Solennità della dormizione e assunzione al cielo della B.V. Maria

Non può accadere in ogni persona umana la libertà e quindi l’amore, la felicità anche nelle tribolazioni, perfino nel morire senza la Verità cioè la fede e la comunione con Gesù Cristo, il Figlio del Padre nello Spirito Santo cioè Dio creatore che si è Incarnato nel grembo di Maria ed è nato verginalmente, ha dato la vita per liberarci dal peccato e dalla morte, è risorto, è asceso al Cielo, rimanendo realmente presente in modo sacramentale nell’Eucarestia, realizzando anche con la dormizione e assunzione al Cielo della Sua e nostra madre, la prima e piena realizzazione di ogni anima che non muore e del corpo che risorge cui tutti siamo responsabilmente destinati.

Dopo l’annuncio del titolo di fede la narrazione con cui liturgicamente attualizziamo, celebriamo nel cuore del mese di agosto in Oriente e Occidente la Solennità della Dormizione e Assunzione di Maria Santissima al Cielo. Nella Chiesa Cattolica, il dogma perenne dell’Assunzione – come è noto – fu pubblicamente proclamato durante l’Anno Santo del 1950, il primo novembre alle 10, 15: ero presente! Tale dogma, però, affonda le sue radici nella fede dei primi secoli della Tradizione della Chiesa, un tutt’uno con la Dormizione.
In Oriente, viene chiamata ancora oggi “Dormizione della Vergine”. In un antico mosaico della Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma (IV secolo), che si ispira all’icona orientale della “Dormitio”, sono raffigurati gli Apostoli che, avvertiti dagli angeli della fine terrena della Madre di Gesù, sono raccolti attorno al letto della Vergine. Al centro c’è Gesù che tiene fra le braccia una bambina: artisticamente è teologicamente Maria, divenuta “piccola” per il Regno, e condotta dal Signore al Cielo attraverso la dormizione.
Nella pagina del Vangelo di San Luca della liturgia odierna, abbiamo letto che Maria “in quei giorni si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1,39). In quei giorni Maria quindicenne, incinta verginalmente di Gesù per opera dello Spirito santo, si affrettava dalla Galilea verso una cittadina vicino a Gerusalemme, per andare a trovare la parente Elisabetta, al sesto mese fuori delle possibilità naturali, come gli aveva indicato l’angelo per la credibilità del suo annuncio. Oggi la contempliamo salire attraverso la dormizione come la morte di Gesù verso la montagna di Dio ed entrare nella Gerusalemme celeste dove era già asceso il Figlio, “vestita di sole, con la luna sotto i piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle”, come è contemplata nell’Apocalisse (Ap 12,1).
La pagina dell’Apocalisse, che leggiamo nella liturgia di questa Solennità, parla di una lotta tra la donna e il drago, il maligno, tra il bene e il male. San Giovanni sembra riproporci le primissime pagine del libro della Genesi, che narrano la vicenda tenebrosa e drammatica del peccato di Adamo ed Eva. I nostri progenitori furono sconfitti nel loro libero-arbitrio dal maligno, nella pienezza dei tempi, Gesù, nuovo Adamo, e Maria, nuova Eva, vincono definitivamente il nemico, e questa è la gioia di questo giorno per tutti i credenti o per tutti gli uomini alla ricerca della Verità che rende possibile la libertà e quindi l’amore, la felicità anche nelle tribolazioni, perfino nel morire! Con la vittoria di Gesù sul male, anche la morte interiore e fisica sono sconfitte. Maria è stata la prima a prendere in braccio il Figlio di Dio, Gesù, divenuto bambino, ora è la prima ad essere accanto a Lui nella Gloria del Cielo con il Padre nello Spirito Santo.
Per il credente cattolico le verità di fede che con la morte l’anima si separa dal corpo ma non muore e questo corpo temporale che finisce in polvere sarà ricreato con la risurrezione dei morti sono certezze; oggetto della speranza invece può essere qualcosa che, per definizione, è incerta. La risurrezione dei morti affermata nel “Credo” per Gesù e nel “Dogma” per Maria, come oggetto di attesa certa è verità di fede, quindi una certezza. È dunque improprio anche come oggetto della speranza cristiana?
In realtà già Paolo nella Prima lettera ai Tessalocinesi, forse la più antica attestazione neotestamentaria della convinzione cristiana sulla resurrezione dei morti, sovrappone speranza e fede quando illumina i cristiani sulle tematiche escatologiche cioè sulle realtà ultime che nell’attuale secolarizzazione di un cristianesimo, di un ateismo liquido di una religione mondialista non vengono richiamate: “Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza su queste realtà ultime. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risorto nel suo corpo, (che Maria è Assunta attraverso la Dormizione); così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui” (1 Ts 4,13-14). L’analisi linguistica ci permette di distinguere fra la certezza, per fede, della risurrezione e la non certezza della sua qualità che è oggetto appunto della speranza. Si spera non di risorgere, perché ne siamo certi per la risurrezione di Gesù e l’assunzione di Maria, bensì di risorgere bene, Infatti, come ci avverte il vangelo di Giovanni, tutti i morti risorgeranno, certo, ma “quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,29). Questo non ci impedisce di “sperare per tutti” (von Balthasar), tuttavia la speranza che nessuno debba risorgere per la condanna non significa avere la sicurezza effettiva che sarà così.  Anzi il il santo timor di Dio”, che è dono dello Spirito, spinge ciascun fedele, ogni uomo a rifuggire dalla presunzione di salvarsi senza merito, sicuramente e di meritare con certezza una “risurrezione di vita” che si può soltanto sperare.
Per il cristiano la speranza, in quanto virtù teologale, partecipa sotto certi aspetti della certezza della fede. Non perché chi spera possa ritenere la propria salvezza come già garantita, ma piuttosto perché la speranza si fonda sull’affidamento a  Dio da cui ci sappiamo amati con un amore più grande dei nostri peccati e quindi gratuitamente puntiamo ad amare i nostri fratelli. La speranza teologale è il desiderio di Dio in noi anche senza di noi, suscita in continuità da Dio stesso nel cuore di ogni uomo comunque ridotto e che si alimenta nella certezza della volontà salvifica di Dio, realizzabile, però, non senza di noi!
Abbiamo parlato di Maria, ma in un certo senso, stiamo parlando anche di noi, di ciascuno di noi la cui piena realizzazione non può essere solo temporale: anche noi siamo destinatari di quell’amore immenso che Dio ha riservato – certo, in una maniera assolutamente unica e irripetibile – a Maria. In questa Solennità dell’Assunzione attraverso la Dormizione guardiamo a Maria: Ella, nella certezza della fede, ci apre alla speranza, ad un futuro, ai storico, di ogni bene senza più alcun male e ci insegna la via per raggiungerlo: accogliere nella fede e nella comunione eucaristica e fraterna, il suo Figlio veramente presente nella Messa almeno domenicale; non perdere mai l’amicizia con Lui, ma lasciarci illuminare e guidare dalla sua Parola nell’amore fraterno; seguirlo ogni giorno, anche nei momenti in cui sentiamo che le nostre croci e quelle del Suo Corpo che è la Chiesa si fanno pesanti. Maria, l’arca dell’Alleanza, della Storia di amore di Dio che sta già nella dimensione celeste della Chiesa, ci indica con luminosa chiarezza che siamo in cammino verso la vera Casa, la comunione di gioia e di pace con Dio.

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