Nel centesimo del Partito Comunista italiano
Roberto de Mattei in "Corrispondenza Romana" 26 Gennaio 2021
Il Partito Comunista d'Italia nacque a Livorno il 21 gennaio 1921, da una scissione del Partito Socialista. I suoi principali fondatori furono Antonio Gramsci (1891-1937), Palmiro Togliatti (1893-1964) e Amedeo Bordiga (1889-1970), poi espulso e sottoposto a damnatio memoriae, secondo la dialettica interna tipica di ogni partito comunista. Nel 1917, il partito bolscevico aveva conquistato il potere in Russia, sotto la guida di Vladimir Lenin e Lev Trotzski. Il PCI fu la sezione italiana del Komintern, l'organizzazione internazionale fondata a Mosca nel 1919, con lo scopo di diffondere la rivoluzione comunista nel mondo.
Nella storia del comunismo, la Rivoluzione russa è un evento più importante della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista con cui Karl Marx e Friederich Engels, nel febbraio del 1848, lanciavano un appello ai proletari di tutto il mondo per abbattere la borghesia e realizzare la "società senza classi".
Il Manifesto dei comunisti fu commissionato a Marx e ad Engels dalla Lega dei Giusti, una società segreta rivoluzionaria che costituiva una filiazione dei Sublimi Maestri Perfetti di Filippo Buonarroti e degli Illuminati di Baviera di Adam Weishaupt. Tra i diretti precursori del comunismo, Engels annovera gli anabattisti, i "livellers" della Rivoluzione inglese, gli illuministi del secolo XVIII, e i giacobini (L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Editori Riuniti, Roma 1958, pp. 15-17). Marx ed Engels raccoglievano l'eredità di queste sette, ma per raggiungere il loro fine, annunciavano un nuovo metodo di azione, il "socialismo scientifico". Nella "undicesima tesi" del suo commento alla filosofia di Feuerbach, Marx sostiene che il compito dei filosofi non è di interpretare il mondo, ma di "trasformarlo" (Materialismo dialettico e materialismo storico, La Scuola, Brescia 1962, pp. 81-86). Questa affermazione sembrò realizzarsi nel 1917, a Mosca, dove, per prima volta nella storia, il comunismo prese il potere e iniziò a diffondersi nel mondo. A Lenin, morto nel 1924, successe Stalin, eliminando la dissidenza di Trotzski che lo accusava di "tradire" la Rivoluzione. In Italia, mentre Gramsci, imprigionato dal fascismo, elaborava, nei Quaderni dal carcere, la sua "filosofia della prassi", Palmiro Togliatti, il più fedele tra gli stalinisti, guidò il Partito Comunista nella clandestinità e poi nel dopoguerra. Con l'aiuto, anche finanziario, dell'Unione Sovietica, il Partito Comunista divenne il secondo partito italiano dopo la Democrazia Cristiana.
Secondo Gramsci, il successo dei comunisti non era possibile in Italia senza la collaborazione con i cattolici. Il tradimento dei "cattolici democratici" era necessario non tanto per conquistare il potere, quanto per conservarlo. «Il cattolicesimo democratico fà ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida (…). I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin» (I popolari, in L'ordine nuovo, 1 novembre 1919). Togliatti applicò la lezione di Gramsci, soprattutto quando l'elezione di Giovanni XIII e il Concilio Vaticano II, da lui aperto l'11 ottobre 1962, aprì un'insperata finestra di opportunità.
Il 7 marzo 1963 Giovanni XXIII ricevette in Vaticano Alexis Adjubei, genero di Krusciov e direttore dell'agenzia Izvestija. Pochi giorni dopo Togliatti, in piena campagna elettorale, propose ufficialmente una collaborazione tra cattolici e comunisti (Rinascita, 30 marzo 1963). Nelle elezioni del 29 aprile, il PCI aumentò di un milione di voti, provenienti soprattutto da ambienti cattolici. Togliatti morì a Yalta, nel 1964, mentre la Democrazia Cristiana, con la benedizione del nuovo Pontefice, Paolo VI, formava i primi governi di "centro-sinistra". Il Concilio Vaticano II si chiuse l'8 dicembre 1965 senza aver pronunciato una sola parola sul comunismo, sebbene quasi 500 Padri conciliari ne avessero chiesto un'ufficiale condanna. Nel 1973, dopo l'ascesa e la caduta del governo socialcomunista di Salvador Allende, in Cile, il nuovo segretario del PCI Enrico Berlinguer (1922-1984) pubblicò sulla rivista del partito Rinascita, una serie di Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile, in cui avanzava la proposta di un "compromesso storico" che portasse i comunisti al governo in maniera indolore, con l'appoggio della Democrazia Cristiana. L'interlocutore privilegiato di Berlinguer era Aldo Moro, che godeva della piena fiducia di Paolo VI e che iniziò a tessere la trama di un governo con i comunisti.
