Nagasaki, il volto di Maria che piange per i suoi figli

Clicca per infoLa bomba atomica sganciata dagli americani il 9 agosto 1945 cadde a soli 500 metri dalla cattedrale di Urakami, distruggendola. Tra le macerie riemerse il volto di una statua lignea della Madonna, con le cavità degli occhi vuote, e una sorta di crepa della guancia destra. Un fatto che fu interpretato come il pianto della Madre di Dio per una guerra assurda. In mezzo alla quale non mancarono vicende eroiche, come quella del medico convertito Takashi Paolo Nagai

Luca Marcolivio in “La Nuova Bussola” 10 agosto
La storia incredibile del cattolicesimo in Giappone trova il suo fulcro a Nagasaki e ha una forte connotazione mariana. La città nipponica è passata in mezzo alle strettoie gloriose del martirio in ben due occasioni: nel 1597, con il sacrificio di san Paolo Miki e compagni, e il 9 agosto 1945, con l’esplosione della bomba atomica gettata dagli americani. Alcuni secoli dopo essere stata irrorata dal sangue dei martiri, Nagasaki, all’inizio del secolo scorso, arrivò a diventare la città nipponica più popolata da fedeli cattolici: nell’anteguerra, due terzi dei cattolici giapponesi vivevano proprio a Nagasaki e, in questa città, il loro numero era pari a 12.000. Dopo lo sgancio della bomba atomica ne morirono 8.500.
C’è chi interpretò la tragedia di Nagasaki come una vendetta degli americani contro Pio XII, a loro avviso colpevole, con i suoi “silenzi”, di non aver mai preso le distanze dagli invasori nazisti [nel frattempo il pontefice salvava la vita a migliaia di ebrei, vedi qui]. Tra i grandi uomini di Chiesa cui non sfuggì la coincidenza, vi fu il cardinale Giacomo Biffi, che, nella sua autobiografia, osservò: “Come mai per la seconda ecatombe è stata scelta, tra tutte, proprio la città del Giappone dove il cattolicesimo, oltre ad avere la storia più gloriosa, era anche più diffuso e affermato?”. Eppure la vulgata ufficiale racconta una storia differente: la bomba non detonò nel centro di Nagasaki come previsto ma nella zona di Urakami, a causa della scarsità di carburante, che costrinse il pilota a un giro diverso da quello inizialmente previsto.
Rimane il fatto che l’ordigno atomico precipitò a soli 500 metri dalla cattedrale di Urakami, radendola al suolo. La cattedrale era stata consacrata nel 1925, trent’anni esatti dopo la posa della prima pietra e a sessant’anni esatti dalla ripresa della vita sacramentale in quella comunità: proprio a Nagasaki, si era rifugiato un piccolo gruppo di cristiani “clandestini”, tutti laici e tutti discendenti dei sopravvissuti all’ultima grande persecuzione anticristiana, avvenuta nel 1637. Nel 1865, grazie all’incontro provvidenziale con il missionario francese padre Bernard Petitjean, la comunità era stata finalmente regolarizzata. Nel frattempo la libertà religiosa in Giappone venne pienamente ripristinata e, nel 1891, fu eretta canonicamente la Diocesi di Nagasaki.
L’attacco atomico del 9 agosto 1945 portò alla luce almeno tre eventi in cui è molto difficile non intravedere una mano sovrannaturale. Si pensi al convento francescano, fondato da san Massimiliano Kolbe poco prima della guerra e rimasto intatto dopo l’esplosione. Uno dei pochi oggetti rimasti non completamente distrutti nella deflagrazione della cattedrale fu una statua di sant’Agnese, esposta un paio di anni fa a New York, alla sede delle Nazioni Unite.
L’oggetto più significativo, comunque, rimane un frammento della statua lignea della Madonna: per l’esattezza il volto della Vergine, che, tra le macerie, riemerse con gli occhi vuoti (le due pupille di vetro si erano completamente fuse) e con una sorta di crepa che le solcava l’intera guancia destra, quasi a disegnare una lacrima. Un’immagine che fu da taluni interpretata come il pianto della Madre di Dio per la tragica inutilità della guerra. Il frammento di quella statua mariana era stato raccolto dal padre trappista Kaemon Noguchi, il quale portò l’oggetto sacro presso il suo monastero nell’isola di Hokkaido. Il volto della Madonna sopravvissuto all’atomica rimase dai trappisti fino al 1975, quando, nel trentennale della tragedia, si dispose la sua restituzione alla città d’origine. Rimasto per quindici anni presso il Junshin Women’s College, nel 1990, il frammento della statua fu restituito alla Diocesi di Nagasaki che, inizialmente, la fece esporre presso il Museo della Bomba Atomica.
La ricollocazione definitiva del volto mariano nel suo sito originario avvenne in occasione del 60° anniversario della bomba atomica. Il 9 agosto 2005, all’interno della cattedrale di Urakami (ricostruita nel 1959), l’arcivescovo di Nagasaki, monsignor Joseph Takami, consacrò una cappella laterale, diventata “luogo di preghiera per la pace universale”, nonché di esposizione dell’immagine mariana sopravvissuta alla bomba atomica. L’immagine, diventata essa stessa simbolo di pace, è stata portata in pellegrinaggio nell’aprile e maggio 2010, per invocare lo smantellamento delle armi nucleari, facendo tappa a Guernica, in Spagna, in Vaticano, dove è stata benedetta da papa Ratzinger, e infine alla cattedrale di San Patrizio a New York.
La storia della cattedrale di Urakami è legata anche a una vicenda personale molto intensa: quella di Takashi Nagai, convertitosi nel 1931, quando era un giovane studente in medicina, ateo e discendente di un’antica famiglia di samurai. In cerca di alloggio, Nagai aveva trovato ospitalità presso la famiglia Moriyama, discendenti diretti di quei cristiani “clandestini”, sfuggiti al martirio del XVII secolo. Nagai si fece quindi battezzare e sposò Midori Moryama, figlia del suo padrone di casa
La mattina di quel tragico 9 agosto 1945, il dottor Nagai, diventato un radiologo stimato in tutta la città, si trovò, come ogni giorno, al lavoro in ospedale. Sua moglie Midori morì quasi subito dopo lo scoppio della bomba ma lui, con stoicismo nipponico, non trovò il tempo di piangersi addosso e si dedicò anima e corpo al soccorso dei feriti e alla cura gratuita dei malati. Nagai assunse a suo motto la frase evangelica “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Provato dalla sofferenza psicologica e dalle radiazioni, il dottor Nagai si ammalò di leucemia e si spense nel 1951, a soli 43 anni, sgranando il rosario regalatogli da Pio XII. Una morte in odore di santità, nel segno del perdono ai nemici.

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