Alla luce della fede cioè del cambiamento di mentalità questa vita è preparazione alla vita veramente vita attraverso la morte
"Ho il terrore di andare nella scuola per votare per il rischio del corona virus. Ricordando gli anni giovanili con te disposti anche a morire per amare ci siamo diversificati tu per il sacerdozio e io per una crisi di fede, dimenticandomi della morte, entusiasta perché il Concilio non ha mai parlato dell'inferno. Vorresti fare un articolo per come allora alla luce della fede maturavamo la mentalità del morire"
Come ci veniva presentata dal curato don Giuseppe, al cambiamento della mentalità alla luce della fede cui tutto subordinare, la morte è l'atto culminante di questa vita per la vita veramente vita che dura eternamente. Proprio l'invito di Gesù all'inizio della sua predicazione: convertitevi cioè ambiate mentalità sul significato di questa vita mortale per amare con fede cioè farsi dono anche dando la vita per la vita veramente vita che dura eternamente.
Alla luce della fede e della nostra sensibilità la morte è un male che viene dal peccato delle origini di cui abbiamo le conseguenze senza averne la colpa pur potendo aggiungere le nostre colpe. E la colpa più grande è perdere la fede che il Figlio del Padre si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria per liberarci da tutti i mali e con la risurrezione sua e nostra dal cadere con la morte dall'essere come individui nell'indifferenziato non essere. Mentre si sta bene, le cose vanno bene, si può vivere nella dimenticanza di dover morire. Ma oggi con la pandemia ci si sta rendendo conto di aver perso molto nella prassi cristiana dell'ars bene moriendi. Mi trovo nella Casa di riposo della Cittadella della Carità San Giovanni Calabria di Negrar con 29 sacerdoti che ci prepariamo personalmente con l'apparecchio alla buona morte in uso soprattutto fino al Vaticano II nella liturgia e nei manuali di pietà. E siccome il mio amico mi chiede di richiamare quello spirito presente anche in parrocchia tra i giovani, lo faccio volentieri. Nella mia parrocchia di Cavalcaselle di Castelnuovo del Garda si andava ogni mese al cimitero alle 6 del mattino alla Missa ad petendeam gratiam bene moriendi. E noi giovani, ragazzi e ragazze di Azione Cattolica, non mancavamo mai anche perché era l'unica volta consentita di trovarci insieme. Tenere fissa l'attenzione anche per la castità prematrimoniale o di vita consacrata era ravvivata dall'adagio ripetuto in latino, ma facile da comprendere e ricordare nelle tentazioni soprattutto la morte: "Memorare novissima tua et in Aeternum non peccabis" (Eccli., 7,40). Si ricordava che si trattava di prepararsi ad un evento anche dopo la guerra che non si può mai sapere se si è o no preparati. L'oscuramento dello spirito, sempre in agguato insieme alle illusioni date spesso al morente da sé stesso e dagli altri, nonché la tentazione di disperazione da parte del Maligno, rendono spesso difficile pensare alla morte. Invece rendersi conto per non assolutizzare niente di questa vita diviene nel vissuto cristiano fonte di grazia e libertà senza idoli anche nell'amare, nel lavorare. La morte per la vita animale è la fine di tutto non per l'uomo dove il vissuto materiale è congiunto ad un principio immateriale e immortale qual è l'anima, l'intelletto che si stacca dal corpo che finisce in polvere per ricongiungersi al corpo del risorto alla risurrezione della carne. Ecco perché personalmente, pur dolorosa, non è il sommo male, mentre il sommo bene e il sommo male sono al di là della morte preparati da tutta la vita nell'alternativa tra amore e odio, impegno e disimpegno con il libero-arbitrio di ciascuno. Ci confessavamo tutti ogni settimana, molti partecipando ogni giorno alla Messa. Oltre a matrimoni splendidi, quattro vocazioni sacerdotali e dieci alla vita consacrata, pur forse accentuando troppo sensibilmente peccato, morte, rischio di inferno.
La mentalità moderna ha subito, anche pastoralmente, una variazione assai notevole e non tutta positiva facendo un esame di coscienza di 60 anni di ministero sacerdotale: essa è lontana dal pensare alla contemplazione della morte come giorno natalizio al cielo e rimuove ogni immagine che la richiami fino a non far cenno nel primo nuovo Rito dei defunti all'anima. Ogni parola, ogni idea, ogni simbolo (oggi perfino ala croce in quanto rammenta un supplizio), ogni gesto attinente alla fine, rimossi dalla conversazione sociale. Alla cura del morire, durante il coronavirus perfino la benedizione del cadavere cessato, subentra nella sensibilità il desiderio di una morte incosciente. Quella morte subitanea e improvvisa che era aborrita da noi giovani, riguardata alle volte come un castigo, perfino deprecata nelle mirabili litanie dei Santi, è divenuta la aspirazione oggi della maggioranza degli uomini che non soltanto se la augurano, ma giungono a procurarsela con l'eutanasia attiva e anestetica. La morte improvvisa era per i pagani "summa vitae felicitas". Al tempo della mia gioventù si domandava: "Ha ricevuto i sacramenti? Si è confessato? Ha perdonato? Ha lasciato con giustizia i suoi beni dando una parte ai poveri?"; oggi spesso invece: "Si è accorto di morire? Ha sofferto?".
Con questo articolo, pur nel confronto di allora e adesso, con i limiti di allora e di adesso, dico al mio amico di 86 anni come me, personalmente nessuno mi impedisce di cambiare, alla luce della fede, la visione di questa vita, soprattutto della morte, e preparami come giorno natalizio al cielo per la sola mia anima con il giudizio particolare, alla Gerusalemme celeste con tutte le relazioni con il giudizio universale. Importanti Messe e preghiere di suffragio, soprattutto per parenti e amici, che si trovassero nel pre-paradiso cioè il purgatorio. Ed è ancora un aiuto per i sacerdoti, anche in Casa di riposo, l'offerta per Messe di suffragio.
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