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Gli anni fra il 1974 e il 1976 furono quelli del maggior successo elettorale del PCI, che nelle elezioni del 21 giugno 1976, raggiunse il 34,4% dei voti espressi. Nel 1978, tuttavia, la morte tragica di Aldo Moro, a cui seguì, pochi mesi dopo quella di Paolo VI, rallentò la realizzazione del compromesso storico, mentre in Unione Sovietica, colpita da una colossale crisi economica, nasceva la perestrojika di Mikail Gorbaciov. Nel 1989 crollò il Muro di Berlino e l'Unione Sovietica iniziò la sua auto-dissoluzione. «La decomposizione dell'Unione Sovietica e di conseguenza del suo impero per il modo in cui è avvenuta resta misteriosa» scrive François Furet nel suo studio su Il passato di un'illusione (Mondadori, Milano 1995, p. 354). Senza spargimenti di sangue, tra il 1989 e il 1991, la nomenklatura sovietica sciolse la vecchia azienda e si mise alla testa della nuova. Il comunismo si liberò del suo apparato burocratico, in Russia e nel mondo, lasciando che l'idea comunista potesse esprimersi in nuove forme e modalità di azione.
Il 3 febbraio 1991, anche il Partito Comunista Italiano deliberò il proprio scioglimento promuovendo la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS). Il 14 febbraio 1998 il PDS, al termine degli Stati Generali della Sinistra, cambiò ulteriormente nome in Democratici di Sinistra (DS), una compagine che fu a sua volta soggetto fondatore dell'Ulivo, sorto per iniziativa di Romano Prodi, che finalmente, nel 1996 portò i comunisti al governo in Italia. L'Ulivo confluì poi nel Partito Democratico (PD), fondato nel 2007 e oggi al governo. La radice ideologica di questi gruppi e partiti che si sono avvicendati negli ultimi trent'anni è quella marx-leninista, raffinata dall'insegnamento di Antonio Gramsci e dalla prassi catto-comunista di Enrico Berlinguer, che gode ancora grande popolarità anche tra coloro che dovrebbero esserne gli avversari. Eugenio Scalfari, celebrando i 35 anni della sua morte, ha affermato che «Enrico Berlinguer ha avuto nella politica italiana (e non soltanto) un ruolo in qualche modo simile a quello che sta avendo oggi papa Francesco nella religione cattolica (e non soltanto). Tutti e due hanno seguito un percorso di riformismo talmente radicale da produrre effetti rivoluzionari; tutti e due sono stati amati e rispettati anche dai loro avversari; tutti e due hanno avuto un carisma che coglieva la realtà e alimentava un sogno» (La Repubblica, 9 giugno 2019). Per papa Francesco, come per Berlinguer, la prassi conta più della dottrina, l'azione più del pensiero, il risultato più dei mezzi per raggiungerlo. In un saggio su Lenin e il nostro partito, apparso nel maggio 1960 su Rinascita, Palmiro Togliatti, riassumeva in una citazione di Marx ed Engels, l'essenza del marx-leninismo: «La nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l'azione».
Il comunismo non è teoria, è prassi rivoluzionaria, e la Rivoluzione non crea, ma distrugge. Ciò che conta è abbattere il nemico, che resta quello di sempre: la famiglia, la proprietà privata, lo Stato e la Chiesa. Ogni metamorfosi, ogni alleanza, è lecita. Tutti coloro che collaborano a quest'impresa sono i benvenuti, qualsiasi mezzo si utilizzi per raggiungere il fine. Le ricerche genealogiche sul PCI, ci aiutano a comprendere la continuità che ancora oggi esiste tra gli antenati e gli eredi
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