Dopo il caso Afineevsky i Cattolici divisi, figura papale svilita. Fino a quando di Aldo Maria Valli

 Ciò che si impone come esito più temibile non è forse il dibattito sulla morale naturale, ma la polarizzazione sempre più netta all'interno della stessa Chiesa cattolica. Questo è tragico e tetro. Il gioco delle lacerazioni entra sempre più nella vita del cattolicesimo. 

Aldo Maria Valli propone una riflessione di don Marco Borgato su "Duc in altum" 28 ottobre 2020

Dopo il caso del docufilm Francesco del regista Evgeny Afineevsky, non entro in merito al grado di effettivo coinvolgimento e condivisione da parte del papa, né mi soffermo su quanto è stato detto o non detto effettivamente, su quanto era stato previsto o è arrivato imprevisto.


Mi soffermo invece su un elemento oggettivo, un fatto bruto, un dato empirico: il caso Afineevsky segna un passo in avanti sensibilmente importante nel processo di frammentazione dell'unità ecclesiale, in primis nello svilimento della figura del sommo pontefice.


Colui che dovrebbe rappresentare il culmine della cattolicità, e dovrebbe portare in sé al massimo grado la dignità e la sacralità del lascito di Cristo nel mondo, è stato ridotto a zimbello nei social dell'intero orbe.


La quantità di pubblicazioni strumentalizzanti, almeno per quello che ho potuto riscontrare, ha superato ogni precedente. I gruppi progressisti hanno subito assunto l'immagine del papa come pendant di sfondi arcobaleno e di dichiarazioni massonico-rivoluzionarie. Importanti schieramenti familisti hanno svolto ermeneutiche da enciclopedisti per riuscire a collegare le dichiarazioni pontificie con la difesa tradizionale della famiglia. Gli Antifra (mi concedete di battezzarli così?) si sono sbizzarriti con caricature, meme e sberleffi che mezzo secolo fa sarebbero stati destinati sì e no ai peggio anticlericali della società.


Nell'uno e nell'altro caso, il papa sembra definitivamente passato dall'essere fonte e lume, al divenire – di volta in volta – strumento, oggetto, mascotte, mezzo per scopi altrui. E se è vero che da tempo si respirava tale crescente attacco alle somme istituzioni (Benedetto XVI si ritirò per tali colpi, o comunque si ritirò mentre da tali colpi era subissato) è pur da notare che un livello tanto alto di strapazzo per un Vicario di Cristo risulta inedito. Inedito soprattutto l'esser tanto strattonato dagli uni e dagli altri esponenti della stessa cristianità e del cattolicesimo. Ecco un papa trattato da burattino, anche dai suoi, volenti o nolenti. Ecco come appare la sua persona via broadcasting. Non sono io a giudicare fragile la comunicazione del sommo pontefice, è il mondo mediatico e social che ce la sta mostrando in questi termini. La realtà parla da sé e ciò che il mondo sta rappresentando è un papa che comunica in modo frammentato e che non riesce a farsi intendere univocamente nemmeno dai suoi zelatori.


Cosa comporta tutto questo? Parlare del papa significa parlare della coesione nella Catholica. Dunque, quale rischia di essere l'esito futuro di una simile situazione? Quale se non la disgregazione dell'unità ecclesiale? Il dubbio viene. Perciò prontamente il vescovo Carlo Maria Viganò è intervenuto scongiurando il rischio di scisma. Quello scisma sommerso di cui si mormora da ormai quarant'anni, nominato a mezza voce qualche anno fa da personalità del calibro del cardinal Burke, ora diviene allarme palese nelle dichiarazioni di un vescovo.


Ebbene, tutto ciò mi fa dire che, nel trambusto del caso Afineevsky, ciò che si impone come esito più temibile non è forse il dibattito sulla morale naturale, ma la polarizzazione sempre più netta all'interno della stessa Chiesa cattolica. Questo è tragico e tetro. Il gioco delle lacerazioni entra sempre di più nella vita del cattolicesimo. La Chiesa – che teologicamente è santa e non può soccombere – rischia di rimanere così schiacciata dal mondo e dalla modernità.


Qui avverto la faticosissima missione del cristiano oggi, la mia missione: la chiamata a testimoniare con un coraggio sempre più intenso la fedeltà alla Tradizione perenne contro i Dittatori del Relativismo, restando tenuto intimamente, oltre che in foro esterno, ad amare e far amare sempre più dolcemente il Santo Padre e la gerarchia ecclesiale. Eccoci di fronte a un nuovo, ennesimo paradosso della vita cristiana.


Riemergono dalla memoria, trascurate e profetiche, le parole scritte da papa Benedetto XVI nella lettera che accompagnava il motu proprio Summorum Pontificum, lettera che è un capolavoro di carità cristiana.


Il papa si mostra consapevole dell'enorme opposizione che gli verrà dall'interno della Chiesa e si affretta a spianare i dubbi, sciogliendo tutte le critiche e le apparenti negatività del documento. Al centro della lettera, però, si viene a toccare il motivo fondante e luminoso dell'iniziativa liturgica: "Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l'impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l'unità; si ha l'impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell'unità sia reso possibile di restare in quest'unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio».


Queste parole, lette alla luce dell'attuale scenario, fanno salire i brividi in chiunque le accetti nella loro limpida assertività. Non perché individuano in Benedetto XVI una chiara e profetica coscienza circa il pericolo di scisma vivo già nei suoi anni. Ma perché proiettano su di noi una gravosa responsabilità circa gli sforzi che stiamo realmente facendo o non facendo per tutelare l'unità tra i fedeli: si tratti degli sforzi a tutela del magistero, come degli sforzi a salvaguardia della figura del Santo Padre, passando – non lo considero accessorio o secondario – per gli sforzi verso un'autentica e complementare unità significata anche dalla dimensione liturgica.


Il dubbio che non stiamo facendo sforzi sufficienti, né da una parte né dall'altra, mi assale repentino e mette all'angolo anzitutto la mia stessa coscienza cristiana. E temo pronta la rovina del Regno diviso in se stesso. «E la sua rovina fu grande».

Don Marco Begato


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