Don Massimo: SANTITA' E VIRTU'
Sanctitas vero illis rebus attribuitur, quae in Deum ordinantur
A quelle cose che sono ordinate a Dio viene attribuita la santità (I, q. 36, a. 1)
Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da poter affermare con san Paolo "non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con loro, "ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio" (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 50).
Alla vita cristiana si possono assegnare due fini: un fine ultimo o assoluto e un fine prossimo o relativo. Il primo è la gloria di Dio, il secondo la nostra santificazione.
La santificazione della nostra anima non è il fine ultimo della vita cristiana. Sopra di essa sta la gloria della Santissima Trinità, termine assoluto di tutto quanto esiste. Questa verità, tanto è evidente per coloro che ammettono la trascendenza divina, in pratica non appare dominante nella vita dei santi se non molto tardi, quando la loro anima si è consumata d'amore nell'unità di Dio.
Soltanto al vertice dell'unione trasformante, identificati pienamente con Dio, i loro pensieri e i loro desideri procedono all'unisono con il pensiero è il volere di Dio; uniche eccezioni Cristo e Maria i quali dal primo istante della loro esistenza hanno realizzato con perfezione quel programma di glorificazione divina che è il termine nel quale si risolve ogni processo di santificazione su questa terra.
Nulla quindi deve preoccupare tanto un'anima che aspira alla santità quanto il costante oblio di sé e la sicura ricerca della gloria di Dio.
Dopo la glorificazione di Dio e ad essa del tutto subordinata, la vita cristiana si propone la santificazione della nostra anima; il Battesimo, porta d'ingresso alla vita eterna, pone nelle nostre anime una semente di Dio: la grazia santificante, questo germe divino, è destinato a svilupparsi pienamente, a produrre la santità. Tutti siamo chiamati a raggiungerla, benché in gradi diversi, secondo la misura della nostra predestinazione in Cristo.
In che cosa consiste propriamente la santità? Che cosa significa essere santi? Qual è il suo costitutivo intimo ed essenziale?
Risposte più comuni sono tre: 1) la santità consiste nella configurazione a Cristo, 2) nell'unione con Dio mediante l'amore e 3) nella perfetta conformità alla volontà di Dio
La configurazione a Cristo è lo scopo di tutta la nostra vita cristiana ordinata alla propria santificazione e alla gloria di Dio, termine ultimo e assoluto della creazione nel piano attuale della divina provvidenza non possiamo santificarci né glorificare Dio se non per mezzo di Gesù Cristo e in lui.
Non saremo santi se non nella misura in cui viviamo la vita di Cristo o meglio ancora nella misura in cui Cristo vive la sua vita in noi. Il processo di santificazione un processo di cristificazione. Il cristiano deve diventare un altro Cristo: Cristianus alter Christus.
Vi è una analogia perfetta tra il nostro organismo naturale e quello soprannaturale. Nel primo la nostra anima non tende immediatamente all'azione in virtù della sua essenza, ma si vale, per operare, delle sue potenze o facoltà, l'intelletto e la volontà, che emanano da esse come dalla loro propria radice.
Qualcosa di simile avviene nel nostro organismo soprannaturale. La grazia santificante che costituisce l'essenza di tale organismo non dice direttamente attività, non è un elemento dinamico, ma statico; non ci viene data in ordine all'agire ma all'essere.
L'esistenza e la necessità delle virtù infuse nasce dalla natura stessa della grazia santificante semente di Dio, la grazia è un germe che per sua natura postula una crescita è uno sviluppo fino a raggiungere la perfezione però, siccome la grazia non è ordinata immediatamente all'operazione ne segue che di per sé richiede alcuni principi immediati di operazione derivanti dalla sua essenza e da essa inseparabili [es. il cuore].
Assolutamente parlando, Dio potrebbe elevare le nostre operazioni all'ordine soprannaturale mediante grazie attuali continue.
Ma si avrebbe allora una violenza nella psicologia umana a motivo della enorme sproporzione che si verrebbe a creare tra la semplice potenza naturale e l'atto soprannaturale da realizzare. Violenza che non si può conciliare con la soavità della Provvidenza divina la quale muove ogni essere conforme alla propria natura di qui la necessità di certi principi operativi soprannaturali mediante i quali è dato all'uomo di tendere al fine soprannaturale in modo del tutto connaturale con soavità e senza violenza.
Le virtù infuse sono abiti operativi da Dio infusi nelle potenze dell'anima per disporle ad operare secondo il dettame della ragione illuminata dalla fede. Dobbiamo tener presente che le virtù infuse hanno il compito di perfezionare le potenze naturali elevandole all'ordine soprannaturale.
Di conseguenza l'atto virtuoso soprannaturale sarà dato dall'unione della potenza naturale e dalla virtù infusa che viene a perfezionarla in quanto atto vitale alla sua potenza radicale nella facoltà naturale che la virtù infusa viene a completare essenzialmente dandole la potenza per l'atto soprannaturale.
