In cambio alla gioia che Gli era sottoposta innanzi, si sottopose alla Croce
Un religioso domenicano, "La Nuova Bussola" – 4 Aprile 2021
San Tommaso d'Aquino dice che nessun pagano può avere la virtù della pazienza. Un pagano può esser disposto a soffrire per qualche bene terreno, come quando si va in guerra per proteggere la famiglia o la patria. Ciò è in potere della natura umana. Ma non è in potere della natura umana, dopo il peccato originale, essere disposti a soffrire la perdita di tutto piuttosto che abbandonare la Volontà di Dio. Ecco perché la virtù della pazienza non può essere posseduta da un pagano, ma solo da chi vive in grazia di Dio.
Poiché Nostro Signore Gesù Cristo è il grande maestro di tutte le virtù, è anche il maestro della virtù della pazienza. Nessuno ha mai sofferto più di quanto abbia sofferto Lui nella Sua Passione. Ciò è vero anzitutto per le Sue sofferenze fisiche. Il Suo sacro Corpo era stato formato direttamente per opera dello Spirito Santo. Il che significa che era perfetto, e dunque perfettamente sensibile: una stessa ferita causava a Cristo un dolore fisico maggiore che a qualunque altra persona. E noi sappiamo quanto numerose e terribili siano state le ferite inflitte sul Suo Corpo nel Venerdì Santo. Lo stesso vale per le Sue sofferenze spirituali. Il Suo intelletto umano era più penetrante di qualunque altro intelletto umano ed era illuminato dalla luce della visione beatifica. Di conseguenza Egli comprendeva incomparabilmente meglio di chiunque altro la perversità del peccato. La Sua volontà umana era più santa di qualunque altra, essendo santificata dall'unione in una Persona della Sua natura umana col Verbo. Perciò la visione dei peccati dell'uomo lo faceva soffrire più di quanto avrebbe fatto soffrire qualunque altra persona. Più ancora, era Volontà del Padre, ed anche Sua propria, che – durante la Sua Passione – Egli contemplasse tutti i peccati degli uomini, poiché Egli voleva soddisfare per tutti e per ciascuno di essi.
Infine, Gesù sapeva che per una certa parte dell'umanità le Sue sofferenze e la Sua morte non avrebbero di fatto giovato alla salvezza. Questi uomini avrebbero rifiutato i richiami della Sua grazia fino alla fine, e avrebbero scelto le tenebre. Questa conoscenza deve essere stata per Nostro Signore una sofferenza spirituale estremamente dolorosa.
Alcuni autori, come la venerabile Maria d'Agreda, dicono che fu per questa conoscenza, della riprovazione finale delle anime che Egli aveva amato fino a morire per loro, che fece dire a Cristo nel Getsemani: Padre Mio, se possibile, passi da Me questo calice. Cristo accettò tutte queste sofferenze, che noi comprendiamo solo in modo molto inadeguato, piuttosto che abbandonare la Volontà del Padre Suo. Egli ci ha dato così il modello supremo della pazienza, che è essa stessa una parte della virtù del coraggio. Gli Apostoli ci hanno messo davanti questo esempio nelle loro lettere ispirate. San Pietro dice: Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme. San Paolo prega per i suoi convertiti con parole che la Chiesa ha incorporato nella sua liturgia: Il Signore diriga i vostri cuori nell'amore di Dio e nella pazienza di Cristo. Eppure, lo stesso apostolo Paolo, nella sua lettera agli Ebrei, menziona un altro motivo che ispirò Nostro Signore durante la Sua Passione e durante tutta la Sua vita. Dice che Nostro Signore, In cambio della gioia che Gli era posta innanzi, si sottopose alla Croce. Durante la Sua Passione, il nostro Salvatore attendeva la gioia che avrebbe avuto nella Resurrezione e nell'Ascensione. Non che questo motivo, la gioia che l'attendeva, fosse stato un motivo separato dal Suo desiderio di fare la Volontà del Padre. Nostro Signore attendeva questa gioia perché essa sarebbe stata, per così dire, la conseguenza naturale dell'aver Egli fatto la Volontà del Padre Suo. In questo modo, In cambio della gioia che Gli era posta innanzi, si sottopose alla Croce.
E la Resurrezione fu una gioia grandissima per Cristo stesso. Dal momento della Sua concezione nel grembo della beata Vergine, Egli ebbe sempre la visione beatifica benché, durante la Sua vita terrena, la gioia che naturalmente discende da questa visione era stata in qualche modo limitata alla parte più alta della Sua Anima. Come vediamo nel Vangelo, durante la vita terrena di Cristo, e a causa di una divina disposizione per amor nostro, la visione beatifica coesisteva nella Sua Anima umana con alcuni sentimenti che appartengono alla vita del nostro mondo decaduto, ma non al Paradiso, come il timore o l'ira. Ora, nella Sua vita da risorto, ciò è cambiato. Il salmista dice, parlando a Dio, dolcezza senza fine alla Tua destra (Sal 15). Ciò è vero di tutti i Beati, ma soprattutto di Nostro Signore, che, come uomo, ha in Cielo il posto più alto. (Un religioso domenicano)
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