Trump Biden
Luca della Torre, da "Corrispondenza Romana" 17 Febbraio 2021
Nelle relazioni e nel diritto internazionali due sono le regole auree a cui attenersi: realismo e razionalità. Qualunque studente universitario che si cimenti in queste materie impara immediatamente come ogni diplomazia che si rispetti non deve "persuadere", "convincere", "illudere" il competitor o l'enemy, l'avversario o il nemico politico, ma deve produrre fatti, realizzare obiettivi concreti per il bene dell'interesse del proprio Paese. E deve farlo attraverso una capacità di lettura realistica dei fatti, senza le lenti deformanti della ideologia, e attraverso la capacità di dare risposte razionali, realizzabili e pragmatiche alle sfide politiche, senza cedere all'umoralità delle emozioni e passioni ideologiche. Così è sempre stato, in tempi di realpolitik, in tempi di globalizzazione come di multilateralismo.
Viviamo tempi cupi e disorientanti, aggravati dalla funesta pandemia da Covid: la vulgata massmediatica che tempesta l'opinione pubblica è oramai pressoché piegata alle ragioni della dis-informazione, della de-formazione della notizia e dei fatti, guidata da pregiudiziali ideologiche e peggio ancora da un nihilismo etico-morale che confonde il fatto storico politico con l'opinione, che strumentalizza il fatto storico politico con preconcetti da tavolino. È emblematico il caso che in questa ultima settimana è al centro delle riflessioni delle Cancellerie europee: la inaspettata – non certo per Corrispondenza Romana, su cui avevamo già anticipato il tema – prova di forza muscolare con cui il neo-eletto Presidente Joe Biden ha preso di petto il regime totalitario comunista cinese e l'autocrazia nazionalista russa del Presidente Putin, i principali global players nella politica estera del pianeta.
All'atto dell'insediamento di Biden la vulgata dei massmedia europei, in Italia in particolare, si spellò le mani in una apologetica quanto irrazionale esaltazione di un presunto futuro di ecumenici, buonisti, pacifici rapporti politici internazionali all'insegna del liberalismo progressista di sinistra, incarnato nei falsi miti delle Presidenze Kennedy e Obama, ripresi dal "cattolico adulto" Joe Biden. In realtà Biden non solo non ha modificato le principali politics e policies dell'agenda estera del vituperato Presidente Trump – che naturalmente è stato prosciolto dalla grave accusa di Impeachement dal Parlamento USA – ma ha addirittura alzato la posta, prendendo posizioni più minacciose nei confronti dei due regimi che attentano al primato nazionale USA nel mondo. Nei giorni scorsi il Presidente Biden si è espresso testualmente in questi termini alla rete CBS sulle principali aree di crisi politico militare del pianeta ed in particolare sui rapporti con Cina e Iran: «In XiJinping (il Presidente del criminale regime comunista di Pechino) non c'è un briciolo di democrazia nel suo corpo, e ci sarà una concorrenza estrema».
In relazione ai rapporti con l'altro rogue State islamico, lo Stato-canaglia iraniano, vittima della dittatura teocratica degli Ayatollah da oltre trent'anni, Biden ha espressamente affermato che «gli Usa non revocheranno le sanzioni all'Iran se prima Teheran non fermerà l'arricchimento dell'uranio oltre i livelli consentiti dagli accordi pregressi», per impedire al violento regime di Teheran di realizzate l'arma nucleare con cui mettere a ferro e fuoco il Medio Oriente. Sulla questione di Hong Kong, la regione autonoma della Cina comunista, a cui Pechino ha tolto lo status privilegiato della Rule of Law britannica, Joe Biden ha condannato il regime cinese ed ha avviato un accordo diplomatico, proseguendo nell'agenda di Trump nella definizione del Quad, l'alleanza militare del Far East e dell'Oceania che riunisce India e Giappone, Australia e Nuova Zelanda.
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Gli Stati Uniti hanno infine dispiegato per la prima volta i micidiali bombardieri nucleari B-1 in Norvegia, lanciando un messaggio chiaro alla Russia: sono pronti a difendere gli alleati contro qualsiasi aggressione del Cremlino in una regione, quella artica, strategicamente importante; la Russia, al confine con i Paesi NATO, dopo aver messo in ginocchio l'Ucraina strappandole de facto la Crimea, dopo aver annichilito le velleità armene – Paese filooccidentale – nel Nagorno Karabak, dopo aver confermato il sostegno all'ultima dittatura veteromarxista in Europa, la Bielorussia, sta attentando agli spazi aerei dei Paesi baltici, Estonia, Lettonia, Lituania, membri della UE e della NATO. Ha riferito la Cnn, entro le prossime settimane, inizieranno le missioni nel Circolo Artico e nello spazio internazionale a Nord-Ovest della Russia.
Una strategia che ricorda quella di Henry Kissinger, che guidò per vent'anni la politica estera di Washington utilizzando le armi della deterrenza e del dialogo, il bastone e la carota. La strategia di politica estera del democrat Biden si pone dunque nel solco tradizionale della politica estera USA, sia essa repubblicana o democratica, che privilegia sempre e comunque il primato dell'interesse nazionale.
Ciò perché i due pilastri della politica estera USA – sia essa incarnata nella dottrina Monroe, conservatrice ed isolazionista, sia essa tradotta nell'interventismo democratico, da Wilson a Roosvelt, a Kennedy – sono sempre e comunque il primato dell'interesse del bene nazionale, che si traduce nel principio di identità nazionale (Chi siamo? Noi, il popolo degli Stati Uniti) e del principio di sovranità (Cosa vogliamo? Noi, il popolo degli Stati Uniti abbiamo la piena sovranità del nostro destino politico e decidiamo di conseguenza).
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Tutto il contrario della drammatica decadente strategia politica internazionale dell'Europa, figlia della tragica illusione illuminista della democrazia universale, che ha fatto piazza pulita dei principi di identità culturale, storica, religiosa, etnica e del principio di sovranità nazionale in quanto potenziali ostacoli alla realizzazione della utopica, o meglio, distopica globalizzazione dei valori e principi di ogni società politica organizzata.
Il modello politico UE non è, a dispetto della pochezza culturale delle analisi degli intellettuali, politici e giornalisti liberal, di sinistra, e pure dei cattolici "delle periferie esistenziali", un porto di approdo sicuro dei Paesi membri, ma il loro inesorabile declino: ciò perché abbiamo dimenticato la primazia del principio di identità culturale e di sovranità politica come presidio di libertà e bene comune nella creazione di una serie di trattati internazionali che scimmiottano un'unità federale inesistente.
I risultati sono impietosi: la UE è un vero e proprio vaso di coccio tra vasi di ferro: tre diplomatici espulsi, il disconoscimento della autorità diplomatica internazionale della UE gettata in faccia all'Alto Rappresentante Borrell dal Ministro degli Esteri Sergeij Lavrov che dice chiaro e tondo all'Europa che la Russia non riconosce la UE come organizzazione politica sovranazionale, ma continua a perseguire i propri rapporti politici con i singoli Stati membri; l'Ue che manda un cattivo segnale al mondo sui due pilastri ONU della libertà e democrazia piegandosi a Pechino con intese commerciali e di investimenti proprio mentre la Cina dichiara espressamente che per la propria cultura politica libertà e democrazia non sono priorità, anzi, non fanno parte del proprio vissuto storico valoriale.
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