Cina-Santa Sede litigano per auguri

Nell'anticipazione del libro in uscita, papa Francesco cita gli Uiguri (islamici) come popolo perseguitato in Cina, prendendosi la secca replica del governo cinese che nega ogni addebito. Ma il vero problema è che le difficoltà e le persecuzioni della Chiesa cinese vengono ignorate, mentre viene ordinato un nuovo vescovo obbediente al governo

Riccardo Cascioli in "La Nuova Bussola" 25 Novembre 2020

Il Papa pensa ai «poveri Uiguri», la Cina replica piccata negando la persecuzione degli Uiguri, viva il Papa che difende i diritti umani. In estrema sintesi è questa la sequenza delle reazioni dopo che sono uscite alcune anticipazioni dell'ennesimo libro-intervista a papa Francesco, che sarà in libreria il 1° dicembre. "Ritorniamo a sognare" è il titolo, a intervistarlo è uno dei giornalisti di corte, il britannico Austin Invereigh. La polemica nasce perché il Papa parlando delle periferie e dei margini della società, afferma: «Io penso spesso ai popoli perseguitati: i Rohingya, i poveri Uiguri, gli Yazidi – quello che l'Isis ha fatto loro è stato veramente crudele – o i cristiani in Egitto e in Pakistan uccisi dalle bombe mentre erano a pregare in chiesa».


Tanto è bastato al governo cinese per saltare in piedi; così ieri il portavoce del ministro degli Esteri, Zhao Lijian, ha immediatamente replicato sostenendo che le accuse del Papa «non trovano riscontro nei fatti». Anzi, in Cina «popoli di tutti i gruppi etnici godono i pieni diritti di esistenza, sviluppo e libertà di credo religioso».


La cosa è stata ovviamente rilanciata dai media un po' in tutto il mondo: anzitutto perché papa Francesco è la prima volta che accenna non solo agli uiguri ma più in generale a qualcosa che non va all'interno della Cina (anche se il nome Cina non è stato pronunciato); inoltre il botta e risposta avviene in un periodo delicato nei rapporti tra Cina e Santa Sede, visto che è stato appena rinnovato l'accordo segreto sulla nomina dei vescovi cattolici.


C'è ovviamente chi ha notato il ritardo con cui papa Francesco ha sollevato il tema degli uiguri, popolazione musulmana che vive nella provincia cinese del Xinjiang e di cui circa un milione si stima siano nei campi di lavoro e di rieducazione. E c'è anche chi ha notato che è stato ignorato ancora una volta il Tibet, la regione che la Cina maoista ha occupato nel 1950. Se poi è per questo si potrebbero aggiungere altri gruppi perseguitati, come il Falun Gong.


Ma in queste critiche c'è evidentemente un'attesa e un modo distorto di guardare al Papa come se egli fosse il Consiglio dei diritti umani dell'ONU. Il vero problema casomai è che ignora totalmente che in Cina sono perseguitati i cristiani, cattolici in testa. Il Papa è anzitutto il pastore dei cattolici e possiamo pensare allo stato d'animo dei cattolici cinesi, che soffrono la clandestinità e la persecuzione, vedere che il loro "padre" si preoccupa dei musulmani e dimentica i propri figli. Come giudicheremmo un padre che, precipitatosi sul luogo dell'incidente, si disinteressasse di suo figlio e si preoccupasse anzitutto delle condizioni di altri compagni di scuola?


Oltretutto l'uscita delle anticipazioni del libro-intervista del Papa avviene – per quanto riguarda la questione cinese - in un momento infelice, visto che quasi contemporaneamente è arrivata notizia dell'ordinazione episcopale in Cina di monsignor Tommaso Chen Tianhao, per la diocesi di Qingdao, nella provincia dello Shandong. Secondo la dichiarazione ufficiale della Sala Stampa vaticana si tratta del «terzo Vescovo nominato e ordinato nel quadro normativo dell'Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi». In realtà si dovrebbe dire che è il primo, visto che l'ordinazione dei precedenti due – come abbiamo già spiegato altre volte - era stata già decisa ben prima dell'accordo.


Ma a parte questo dettaglio, il profilo del nuovo vescovo rafforza la convinzione che l'accordo tra Cina e Santa Sede sia in realtà la svendita dei cattolici al regime comunista cinese. Come infatti nota l'agenzia AsiaNews, «il nuovo vescovo è conosciuto come un ligio funzionario dello Stato per quanto riguarda la politica religiosa». E ancora: «è stato presidente dell'Associazione patriottica di Qingdao, e dal 2010 è membro del Comitato permanente dell'Associazione patriottica nazionale». Come non bastasse, la messa di ordinazione ha visto usare la vecchia formula di consacrazione, «in cui si cita il mandato del Consiglio dei vescovi, ma non si dice nulla del Papa e della Santa Sede».


In pratica avanza il programma di sinicizzazione della Chiesa, con l'approvazione della Santa Sede, che ha già preannunciato che «certamente in futuro si prevedono altre consacrazioni episcopali perché diversi processi per le nuove nomine episcopali sono in corso».


Dunque, da queste note capiamo che per il Vaticano in Cina va tutto a gonfie vele, a parte quel piccolo neo del trattamento degli uiguri. La Chiesa perseguitata deve essere un'invenzione della propaganda populista, che non ama il dialogo, che costruisce muri invece dei ponti.


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