Domenica XXII
In questa domenica la liturgia ci propone un insegnamento sulla religione autentica, sul rapporto tra religione e osservanze, tra religione e cuore. La prima lettura è un testo del Deuteronomio in cui Mosè fa l'elogio della legge, delle dieci parole da Dio rivelate, anzi scritte sulla pietra e chiede di tentare e ritentare di metterle in pratica. La seconda lettura non parla della legge, ma della fiducia nella Parola di Dio: questa parola, seminata in noi, non soltanto deve essere udita ma obbedita cioè ascoltata; e la religione pura è una religione di amore, di attenzione e di aiuto alle persone bisognose. Nel Vangelo Gesù non parla di legge, ma della relatività delle osservanze, delle tradizioni in rapporto alla fiducia in Lui con la fedeltà operosa all'amore di Dio delle prime tre parole dei comandamenti, all'amore del prossimo con la fedeltà alle altre sette parole. Per i Farisei ci si giustifica con la fedeltà a tutta la Legge (Comandamenti, Circoncisione, Cibi puri e impuri, il Sabato), per Gesù e quindi per i cattolici con la fiducia in Lui e l'operosità amorosa nei comandamenti dell'amore a Dio e al prossimo, per l'interpretazione luterana con la sola fiducia in Cristo relativizzando i comandamenti, per l'interpretazione moderna soggettivistica con la scelta globale dell'io verso di Lui.
Nella prima lettura ciò che si deve innanzitutto notare è che la Legge cioè le dieci parole sono un dono perenne di Dio. Per amore del suo popolo Dio gli ha dato, addirittura scritto su pietra una legge, che gli permette di trovare nell'intimo il suo autentico cammino di vita e di raggiungere già la felicità in tutte le tribolazioni. Le parole di Dio sono in primo luogo un dono, perché ci mettono in relazione con lui. Giacomo ci dice che la parola di Dio è anche sorgente di vita: "Dio ci ha generati con una parola di verità" (Gc 1,18).
Perciò dobbiamo cogliere la legge, i comandamenti di Dio con gratitudine e metterli in pratica. Nell'Antico Testamento si insiste molto sulla necessità di adempiere la legge per essere giustificati. Se non si tenta e ritenta di metterla in pratica, non si è giustificati davanti a Dio. Similmente Gesù, Parola fatta carne, nel Vangelo ci dice che chi ascolta la sua Parola ma non la mette in pratica, non tenta e ritenta, è come uno che costruisce la sua casa nella sabbia.
Noi siamo invitati a fare un esame di coscienza per vedere come accogliamo la parola di Dio. Ogni domenica nella Messa l'ascoltiamo cioè l'udiamo con la disponibilità ad obbedire. Ma spesso l'ascoltiamo in modo distratto, superficiale, essa non ci servirà molto per la nostra vita. La nostra vita allora non andrà nella direzione giusta, non ci metterà in relazione profonda, amorosa con Dio, e anche di conseguenza le nostre relazioni con il prossimo saranno falsate. Con i mezzi comunicazione sociale secolarizzati diventa una urgenza storica non sostituibile.
La Legge di Dio è la sua Parola che guida l'uomo nel cammino della vita, lo fa uscire dalla schiavitù dell'egoismo e lo introduce nella "terra" della vera libertà, della possibilità di amare e quindi di essere felice in tutte le tribolazioni, perfino nella morte. Senza l'ascolto, l'adorazione di Dio che parla prende il posto il potere e la schiavitù nei rapporti umani. Per questo nella Bibbia la Legge cioè Dio che parla non è vista come un peso, una limitazione opprimente, ma come il dono più prezioso del Signore, la testimonianza del suo amore paterno, della sua volontà di stare vicino al suo popolo, di essere l'Alleato di ognuno e scrivere con esso una Storia di amore com'è l'Alleanza. Quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la continua Parola del Signore: ma nei beni, nel potere, nel piacere sessuale, in altre 'divinità' che in realtà, pur immediatamente attraenti, sono vane, sono idoli, falsità. Certo, la Legge di Dio rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola della vita personale e sociale; diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali, di potere e di gruppo. E così la religione smarrisce il suo senso autentico che è vivere in ascolto di Dio per mettere al primo posto la Sua volontà – che è la verità del nostro essere potenza-ente – e così vivere bene, nella vera libertà che rende possibile amare, essere amati e quindi già felici, altrimenti ci si riduce a pratica si usanze secondarie, che soddisfano piuttosto il bisogno umano di sentirsi a posto con Dio. Ed è questo un grave rischio di ogni religione, che Gesù ha riscontrato nel suo tempo, ma che si può verificare, purtroppo, anche nella cristianità. Perciò le parole di Gesù contro gli scribi e i farisei, culturalmente egemoni al suo tempo, devono far pensare anche noi. Gesù fa proprie le parole di Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegando dottrine che sono precetti di uomini" (Mc 7,6; Is 29,13). E poi conclude: "Trascurando il comandamento di Dio cioè le dieci parole, i comandamenti, voi osservate, assolutizzate la tradizione degli uomini" (Mc 7,8).
Nell'Antico Testamento spesso Dio ha dovuto constatare che il suo popolo, pur fedele al culto, non aveva un cuore buono, ma un cuore doppio, incline al male o all'indifferenza. Nel Sal 51il peccatore chiede a Dio: "Crea in me, o Dio, un cuore puro" (v. 12). Abbiamo un grande bisogno che Dio crei continuamente in noi un cuore puro, capace di compiere soltanto azioni veramente buone, generose, azioni conformi alla giustizia, alla carità e alla misericordia. Se non abbiamo un cuore buono, non possiamo vivere una vita buona.
Gesù offre al nostro libero-arbitrio il suo cuore. Ha voluto che esso fosse trafitto per poterci comunicare tutti i tesori divinamente umani contenuti in esso, per creare in noi, nell'attualizzazione sacramentale dell'Eucaristia, un cuore nuovo come aveva promesso Dio per bocca del profeta Ezechiele: "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez 36,26). Siccome la particola che riceviamo nella Comunione dura dentro di noi un quarto d'ora, rendendoci tabernacoli viventi, perché non sostare, parlare con Lui, ascoltare un vero amico.
Dobbiamo desiderare, per essere felici anche nelle tribolazioni e perfino nella morte, di ricevere sempre meglio il cuore nuovo che Dio ha preparato nel mistero pasquale di Cristo nell'Eucaristia; di ricevere lo spirito nuovo, che è lo Spirito stesso dell'Amante, il Padre, verso l'Amato, il Figlio, lo spirito di amore, che il Signore ci comunica attraverso i sacramenti, eucaristia e confessione in particolare.
Quanto è urgente in questa globalità secolarizzata vivere non una religione superficiale, fatta di osservanze esterne, ma una religione personalmente veramente profonda. Anche la nostra partecipazione alla Messa nel rito antico, se possibile, o nel nuovo rito deve essere per noi una realtà che ci coinvolge completamente, una realtà che cambia il nostro cuore in famiglia, in parrocchia e nella società, mettendo in noi lo stesso cuore di Cristo e rendendoci capaci di vivere secondo il cuore della Regina dell'amore.
Chiediamo al Signore di farci esperimentare questa religione, questa fede profonda con tutta l'operosità dei comandamenti nell'amore verso Dio, i primi tre, e verso il prossimo, gli altri sette. È questo il fondamento perenne della morale, della giustificazione cattolica.
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