Comunione sulla mano una disobbedienza legittimata

Di comunione sulla mano non si parla né al Concilio né nella riforma liturgica. Si radica nel post Concilio ad opera di diocesi ribelli del Nord Europa. Paolo VI cercò di arginarla con l’Istituzione Memoriale Domini, che nasce per proibirla e concedere un indulto solamente alle diocesi ribelli nel caso in cui non fossero riuscite ad arginare l’abuso. Nel primo anniversario della sua morte, la Bussola ricorda Juan Rodolfo Laise, il vescovo che scrisse la verità sulla comunione in mano e si oppose nella sua diocesi a questa pratica contraria alla legge universale della Chiesa.

Nicola Bux in “La Nuova Bussola” 28 luglio 2020
Fino al 26 aprile del 1996, l’episcopato argentino fu uno dei pochi al mondo a continuare nel rifiuto della pratica, introdotta alla fine degli anni ’60 in aperta opposizione alla volontà di Paolo VI, di distribuire ai fedeli la Santa Comunione sulla mano. Proprio quel giorno, nell'Assemblea della Conferenza Episcopale Argentina si ottennero abbastanza voti per poter chiedere a Roma l’indulto che avrebbe consentito l'introduzione di questa pratica contraria alla legge universale della Chiesa. 
Roma concesse immediatamente questo indulto, ma “ad normam” dell’“Istruzione sul modo di amministrare la Santa Comunione, Memoriale Domini”, in cui si stabiliva chiaramente che il divieto di dare la comunione sulla mano doveva essere universalmente preservato, ma che, lì (e soltanto lì) dove l'uso era già stato introdotto in modo abusivo e aveva messo radici tali che i vescovi della conferenza episcopale locale consideravano che non c'era altra scelta che tollerarla, «Il Santo Padre [...] concede che, sul territorio della Conferenza Episcopale, ciascun vescovo, secondo la sua prudenza e la sua coscienza, possa autorizzare nella propria diocesi l’introduzione del nuovo rito per distribuire la Comunione».
L'allora vescovo di San Luis (Argentina) Juan Rodolfo Laise giudicò secondo sua prudenza e coscienza che queste circostanze non si verificavano nella sua diocesi, quindi non ritenne opportuno avvalersi di questo indulto. Questa decisione fu immediatamente interpretata da molti come una rottura dell'unità dell'episcopato e persino come una "ribellione" contro una disposizione liturgica da lì in poi in vigore. Il vescovo di San Luis si consultò con i vari dicasteri Romani competenti che approvarono all'unanimità la sua decisione.
Il 22 luglio ricorreva il primo anniversario della scomparsa di mons. Rodolfo Laise (in una foto recente col cardibnale Sarah) che, una volta divenuto emerito, tornò alla vita conventuale del suo Ordine - i Cappuccini - e dal 2001 si ritirò nel convento di San Giovanni Rotondo (dove visse e adesso è venerato San Pio, verso cui il vescovo argentino aveva grande devozione). Lì mons. Laise esercitò il suo ministero confessando i pellegrini ogni giorno per quasi vent’anni, fino a pochi mesi prima della sua dipartita a 93 anni.
Ci sono tanti aspetti della sua figura, come religioso, sacerdote e vescovo, che si potrebbero evocare, ma ci concentriamo sul libro, da lui pubblicato per spiegare la sua posizione nella vicenda che abbiamo menzionato sopra, libro che, per sua richiesta, ho avuto l’onore di presentare in occasione del lancio dell’edizione italiana (Comunione sulla mano, Documenti e storia. Cantagalli, Siena 2016) in un atto svoltosi nell’Aula Magna dell’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. È stato probabilmente il primo libro specifico mai pubblicato sul tema della Comunione sulla mano. In esso, il presule argentino approfondisce gli aspetti storici, canonici e teologici di tale modalità di ricevere la Comunione, e la sua influenza sulla devozione e sulla vita spirituale dei fedeli.
