Referendum, perché NO

È bene o male ridurre il numero dei parlamentari? Sembrerebbe questo il tema su cui decidere nel referendum di domenica prossima. In realtà per scegliere cosa votare bisogna considerare sia la natura della Costituzione e sia l'attuale contesto politico in cui si colloca. Elementi che spingono a votare NO

Riccardo Cascioli in "La Nuova Bussola" 18 settembre 2020


È meglio avere più parlamentari o è meglio averne meno? Il tema del referendum del 20 e 21 settembre apparentemente è questo. Saremo infatti chiamati a confermare o far decadere la riforma degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, che portano i deputati da 630 a 400, i senatori da 315 a 200 e un massimo di 5 senatori a vita. Ma bisogna dire che molti degli argomenti pro e contro la diminuzione dei parlamentari sentiti in queste settimane non sono tali da rendere chiaro come schierarsi. Risparmio importante o inutile? Miglioramento o peggioramento della rappresentatività democratica? Argomenti tutto sommato molto opinabili.


Due sono però le questioni che vanno oltre la disputa sul numero dei parlamentari e a nostro avviso spingono chiaramente per il no. Una tecnica e l'altra politica.


Bisogna tenere conto che l'architettura istituzionale disegnata nella Parte Seconda della Costituzione (di cui fa parte anche la definizione del numero dei parlamentari) è frutto di un certosino lavoro di bilanciamento dei poteri dello Stato. All'indomani del fascismo e della Seconda Guerra mondiale la preoccupazione principale dei padri della Costituente era comprensibilmente quella di creare un sistema di bilanciamento dei poteri tale che fosse evitato il rischio di scivolare di nuovo verso una dittatura. Quindi ogni tassello è legato all'altro e non si può toccare senza in qualche modo mettere in pericolo tutto l'edificio.


Il numero dei parlamentari può sembrare un dettaglio che può essere slegato dal resto, ma non è così. Tanto è vero che si è rilanciato il dibattito sulla riforma della legge elettorale, per renderla maggiormente compatibile con l'eventuale riduzione dei parlamentari. In realtà, appurata la necessità di adeguare il sistema istituzionale a nuove esigenze, ci sarebbe bisogno casomai di una visione d'insieme, di un progetto di riforma che ridisegni e riequilibri il rapporto tra i poteri dello Stato.


Si dice: iniziamo comunque da una parte, è un primo passo, comunque buono, poi seguiranno gli altri. Discorso pericoloso perché in questo caso la riduzione dei parlamentari è una proposta spot che non è inserita in un progetto più ampio e un primo passo può portare in qualsiasi direzione. Potrebbe effettivamente preludere a riforme che rendano più veloce ed efficiente la macchina statale, ma potrebbe più facilmente rafforzare la tendenza in atto a restringere gli spazi democratici e rappresentativi.


E qui entra il secondo elemento. Ovvero: per valutare appieno la portata della riforma costituzionale bisogna anche vedere in che contesto politico e culturale nasce. Non c'è dubbio che il motore della riforma sulla riduzione dei parlamentari sia il clima di anti-politica che si respira e che il Movimento 5 Stelle incarna. È questo forse l'aspetto più pericoloso.


Abbiamo il precedente di Tangentopoli e abbiamo visto come il giustizialismo si sia rivelato l'opposto della giustizia, danneggiando l'economia e la società italiana e alterando pericolosamente gli equilibri del potere a tutto favore della magistratura. Ci sono tutte le premesse perché, in questo clima, un "Sì" al referendum di domenica riduca ancora di più gli spazi del potere legislativo.


Del resto, di come ci sia una insospettata spinta verso il superamento della democrazia parlamentare è apparso chiaro anche durante il periodo del lockdown. Con un Parlamento ad attività estremamente ridotta, il premier Conte ha di fatto governato personalmente a colpi di Decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), limitando le libertà personali degli italiani con atti d'imperio e senza passare dal Parlamento. Questo è avvenuto nel totale silenzio del presidente della Repubblica – che pure dovrebbe essere garante della Costituzione -. E anche la grande stampa ha chiuso un occhio, segno che la voglia di "meno democrazia" è largamente diffusa.


Una vittoria dei "Sì" galvanizzerebbe ancor più il partito degli "anti-casta", che vede sostanzialmente inutile o marginale il Parlamento. È senz'altro questo l'aspetto più inquietante a cui porterebbe il passaggio della riforma costituzionale, un pericolo certamente da evitare votando "No".


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