L'atto soprannaturale integralmente considerato deriva quindi dalla potenza naturale informata dalle virtù infuse o dalla potenza naturale elevata all'ordine soprannaturale. La potenza radicale è l'intelletto o la volontà e il principio formale prossimo è la virtù infusa corrispondente.
Le virtù infuse hanno alcune caratteristiche:
-accompagnano sempre la grazia santificante e sono infuse con essa.
-Si distinguono realmente dalla grazia santificante: basta ricordare che la grazia è un abito attivo che risiede nell'essenza dell'anima e che le virtù sono abiti operativi che hanno come proprio soggetto le potenze distinte realmente dall'anima.
-Si distinguono specificatamente dalle corrispondenti virtù acquisite.
-Sono possedute in modo imperfetto.
-Aumentano con la grazia.
-Ci conferiscono la potenza intrinseca per compiere gli atti soprannaturali, non la facilità estrinseca. Questo spiega perché il peccatore pentito prova gravi difficoltà nella pratica delle virtù che maggiormente si oppongono ai suoi antichi difetti affinché tali difficoltà scompaiano è necessario che le virtù infuse siano aiutate dalle acquisite non ad estrinseco perché l'abito naturale delle virtù acquisite è assolutamente incapace di perfezionare intrinsecamente l'abito soprannaturale delle virtù infuse ma ad estrinseco rimuovendo gli ostacoli: le inclinazioni perverse e la concupiscenza disordinata. Allontanate le difficoltà anche le virtù infuse incominciano ad operare in modo pronto.
-Ad eccezione della Fede della Speranza vengono meno con il peccato mortale. Queste virtù costituiscono altrettante proprietà della grazia santificante; quando si distrugge o scompare la grazia necessariamente scompaiono anche esse.
-Non possono diminuire direttamente. Tale diminuzione sarebbe dovuta o al peccato veniale o al mancato compimento degli atti della virtù corrispondente giacché il peccato mortale non le fa diminuire ma le distrugge.
Ora non possono diminuire per il peccato veniale perché questo è soltanto una deviazione dal retto cammino che conduce a Dio e non sopprime la tendenza all'ultimo fine soprannaturale proprio delle virtù infuse.
La divisione delle virtù infuse è analoga a quella degli abiti naturali. Alcune ordinano le potenze al fine altro il dispongono in relazione i mezzi. Il primo aspetto specifica le virtù teologali e secondo le morali quelle compiono nell'ordine della grazia le funzioni che i principi naturali operano nell'ordine della natura dispongono l'uomo al fine; queste corrispondono alle virtù acquisite che lo perfezionano in relazione ai mezzi.
Le virtù teologali
L'esistenza delle virtù teologali è chiaramente affermata dalla Sacra Scrittura. "Nunc autem manent fides, spes, caritas, tria haec; maior autem est caritas" (1Cor 13,13)
Le virtù teologali sono principi operativi mediante i quali ordiniamo noi stesso in modo diretto e immediato a Dio come fine ultimo soprannaturale.
Hanno Dio per oggetto materiale e uno degli attributi divini per oggetto formale in quanto strettamente soprannaturali; soltanto Dio può infonderla nell'anima e la loro esistenza può essere riconosciuta unicamente per rivelazione. Le virtù teologali sono tre: la fede, la speranza, la carità.
Il numero ternario è necessario perché si possa realizzare in modo perfetto quella immediata unione con Dio richiesta dalla natura di tali virtù. La fede ce lo dà a conoscere e ci unisce a lui come prima verità; la speranza ce lo fa desiderare come il nostro sommo bene; la carità ci unisce a lui con amore di amicizia in quanto infinitamente amabile in se stesso.
Le virtù morali infuse.
Il libro della Sapienza afferma che non c'è nulla di più utile nella vita dell'uomo che la temperanza, la prudenza, la giustizia e la fortezza.
Le virtù morali infuse sono abiti che dispongono le potenze dell'uomo a seguire il dettame della ragione illuminata dalla fede per quel che concerne i mezzi che conducono al fine soprannaturale. Non hanno come oggetto immediato Dio e in questo si differenziano dalle teologali ma il bene onesto; ordinano rettamente gli atti umani al fine ultimo soprannaturale e in questo si distinguono dalle corrispondenti virtù acquisite.
San Tommaso stabilisce un fondamentale principio di distinzione: ubi in actu hominis invenitur specialis ratio bonitatis, necesse est quod ad hoc disponatur homo per specialem virtutem (là dove nell'agire umano si riscontra un aspetto specifico di bontà, è necessario che l'uomo vi sia orientato è disposto da una virtù speciale ( II-II 109 a. 2).
