L'America Latina tra sogno (ideologico) e realtà

"La finzione, l'amore per le cose rare e peregrine, predominano sul gusto del reale e del comune". Scriveva così nel 1943 lo storico peruviano Raul Porras Barrenechea a proposito dei primi storici dell'America Latina, orientati a vedere quelle terre non come erano, ma come loro desideravano che fossero: terre mitiche e favolose, ben diverse dall'Europa, ordinaria e decisamente troppo prosaica.

Aldo Maria Valli in "Duc in altum" 25 settembre 2020

"La finzione, l'amore per le cose rare e peregrine, predominano sul gusto del reale e del comune". Scriveva così nel 1943 lo storico peruviano Raúl Porras Barrenechea a proposito dei primi storici dell'America Latina, orientati a vedere quelle terre non come erano, ma come loro desideravano che fossero: terre mitiche e favolose, ben diverse dall'Europa, ordinaria e decisamente troppo prosaica.


Questa inclinazione a idealizzare il Sudamerica, alimentata fin dall'inizio dallo stesso Cristoforo Colombo e divenuta una costante, è al centro di un piccolo ma prezioso saggio di Mario Vargas Llosa, Sogno e realtà dell'America Latina (Liberilibri), nel quale il premio Nobel per la letteratura 2010 punta l'attenzione su quella che definisce "un'impresa immaginaria" che, sollecitata dalla letteratura, ha finito con l'influenzare anche la società e la politica, per cui l'opera di idealizzazione, ovvero "l'illusione di incontrare materializzate in America la realtà letteraria e la mitologia europea", è sfociata in un'ideologia che ha proiettato sul continente sudamericano le frustrazioni europee, in modo tale che tutto ciò che qui da noi è condannato a restare nel regno dell'illusione laggiù, ai confini del mondo, diviene non solo possibile, ma augurabile.


Vargas Losa non ha dubbi: "La scoperta dell'America da parte degli europei viene portata a termine sotto l'impero del mito e dell'immaginazione". Quelle terre fantastiche sono l'El Dorado, sono il dominio delle Amazzoni, la fonte della giovinezza, un regno da Mille e una notte, tanto che qui da noi l'espressione "vale un Perù" si usa ancora oggi per indicare un'estrema ricchezza. Ma se questa visione distorta ha prodotto grandi e benefici effetti sulla letteratura e, in generale, sull'arte e la cultura, le conseguenze politiche sono state meno entusiasmanti. Perché, come scrive Carlo Nordio nell'introduzione al saggio dello scrittore peruviano, "questa proiezione di aspettative frustrate non si è dissolta nell'inerzia della rassegnazione, ma si è invece convertita in teorie politiche che hanno individuato nell'America Latina la fucina operosa della rivoluzione proletaria, di cui l'esperienza cubana sarebbe stata l'archetipo e l'esempio da seguire".


Vargas Losa, classe 1936, convertitosi al liberalismo dopo l'infatuazione per la rivoluzione castrista, sostiene che solo così, con questo meccanismo di proiezione, si possono spiegare certe pretese europee di realizzare al di là dell'Oceano ciò che in Europa è fallito. È vero che la mitizzazione ideologica dell'America Latina non ha avuto sempre e soltanto un carattere rivoluzionario di sinistra (si pensi alla vicenda di Elisabeth Nietzsche, sorella del filosofo, emigrata in Paraguay e fondatrice di una colonia reazionaria e razzista, la Nuova Germania, finita in tragedia), ma di fatto sono stati i marxisti i principali elaboratori della proiezione. Con un effetto paradossale, e cioè che, alla lunga, molti latinoamericani hanno adottato l'immagine fasulla di sé costruita in Europa e, invece di incarnare la propria realtà, ricca di caratteri originali, si sono ridotti a fare da interpreti di modelli, spesso farneticanti, pensati altrove.


La ricchezza culturale dell'America Latina consiste nell'essere un universo nel quale convivono, l'una accanto all'altra, quasi tutte le culture del mondo. Questo è l'autentico tesoro, da valorizzare e da mettere al servizio dello sviluppo. Invece il continente è spesso utilizzato come laboratorio da cattivi maestri europei che, frustrati dal proprio fallimento, pretendono di realizzare le loro utopie a migliaia di chilometri di distanza, in quelle terre intrise di fascino esotico. Ma se l'utopia, come sottolinea Vargas Llosa, può essere stimolante e fruttuosa in letteratura, nella realtà diventa fatale e si tramuta in sofferenza, dispotismo, morte, distruzione.


Scritto nel 2009, Sueño e realidad de America Latina non prende in considerazione il recente sinodo che la Chiesa cattolica ha voluto dedicare all'Amazzonia. Il lettore in ogni caso non faticherà a rintracciare i sintomi del meccanismo proiettivo di cui parla l'autore anche nell'assemblea dei vescovi che, riunita in Vaticano e tutta presa dal fanatismo ecologista, ha esaltato quella terra come una sorta di paradiso in terra, è arrivata a rendere culto a un feticcio pagano e ha sostenuto che i cattolici d'Occidente dovrebbero prendere esempio da quelle culture primitive. Tutte idee costruite in Europa, naturalmente. Da chi, in questo modo, pur volendo apparire come il paladino dei diritti dei nativi, si comporta da autentico colonizzatore, perché strumentalizza popoli e culture.


Nel frattempo, dopo questo pamphlet, Liberilibri manda in libreria anche un più corposo volume dello scrittore premio Nobel: Sciabole e Utopie. Visioni dell'America Latina, con l'introduzione di Alberto Mingardi. Una sorprendente raccolta, sinora inedita in Italia, di riflessioni politiche e filosofiche, analisi sociali e culturali, con le quali lo scrittore peruviano, nelle vesti di critico-narratore, propone la sua visione su molti dei più significativi eventi accaduti in America Latina dalla seconda metà del Novecento in avanti, nonché sulle loro radici storiche, i loro lasciti, spesso tragici, e sui personaggi, talvolta bizzarri, che ne sono stati protagonisti. In termini politici una sorta di caos permanente, ma in termini artistici (pittura, musica, letteratura) un ineguagliabile fiorire.

Aldo Maria Valli


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