procreare, con alcune eccezioni. Alla fine del 2013 il governo ha consentito alle coppie di avere due figli. Ma i cinesi in gran parte non ne hanno approfittato. Allarmato dai dati che confermano un costante calo delle nascite (nel 2020 sono nati solo 12 milioni di bambini, il 18 per cento in meno rispetto al 2019), lo scorso maggio l'Ufficio politico del Partito comunista ha spostato il limite a tre. Adesso l'agenzia di stampa ufficiale Xinhua riporta che il 17 agosto, durante l'Assemblea nazionale del popolo, è stato presentato un emendamento all'attuale legge che elimina le sanzioni a chi ha quattro o più figli e quindi in pratica annulla ogni limite al numero di figli. Tuttavia sembra improbabile che le famiglie, specie quelle di ceto medio e che vivono in contesti urbani, siano disposte ad assecondare il governo: stili e progetti di vita ormai radicati inducono comunque molte coppie a non desiderare una famiglia numerosa frenate dai costi elevati che allevare i figli comporta. Gli incentivi adottati finora da governi locali e città – contributi in denaro, congedi parentali e altri benefit – non sembrano sufficienti a far cambiare idea. Il governo si propone di aggiungerne altri: ridurre i costi dell'istruzione scolastica, aumentare i sussidi per la casa, garantire i diritti delle donne che lavorano, porre un freno alle doti esorbitanti. Pensa anche a corsi per educare i giovani "al matrimonio e all'amore". Un sondaggio i cui risultati sono stati pubblicati sulla pagina Weibo di Xinuha rivela che su 31.000 intervistati, 29.000 alla domanda "sei pronto per la politica dei tre figli" hanno risposto negativamente. Il sondaggio è stato poi rimosso dalla pagina Weibo
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