Leopardi, Anno nuovo,Patria, Unione Europea
Quest'anno più che mai la fine del nefasto 2020 induce a sperare un un 2021 migliore, perché peggiore è difficile. Viene in mente il dialogo leopardiano fra un venditore di almanacchi e un viandante.
Antonio Socci "Libero" 21 Dicembre2020
Il dialogo, scritto nel 1832, fa parte delle "Operette morali" e inizia così:
"Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere: Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore: Sì signore.
Passeggere: Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore: Oh illustrissimo sì, certo".
Nel dialogo il passeggere-filosofo porta il venditore, un popolano semplice, a riconoscere che in effetti non ricorda un anno felice, tuttavia egli spera che lo sia quello che sta arrivando, anzi ne è certo.
Leopardi rappresenta l'uomo come una povera creatura ferita dalla vita, ma sempre in attesa di qualcosa che debba accadere e che finalmente gli porti la felicità. Questa attesa – si direbbe – fa parte della sua natura, è una speranza che nessuna delusione della vita riesce a spazzar via.
Se però volessimo "aggiornare" quel dialogo ad oggi, fine dicembre 2020, potremmo dire che il venditore di almanacchi ha un argomento in più. Infatti, nel dialogo leopardiano, il passeggere chiede: "Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?"
Il venditore risponde di no, avendo presente le difficoltà che ha attraversato. Ma si può immaginare che ogni italiano risponderebbe oggi che qualunque anno precedente è stato migliore del 2020. E più si va indietro nel tempo (magari agli anni '90 o agli anni '80) più si trovano anni buoni.
La sensazione, pensando al 2020, ma anche agli anni che lo hanno preceduto dalla crisi del 2007-2008, è questa: prima del 2000 non lo sapevamo, ma eravamo (più) felici (di oggi).
Il nostro benessere e la situazione del Paese (statistiche alla mano) erano assai migliori. Eravamo più forti, economicamente (quarta potenza industriale del mondo) e politicamente, più rispettati, più importanti e il clima sociale era più sereno e felice. Non eravamo un Paese alla deriva come oggi.
Confrontati con quelli arrivati dopo (e specialmente con il 2020 della pandemia) quei lontani anni '80 e '90 ci appaiono oggi meravigliosi. E vorremmo tornarci!
Dunque si potrebbe aggiornare il dialogo leopardiano.
Il venditore di almanacchi nel dicembre 2020 direbbe: "In verità, illustrissimo, ne ricordo tanti di anni a cui vorrei tornare. E vorrei che il 2021 somigliasse a uno di quelli. Le cose andavano molto meglio allora. Poi ci dissero che era tutto sbagliato e che bisognava modernizzarci e diventare europei. Questa Europa unita ci fu presentata come la terra promessa. Ma da allora ci siamo impoveriti tutti e oggi stiamo peggio. E' stato un bene rinunciare ad avere una patria nostra e diventare europei per perdere indipendenza e benessere?"
Il viaggiatore-filosofo risponderebbe con le parole di Leopardi: "La patria moderna dev'essere abbastanza grande, ma non tanto che la comunione d'interessi non vi si possa trovare, come chi ci volesse dare per patria l'Europa. La propria nazione, coi suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci conviene. E conchiudo che senza amor nazionale non si dà virtù grande".
E qui il venditore di almanacchi avrebbe buon gioco a far presente che di "amor nazionale" non ne vede, che siamo subalterni a potenze straniere(quasi come nell'Ottocento leopardiano) e da anni si sente ripetere che gli italiani devono essere comandati dalla cosiddetta Europa.
"Lei – chiederebbe il venditore di almanacchi – vede questo dignitoso patriottismo in giro, specie nei palazzi del potere? Come le appare l'Italia di oggi?"
Leopardi potrebbe citare i suoi versi dedicati all'Italia del suo tempo:
"O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo. […]
Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio, Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia".
E cosa servirebbe, domanderebbe il venditore, per risollevarsi, per un nuovo Risorgimento?
"Il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo"risponderebbe il viaggiatore-Leopardi "è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore… Un uomo senza amor proprio è impossibile che sia giusto".
Il venditore di almanacchi obietterebbe che da noi dilaga un certo vezzo anti italiano e l'ammirazione smodata e acritica per tutto ciò che è straniero, che è "l'Europa".
"Lodo che si distornino gl'italiani dal cieco amore e imitazione delle cose straniere" risponderebbe il viaggiatore-Leopardi "e molto più che si richiamino e s'invitino a servirsi e a considerare le proprie; lodo che si procuri ridestare in loro quello spirito nazionale senza cui non v'è stata mai grandezza a questo mondo, non solo grandezza nazionale, ma appena grandezza individuale".
Il venditore di almanacchi potrebbe temere che il suo interlocutore venisse attaccato come pericoloso "sovranista", "nazionalista" o xenofobo.
Ma Leopardi risponderebbe: "O Italiani, io non temerò mai scrivendo il vero e scrivendo come potrò per voi, né l'odio di chicchessia né il potere o la fama di chicchessia".
Il viaggiatore infine comprerebbe l'almanacco (anche per sostenere l'economia nazionale), ma il venditore, affascinato da quel viandante-filosofo, chiederebbe un messaggio da trasmettere agli italiani con il prossimo almanacco.
E sarebbe questo, anch'esso autenticamente leopardiano: "Sovvenite alla madre vostra ricordandovi degli antenati e guardando ai futuri, dai quali non avrete amore né lode se trascurando avrete si può dire uccisa la vostra patria".
Antonio Socci
Da "Libero", 20 dicembre 2020
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