Spuntano finalmente gli ambientalisti pentiti
L’ideologia alla base dell’allarmismo sull’ambiente, il maltusianesimo, è stata ripetutamente sfatata per 200 anni, eppure è ancora più potente che mai, benché messa alla prova dall’emergenza Coronavirus. Come mai? Sarebbero queste le vere domande, cui trovare risposta…
Mauro Faverzani in “Corrispondenza Romana” 22 luglio 2020
Altro che “riscaldamento globale”! Al Polo Sud c’è più ghiaccio marino oggi di 40 anni fa, per estensione e per concentrazione. A rivelarlo, è stato il C3S-Copernicus Climate Change Service, raffrontando i dati rilevati nel giugno 2020 a quelli raccolti nel giugno 1980: in Antartide, infatti, lo scorso mese il ghiaccio marino ha raggiunto un’estensione media di 13,2 milioni di chilometri quadrati contro i 12,5 milioni del giugno 1980; estensione peraltro superiore anche a quella rilevata negli ultimi tre anni. Pure la concentrazione del ghiaccio marino è stata di 10,6 milioni di chilometri quadrati nel giugno 2020 contro i 9,6 milioni del giugno 1980. Cifre, queste, che parlano da sole, come evidenziato dall’NSIDC-National Snow & Ice Data Center.
Ciò consente di fotografare la situazione meglio di quanto preteso dalla grancassa mediatica: nei giorni scorsi, infatti, è stato dato grande risalto ad uno studio relativo all’aumento della temperatura al Polo Sud, senza osservare però come in esso si precisi che il contributo antropico non ne stato è un fattore rilevante. L’incremento cioè si sarebbe verificato in ogni caso e per cause naturali, anche senza ricorrere al cosiddetto «global warming». Ma tant’è: l’ideologia ambientalista non dà tregua. Anche se qualche crepa comincia ad esserci. E c’è chi, ad un certo punto, dà retta più alla propria coscienza che al coro. Ad esempio, Michael Shellenberger, presidente di Environmental Progress, organizzazione militante nell’ambito dell’energia pulita, ambientalista della prima ora, proclamato peraltro «Eroe dell’Ambiente» dalla rivista Time nel 2008. È significativo che proprio lui, con un simile curriculum, ora abbia chiesto scusa per l’allarmismo climatico creato negli ultimi trent’anni.
In un lungo articolo, apparso sulla rivista della sua associazione, Shellenberger ha precisato: «Come esperto, cui è stato chiesto dal Congresso di fornire una testimonianza obiettiva, invitato dall’Ipcc-Intergovernmental Panel on Climate Change a fare da revisore del suo prossimo rapporto di valutazione, sento l’obbligo di scusarmi per come noi ambientalisti abbiamo fuorviato il pubblico». In particolare, ha esplicitamente negato che l’uomo stia causando una sesta estinzione di massa; che l’Amazzonia sia il polmone del mondo; che i cambiamenti climatici siano la causa dei peggiori disastri naturali. E contemporaneamente ha ammesso che le emissioni di anidride carbonica siano in calo nella maggior parte delle nazioni ricche; che la perdita di habitat e l’uccisione diretta degli animali selvaggi rappresenti una minaccia molto più dei grandi cambiamenti climatici; che i combustibili legnosi siano ben peggiori di quelli fossili; che dal 2003 si sia registrata una riduzione degli incendi pari al 25%; che la causa di quelli avvenuti in Australia ed in California sia da ricercarsi per lo più nell’accumulo di combustibili legnosi e nella crescente presenza di abitazioni vicino alle foreste, non nei cambiamenti climatici; che per prevenire le future pandemie serva più agricoltura industriale e non meno.
«So come questi fatti suonino come “negazionismo climatico” per molti – ha detto Shellenberger – ma dimostrano solo il potere dell’allarmismo sul clima»; in realtà, tali dati «provengono dai migliori studi scientifici disponibili, inclusi quelli condotti o accettati dai principali organismi scientifici» internazionali.
Determinante la “confessione” fatta pubblicamente da Shellenberger: «Fino allo scorso anno ho principalmente evitato di parlare contro l’allarmismo climatico. In parte perché ero imbarazzato. Dopo tutto, sono colpevole di allarmismo come qualsiasi altro ambientalista. Ma soprattutto avevo paura. Sono rimasto in silenzio sulla campagna di disinformazione sul clima, perché avevo paura di perdere amici e finanziamenti. Le poche volte, che ho trovato il coraggio di difendere la climatologia da coloro che la distorcono, ho subìto dure conseguenze. Quindi ho aspettato e non ho fatto quasi nulla, mentre i colleghi ambientalisti terrorizzavano il pubblico».
Una campagna di disinformazione, quella in atto, da lui definita sostanzialmente «fuori controllo», a giudicare almeno da quanto avvenuto l’anno scorso. Ciò lo ha spinto, in coscienza, a rinnovare le sue scuse formali nel libro Apocalypse Never. Why Environmental Alarmism Hurts Us All ovvero «Mai l’Apocalisse: perché l’allarmismo ambientale fa male a tutti noi». Nel libro, fondato su quanto visto e vissuto in vent’anni di ricerca e trenta di militanza, Shellenberger ha evidenziato, tra l’altro, come «le industrie e l’agricoltura moderna siano le chiavi per la liberazione umana ed il progresso ambientale», per ridurre l’inquinamento e le emissioni di carbonio si debba passare «dal legno al carbone al gas naturale all’uranio», l’impatto del vegetarianismo nella riduzione delle emissioni di una persona sia «di meno del 4%». Non solo. Shellenberger ha rivolto anche accuse pesanti e sulle quali sarebbe bene riflettere. Ha detto, ad esempio, che «il dogmatismo di Greenpeace ha peggiorato la frammentazione delle foreste dell’Amazzonia», mentre «gruppi motivati da convinzioni anti-umaniste hanno costretto la Banca Mondiale a smettere di porre fine alla povertà ed a renderla invece “sostenibile”. Il clima d’ansia, depressione e ostilità alla civiltà moderna sono alla base di gran parte dell’allarmismo. L’ideologia alla base dell’allarmismo sull’ambiente, il maltusianesimo, è stata ripetutamente sfatata per 200 anni, eppure è ancora più potente che mai», benché messa alla prova dall’emergenza Coronavirus. Come mai? A chi giova? Sarebbero queste le vere domande, cui trovare rispost
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