Domenica 25*

Nel Vangelo di oggi troviamo un insegnamento di Gesù piuttosto sconcertante che ci può far sembrare ingiusto il Signore. In realtà egli vuole aprire i nostri cuori: non vuole che rimaniamo nella prospettiva di una giustizia distributiva stretta, ma che ci apriamo alla generosità divina, che cambia le nostre prospettive


Nella liturgia di oggi la lettura della Lettera di San Paolo ai Filippesi, cioè ai membri della comunità che l'Apostolo stesso fondò nella città di Filippi, importante colonia romana in Macedonia, oggi Grecia settentrionale. Paolo giunse a Filippi durante il suo secondo viaggio missionario, provenendo dalla costa dell'Anatolia e attraversando il Mare Egeo. Fu quella la prima volta in cui il Vangelo giunse in Europa attraverso una ispirazione dello Spirito a San Paolo tra Asia ed Europa. Siamo intorno all'anno 50, dunque circa vent'anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù. Eppure, nella Lettera ai Filippesi, sono contenute le radici cristiane del nostro Continente cioè un inno a Cristo che già presenta una sintesi completa del suo mistero cioè della Persona divina del Verbo: incarnazione, chenosi, cioè umiliazione fino alla morte di Croce attualizzata nella celebrazione del Sacrificio eucaristico, e glorificazione o accoglienza del Padre con il dono dello Spirito. Questo stesso mistero divino-umano è diventato un tutt'uno con la vita dell'apostolo Paolo nella sua evangelizzazione, che scrive questa lettera mentre si trova in prigione, in attesa di una sentenza di vita o di morte. Egli afferma: "Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno" (Fil 1,21). È un nuovo senso della vita, dell'esistenza umana, che consiste nella comunione con la presenza viva della Persona di Gesù Cristo; non solo quindi con la memoria di un personaggio storico, un maestro di saggezza, un leader religioso, ma con un uomo vivo attraverso la morte in cui abita personalmente Dio, il Padre, l'Amante, il Figlio, l'Amato, nelle reciprocità dello Spirito santo, l'Amore. Tutta la sua vita terrena donata al Padre, soprattutto la sua morte e risurrezione,  il suo Sacrificio attualizzati in continuità nella celebrazione della Messa sono la Buona Notizia che, partendo da Gerusalemme, è destinata a raggiungere tutti gli uomini e tutti i popoli, e a trasformare dall'interno tutte le culture, aprendole alla verità fondamentale perla salvezza di tutti: Dio è amore, si è fatto uomo in Gesù e con il suo sacrificio ha riscattato l'umanità dalla schiavitù del male donandole l'unica speranza affidabile per tutti.

San Paolo era un uomo che riassumeva in sé tre mondi che fondano l'Europa: quello ebraico, quello geco e quello romano. Non a caso Dio affidò a lui, ebreo, la missione di portare il Vangelo dall'Asia Minore alla Grecia e poi a Roma, gettando ponti che avrebbero proiettato il Cristianesimo fino agli estremi confini della terra. Oggi viviamo in un'epoca di nuova evangelizzazione sia in una cristianità in crisi; in crisi anche il patrimonio greco della ragione sull'Essere; in crisi di fede anche quello ebraico-cristiano dell'Essere come Persona fin da Mosè con il nome "Io sono Colui che sono", perché si punta tutto sul progresso storico, sul divenire senza la Verità e nichilista, senza oltre la tomba. Però vasti orizzonti si riaprono all'annuncio del Vangelo, mentre regioni di antica tradizione cristiana sono chiamate a riscoprire in questo momento drammatico la bellezza sia della ragione e sia della fede che ci hanno dato il patrimonio Occidentale di civiltà. Protagonisti di questa missione, in dialogo con tante culture, sono uomini e donne che, come Paolo, possono dire a livello personale e sociale, storico ed eterno: "Per me vivere è Cristo". Persone, famiglie, comunità che accettano di lavorare nella vigna del Signore, secondo l'immagine del Vangelo di questa domenica (Mt 20,1-1). Gesù racconta proprio la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna. E alla sera dà a tutti la stessa paga, un denaro pattuito, suscitando la protesta di quelli della prima ora. È chiaro che quel denaro rappresenta nel succedersi della storia la vita eterna, dono che Dio riserva tutti. Anzi, proprio quelli che sono considerati "ultimi", se lo accettano, diventano "primi", mentre i "primi" possono rischiare di finire "ultimi". Un primo messaggio di questa parabola sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione con le sue conseguenze: vuole che tutti siano impegnati nella vigna con il di più della giustizia distributiva. E in realtà l'essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare anche oggi nella vigna del Signore, mettersi a servizio dell'evangelizzazione, collaborare ecclesialmente alla sua opera, costituisce per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica perché la fede, la speranza, la carità si rafforzano donandole. Ma lo capisce solo che fa l'esperienza dell'amore del Signore e del suo regno; chi invece lavora unicamente per la paga senza relazioni di amore gratuito non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro.

A narrare la parabola è san Matteo, apostolo ed evangelista, di cui tra l'altro ricorre proprio domani 21 settembre la festa liturgica. Mi piace sottolineare che Matteo, in prima persona, ha vissuto questa esperienza (Mt 9,9), prima di noi. Egli infatti, prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano, l'esattore di tasse e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla "vigna del Signore". Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda con fiducia e gli dice: "Seguimi". Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò con il suo patrimonio immediatamente discepolo di Cristo. Da "ultimo" si trovò "primo", grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo. "i miei pensieri non sono i vostri pensieri – ci dice anche oggi il Signore per bocca del profeta Isaia -, le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55,8). Anche san Paolo ha esperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore, con la voglia di perseguitare i cristiani, a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: "Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno". Subito dopo, superando la giustizia distributiva, aggiunge: " Ma se il vivere in questo corpo mortale significa lavorare con frutto, non so davvero cosa scegliere" (Fil 1,21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore, anche avendo lavorato già tutta la vita, è già su questa terra una ricompensa. Questa omelia l'ho sintetizzata alle tre di notte, svegliandomi.

La Vergine Maria, che abbiamo celebrato, martedì 15 Addolorata e sappiamo "donna eucaristica" presente in ogni messa con il suo Figlio, è tralcio perfetto della vigna del Signore. Da lei è germogliato il frutto benedetto dell'amore divino: Gesù, nostro Salvatore. Ci aiuti Lei a rispondere sempre meglio e con gioia alla chiamata del Signore in tutte le ore del giorno e…anche della notte, e a trovare la nostra felicità nel poter faticare per la Chiesa.


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