Il libro è strutturato a modo di commento dettagliato (paragrafo per paragrafo) dei documenti in cui è espressa l'attuale legislazione sul modo di ricevere la Comunione, a cui è stata aggiunta un'appendice con aspetti storici che ci collocano nel contesto in cui nacquero quei documenti. Tutto questo ci permette di capire la "mens legislatoris", cioè, l’intenzione del legislatore (Paolo VI in questo caso), il che è un elemento chiave per interpretare la legge.
Infine, e dopo aver risposto ai principali argomenti invocati per giustificare la prassi della Comunione sulla mano, lo studio si conclude con una riflessione sull’applicazione concreta degli elementi esposti lungo le pagine del libro.
Di seguito vedremo il più importante di questi elementi, che in molti casi sono verità dimenticate che contrastano con alcune idee ricevute.
Qualcuno potrebbe sorprendersi, ad esempio, leggendo questo libro, nell’apprendere che questa forma di comunicarsi non venne discussa né tanto meno menzionata nel Concilio Vaticano II e che non fece parte nemmeno della successiva riforma liturgica. In effetti, questo uso, contrario alle norme, fu introdotto senza autorizzazione in alcune regioni una volta concluso il Concilio, a metà degli anni '60, e sebbene Papa Paolo VI (foto) avesse immediatamente comunicato (già nel 1965) a quei vescovi, che avrebbero dovuto tornare immediatamente all’unico uso legale, cioè in bocca, questo e altri richiami dell’autorità suprema non ebbero alcun effetto. 
Poiché la resistenza a queste direttive si dimostrò tenace, nel 1968 si iniziò a considerare la possibilità di concedere un indulto specifico per quei luoghi dove non erano disposti a obbedire, sebbene si vedesse che questo uso era in pratica “molto discutibile e pericoloso” e si sapesse che, nel caso in cui si fosse sbagliato il modo di affrontare la questione, c'era “il pericolo di affievolire la fede del popolo nella presenza eucaristica”. Fu così che Paolo VI che, secondo le sue stesse parole, non poteva «esimersi dal considerare l’eventuale innovazione con ovvia apprensione», fece una consultazione “sub secreto” dell’episcopato mondiale su come affrontare la disobbedienza. Il risultato della consultazione fu che una larga maggioranza dei vescovi valutava come pericoloso qualsiasi tipo di concessione. 
Di conseguenza il Papa ordinò alla Sacra Congregazione per il Culto Divino di preparare un progetto di documento pontificio, col quale confermare “il pensiero della S. Sede circa la inopportunità della somministrazione della S. Comunione sulla mano dei fedeli, indicandone le ragioni (dottrinali, liturgiche, pastorali, ecc.)”. Fu così che il 29 maggio 1969 la Congregazione per il Culto Divino pubblicò l’istruzione Memoriale Domini, contenente la legislazione tuttora in vigore e che si potrebbe sintetizzare in questa maniera: la proibizione della comunione sulla mano rimane vigente in modo universale e si esortano vivamente vescovi, sacerdoti e fedeli a sottomettersi diligentemente a questa legge nuovamente ribadita. 
Tuttavia, dove questo uso introdotto in maniera illecita si fosse radicato, l’Istruzione prevedeva la possibilità di concedere un indulto per quei settori che non fossero stati disposti a ubbidire a questa esortazione papale di rispettare la legge universale. In quei casi, «per aiutare le conferenze episcopali ad adempiere il proprio compito pastorale, nelle odierne circostanze, più scabrose che mai», il Papa dispose che le rispettive conferenze (con la condizione di avere ottenuto l’approvazione dei due terzi dei suoi membri) avrebbero potuto chiedere un indulto a Roma affinché, ogni vescovo di quella conferenza, secondo prudenza e coscienza, potesse permettere la pratica della Comunione sulla mano nella sua diocesi.

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