Utili indicazioni morali della Lettera Samaritanus Bonus
Anche la persona più disabile che esista conserva in sé un'anima razionale la cui preziosità è immensa e unita di nuovo al suo corpo da risorto sarà perfettamente sano in Paradiso
Tommaso Scandroglio in "Corrispondenza Romana" 14 ottobre 2020
La pregevole Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) Samaritanus bonus indica alcune cause che hanno portato all'attuale diffusione di una cultura eutanasica. La Lettera ne illustra quattro. La prima attiene alla mancanza di fede, le altre tre sono di carattere culturale. Tra queste ultime, vogliamo soffermarci su quella che privilegia un'etica utilitarista a danno di un'etica fondata sulla dignità della persona. A tal proposito la CDF appunta che si registra un «uso equivoco del concetto di 'morte degna' in rapporto con quello di 'qualità della vita'. Emerge qui una prospettiva antropologica utilitaristica, che viene «legata prevalentemente alle possibilità economiche, al 'benessere', alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell'esistenza» [Francesco, Discorso al Congresso dell'Associazione Medici Cattolici Italiani nel 70º anniversario di fondazione (15 novembre 2014)]. In virtù di questo principio, la vita viene considerata degna solo se ha un livello accettabile di qualità, secondo il giudizio del soggetto stesso o di terzi, in ordine alla presenza-assenza di determinate funzioni psichiche o fisiche, o spesso identificata anche con la sola presenza di un disagio psicologico. Secondo questo approccio, quando la qualità della vita appare povera, essa non merita di essere proseguita. Così, però, non si riconosce più che la vita umana ha un valore in sé stessa».
Tralasciando alcune osservazioni che si potrebbero articolare in merito alle «dimensioni più profonde dell'esistenza», la CDF correttamente indica, tra le altre, come cause che hanno generato l'attuale cultura di morte il funzionalismo, la tesi della cosiddetta vita biografica, il perfezionismo biologico, cause che possono confluire nella tesi della qualità della vita che si oppone a quella che fa riferimento alla dignità della persona umana. Quest'ultima tesi predica che la preziosità intima di ogni persona riposa soprattutto nell'anima razionale che informa il corpo. L'anima, essendo realtà metafisica e quindi immateriale, non può essere intaccata dal decadimento inflitto dal tempo, dalle patologie, dalla mancanza di funzioni attuali. È incorruttibile e quindi nella sua preziosità mai muta. Perciò anche la persona disabile più disabile che esista conserva in sé un'anima razionale la cui preziosità è immensa.
Detto ciò però non bisogna cadere nell'errore di credere che i difensori della dignità personale non apprezzino anch'essi gli aspetti qualitativi dell'esistenza: avere una buona salute, essere capaci di relazionarsi con gli altri, di comunicare, di aver coscienza di sé e del mondo attorno a sé, di porsi fini intellegibili, di gustare la bellezza del creato o dell'arte umana, etc. Ma tutto ciò rappresenta gradi di perfezione dell'esistenza, qualcosa che abbellisce ancor di più la nostra vita, ma che non determina la dignità personale. Sono aspetti perfettivi, non fondativi della dignità della persona. Qualora questi aspetti mancassero – e in campo clinico ci riferiamo soprattutto alla presenza di patologie e quindi, a volte, anche alla mancanza di alcune abilità/funzioni – proprio perché sono elementi che perfezionano l'uomo, giustamente si metterebbero in campo tutte le conoscenze, energie e competenze per recuperare la salute persa e quelle funzioni intaccate dalla malattia. In tal senso, proprio perché salute e abilità sono aspetti perfettivi dell'uomo, possiamo concludere che tali aspetti sono a lui confacenti, confacenti alla sua dignità. A rovescio possiamo affermare che la malattia, con l'eventuale perdita di alcune capacità attuali, non è una condizione degna della persona. Infatti, e ci spostiamo su un piano teologico, Dio ha pensato l'uomo sano e non malato. Parimenti il nostro corpo risorto sarà perfettamente sano in Paradiso.
Dunque da una parte non è vero, come sostengono alcuni fautori dell'eutanasia che fanno leva sul concetto di qualità della vita, che alcune patologie o disabilità degradano la essenziale dignità della persona. Perché questa preziosità presente soprattutto nell'anima razionale è immune dal degrado psico-fisico. Su altro fronte però è vero che, come sostengono sempre alcuni attivisti pro-eutanasia, malattie e disabilità sono condizioni dell'esistenza non consone, non adeguate alla dignità personale, alla preziosità dell'uomo. Ma – e qui sta la differenza tra un pro-life e un pro-choice – chi difende la tesi della dignità personale tenterà di eliminare queste condizioni senza eliminare chi vive queste condizioni, chi difende la qualità della vita tenterà di eliminare queste condizioni eliminando chi vive queste condizioni (leggi eutanasia). In tal senso il pro-choice sommerà ad una condizione indegna per la persona un atto indegno per la persona come l'eutanasia. Invece il pro-life proverà a far uscire il paziente da uno stato di vita indegno per il tramite di atti moralmente validi come curare, sperimentare, fare ricerca, etc.
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