Nella pastorale svolta cristocentrica come medicina per il nostro tempo

“Il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno in un ministero essenziale che si muove dall’altare al confessionale; con una intimità con il Signore Gesù vissuta in primis dal sacerdote e comunicata per osmosi spirituale a tutti i fedeli; con una chiarezza della missione: conversione propria e delle anime” (Benedetto XVI)

Luisella Scrosati in “La Nuova Bussola”, 24/7/2020
La recente Istruzione della Congregazione per il Clero è stata lanciata dai media come una rivoluzione nella Chiesa cattolica. L’enfasi mediatica è stata portata, in particolare, sui paragrafi che semplicemente ricordano che in casi eccezionali, ove vi sia l’effettiva mancanza di sacerdoti e diaconi, un laico debitamente preparato può guidare le esequie e assistere ai matrimoni. È stato giustamente fatto notare (vedi qui) che non di apertura si tratta, ma semmai di un chiarimento per evitare abusi in materia.
Una lettura complessiva dell’Istruzione non può tuttavia non suscitare qualche perplessità, almeno a chi scrive. Il titolo - La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa - è effettivamente evocativo del contenuto: ancora una volta stiamo a parlare di “svolte pastorali” per rilanciare l’evangelizzazione. È da più di cinquant’anni che a furia di svolte e conversioni pastorali abbiamo perso l’orientamento e forse sarebbe il caso di ritrovare la stella polare di una vera evangelizzazione e di orientare la rotta secondo questo riferimento immutabile. Se non altro, per l’evidenza del fallimento di un certo orientamento “pastoralista”.
L’Istruzione parla soprattutto di parroci e parrocchie, di vicari foranei e unità pastorali; impossibile non pensare, per contrasto, che esattamente dieci anni fa si concludeva l’Anno sacerdotale (2009-2010), indetto da Benedetto XVI e che poneva come modello per i sacerdoti in cura d’anime il Santo Curato d’Ars. Allora, papa Benedetto proponeva una svolta cristocentrica come medicina per il nostro tempo. La vita di san Giovanni Maria Vianney altro non è stata che un immergersi in Cristo sacerdote, partecipando con la mortificazione al suo atto redentivo, per la salvezza delle anime della parrocchia a lui affidata; e molte altre giunsero a lui da tutta la Francia, senza alcuna particolare “iniziativa pastorale” per chiamarle.
La ricetta di Benedetto XVI per i parroci e le parrocchie, richiamando questo grande santo dell’Ottocento, prevedeva gli ingredienti di una forte identità sacerdotale, che si forgia nella frequente e perdurante adorazione del Santissimo Sacramento; di un ministero essenziale, che si muove dall’altare al confessionale; di un’intimità con il Signore Gesù, vissuta in primis dal sacerdote e comunicata per osmosi spirituale a tutti i fedeli; di una chiarezza della missione: la conversione propria e delle anime.
Durante l’Udienza generale del 5 agosto 2009, Benedetto XVI prescriveva la medicina per il nostro tempo: «L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars è che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore».
Da sempre la Chiesa ha ben chiaro che la vocazione primaria di chi è chiamato al ministero episcopale e sacerdotale è quella di vivere in una particolare intimità con il Signore, ponendo così le condizioni per essere dissetati dalla grazia che emana da Lui e nel contempo segnati dal desiderio di anime che asseta il Suo Cuore. «Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 14-15); si tratta di un ordine metafisico: solo rimanendo con Lui è possibile predicare la Parola e scacciare il nemico dell’uomo.
Questo “stare” con Lui venne vissuto letteralmente da san Giovanni Maria Vianney, come ricorda ancora Benedetto XVI, «decidendo di “abitare” perfino materialmente nella sua chiesa parrocchiale: “Appena arrivato egli scelse la chiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell’aurora e non ne usciva che dopo l’Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui”, si legge nella prima biografia».
Quando ritroveremo il coraggio di chiedere ai parroci di non uscire quasi mai dalla propria chiesa e ancor meno dalla parrocchia, allora forse ritroveremo il vero senso della pastorale; e soprattutto vivremo una nuova primavera di vocazioni sacerdotali. Perché la vocazione principale del sacerdote è stare con il Signore, predicare, scacciare i demoni. Questo secondo la Parola di Dio, che rimane in eterno.
L’Istruzione appare tanto preoccupata di spingere ad una conversione missionaria, di trovare nuove forme adatte ai tempi moderni sempre più digitalizzati, di portare ad un non ben chiaro rinnovamento, ma dimentica di indicare quale sia - per richiamare il titolo di un classico della spiritualità - l’anima di ogni apostolato.
Si potrebbe pensare che «i metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato?», si chiedeva papa Benedetto. Eppure, «se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare […]. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu “innamorato” di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio».
È questa la svolta di cui abbiamo immensamente bisogno.
Luisella Scrosati

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