Ah, che Provvidenza il Seminario nuovo di san Massimo Verona nel 1960!
Questa notte non ho dormito sentendo ieri una voce critica verso il Vescovo Zenti per la necessaria, veramente necessaria, vendita del Seminario di San Massimo. Ma mi ha fatto rivivere tutta una meravigliosa storia provvidenziale!
Non ricordo l’anno prima del 1960 ed ero chierico. L’uno novembre, dopo la celebrazione al Cimitero monumentale di Verona, in fila siamo tornati i Seminario e alle 20 la cena con il carrello che veniva dalla cucina lontana con il raffreddamento delle vivande. In sala da pranzo improvvisamente entrano il Rettore, mons. Policarpo, con l’insegnante di Sacra Scrittura mons. Giovanni Ongaro: una apparizione fuori dell’ordinario come fuori dell’ordinario risulterà la notizia! Mons. Policarpo: ringraziamo la Provvidenza che attraverso la generosità del nostro confratello abbiamo il terreno per la costruzione del nuovo Seminario a San Massimo.
Da anni si era alla ricerca sia per il crescente numero di seminaristi e sia per la struttura in città, veramente fatiscente del vecchio Seminario. D’inverno era riscaldata solo l’aula magna per la scuola e lo studio. Ricordo un fatto. In un pomeriggio aravamo riuniti le cinque classi di teologia per lo studio. Scoppia un temporale e accendiamo le quattro luci. Cessato il temporale nessuno di noi pensa allo spegnimento. Entra l’economo don Alberigo: quattro luci in pieno meriggio e “zo che la vaga” nonostante le vostre difficoltà per pagare la retta. La retta, pur con benefattori era a carico della famiglia e in parte lo si saldava, come ho fatto io, da sacerdoti. Ma il vissuto da teologi era fraternamente splendido nonostante tutti questi limiti. La preghiera liturgica ci coinvolgeva al massimo. Sapevamo 12 messe polifoniche, tutto il gregoriano del Liber usualis e alla Domenica cantavamo in Cattedrale. Meraviglioso il mese di maggio con il rosario alla sera davanti all’immagine della Madonna, il canto polifonico delle litanie e il fioretto da parte dei diaconi. Personalmente e comunitariamente ore di adorazione davanti al tabernacolo. E non mancava neppure il gioco appassionato della palla volo.
Si sentiva però il bisogno di un Seminario nuovo riportando dalla Villa di Roverè le medie. Mons. Policarpo, dopo varie ipotesi, soprattutto quella di Montorio, aveva accompagnato il primo di novembre mons. Ongaro all’adorazione di san Tomio e qui gli fece la richiesta del suo enorme terreno a san Massimo ricevendo la disponibilità, non senza la preoccupazione di convincere la familiare, la Nina. Psicologicamente il rettore pensò di coinvolgerlo di fronte a tutti i chierici, evidentemente entusiasti e quella sera un rosario speciale a suffragio dei genitori di Mons. Ongaro dopo la cena. Tutta la diocesi, sacerdoti e fedeli convinti, partecipi per costi altissimi e il 6 giugno del 1960 la grande inaugurazione con il patriarca di Venezia, cardinale Urbani. Fu un giorno memorabile. Cantammo a tutto seminario la Messa di Refice a quattro voci dispari con la direzione di don Montorio e al pomeriggio il Messia di Haendel diretto da Mons. Turrini. Come seminaristi eravamo 630 e dopo il pranzo, avendo la patente, con la seicento, tenendo la parte di dolce per la Nina con il braccio fuori dal finestrino, riportai a casa Mons. Ongaro: ti raccomando di raccontare tutto alla Nina e di dire che la donazione otterrà tante benedizioni anche per i nostri genitori defunti!
Perché qui dalla Casa del Clero di Negrar il ricordo di questi aspetti esterni? Per rivivere tutta una fede di noi allora, di tutta la diocesi! Dal 1959 al 1960, l’ultimo anno di teologia, noi dodici del primo quinto anno fummo ospitati in un’unica camera. Al Seminario di San Massimo diventarono di casa aspiranti, adolescenti pre-ju, soprattutto giovani della GIAC. Non mancarono i loro genitori e ricordo l’intervento di una mamma: Sono felice per questi incontri. Io sono mamma di due chierici. Che ragazzi, adolescenti, giovani vedano la vocazione, la prospettiva di vita in un amore verginale nel celibato e di un lavoro pastorale gratuito aiuta ad essere liberi di fronte al matrimonio e al guadagno e quindi ad amare, perché senza libertà, sentendosi costretti al matrimonio e al lavoro interessato, non c’è amore. E così per i seminaristi e per i chierici.
Non possiamo oggi vivere di nostalgia dei tempi dell’Azione cattolica giovanile di allora. Forse, in questo secolarismo, stiamo diventando un “piccolo gregge” anche per la diminuzione drammatica delle nascite. Ma queste parole di Gesù non sono intese in senso sociologico e non hanno nulla a che fare con i numeri piccoli o grandi. Dio “desidera che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della Verità (1 Tm 2,4), con l’aiuto dell’unico mediatore Gesù Cristo che solo attraverso i preti agisce in sua persona nel sacramento della Penitenza e dell’Eucarestia, all’interno di tutta “la famiglia di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente (presente e operante sacramentalmente), pilastro e baluardo della Verità” (cioè di Gesù Cristo) (1 Tm 3,15). Anche oggi la pastorale dei ragazzi e dei giovani non può far a meno di andare ospite del Seminario Minore e Maggiore sia per chi si sposa e per il lavoro a guadagno e sia per chi punta al sacerdozio. La libertà in ogni scelta vocazionale ha bisogno dell’alternativa per essere libero cioè per amare ed essere felice cento volte tanto già in questa vita.
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