Le virtù morali sono tante quanto sono le specie di oggetti onesti che si possono presentare alle potenze appetitive come mezzi convenienti al fine soprannaturale. San Tommaso nella Summa ne studia più di 50 e forse non ha inteso farcene una enumerazione completa.
Fin dalla più remota antichità è invalsa l'abitudine di ridurre tutte le virtù morali alle quattro principali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
Tra queste virtù vi sono le cosiddette LE VIRTÙ CARDINALI.
Il nome di cardinali deriva dal latino cardo cardinis, il cardine della porta; perché effettivamente su di esse, come su dei cardini, poggia e si svolge tutta la vita morale umana.
San Tommaso insegna che tali virtù meritano l'appellativo di cardinali per due motivi:
meno propriamente perché costituiscono le condizioni generali necessarie ad ogni virtù infatti in tutte deve risplendere la prudenza, la giustizia, la fortezza è la temperanza;
più propriamente Melius perché riguardano materie speciali nelle quali risplende principalmente la materia generale di una determinata virtù.
Abbiamo visto che è il punto centrale del cristianesimo è la divinizzazione dell'uomo, e la divinizzazione dell'uomo è opera della grazia santificante, ogni discorso non può avere come punto nodale che il trattato De Gratia e tutti gli altri trattati fanno riferimento a questo punto.
Tale affermazione nella teologia la troviamo nella questione 112 della I-II. Nel trattato dell'Incarnazione si dice che Dio s'incarna per la santificazione dell'uomo, dunque è in funzione della divinizzazione dell'uomo, dunque della grazia.
Nel trattato De Deo Trino si legge: se l'essenza del cristianesimo è che conosciamo Dio in se stesso, Questi si conosce quando l'anima è nella grazia.
Dire divinizzazione, santificazione giustificazione, sono sinonimi e implica una modificazione nell'uomo se questa modificazione è reale, dovrà avere degli effetti reali. Questi effetti implicati dalla divinizzazione operata dalla grazia vengono descritti nel trattato relativo alla vita mistica perciò parliamo della grazia e della vita mistica e di conseguenza della santità.
Se la teologia sistematica ha come centro il trattato De Gratia e se la grazia secondo la sua natura di partecipazione della vita di Dio cioè la divinizzazione dell'uomo modifica realmente l'uomo e questo si esprime nella vita mistica anche la riflessione teologica non solo sulla grazia ma su tutti gli aspetti della vita cristiana devono essere ispezionati secondo un'ottica mistica.
Non esiste teologia speculativa che non sia al contempo mistica.
L'essenza del cristianesimo è Cristo! lo stesso annuncio ha per soggetto Cristo: ma che cosa annuncia Cristo? L'essenza del cristianesimo è la partecipazione dell'uomo alla vita di Dio cioè alla divinizzazione dell'uomo per mezzo di Cristo, dei suoi sacramenti; allora l'essenza del cristianesimo è Cristo che è l'essenza stessa dell'annuncio: il cosiddetto Kerigma che richiama l'annuncio di Cristo e riguarda Cristo.
In s. Tommaso una religione indica una virtù naturale ed è una parte potenziale della virtù cardinale della giustizia. La giustizia è quell'habitus virtuoso che dispone la volontà a dare a ciascuno il suo. Se l'atto principale della giustizia è la restituzione, l'habitus virtuoso della giustizia dispone la volontà a restituire il bene ricevuto o l'equivalente del bene ricevuto.
S. Tommaso dice che la virtù di giustizia nel momento in cui restituisce a Dio ciò che da Dio abbiamo ricevuto si chiama religione.
Che cosa dobbiamo restituire a Dio per l'entità creaturale? La religione è ciò che dobbiamo restituire in quanto è virtù di giustizia con la quale rendiamo a Dio il culto che gli è dovuto: perché il culto è l'insieme dei simboli che significano la nostra creatura in quanto restituita al nostro creatore, non possiamo restituirla realmente la restituiamo simbolicamente.
Concludendo l'essenza del cristianesimo è la vita divina partecipata all'uomo.
A questo punto potremmo dire che se la vita mistica è l'esperienza della partecipazione della vita divina da parte dell'uomo le condizioni di possibilità da parte dell'uomo di questa esperienza non sono condizioni propriamente umane ma divine.
Quindi il fondamento di questa esperienza dalla parte dell'uomo non è l'uomo ma già il divino. Detto in termini più elementari se la divinizzazione da parte dell'uomo consiste nel fatto che la vita divina viene partecipata l'uomo, se la vita divina è la vita dell'assoluto, per essere resa partecipe all'uomo occorre che nell'uomo ci sia una recettività assoluta perché altrimenti non può ricevere la vita divina.
Ma se nell'uomo c'è una recettività assoluta e solo Dio è assoluto questa recettività ex parte hominis è già divina quindi l'uomo può ricevere Dio soltanto se è già Dio allora quello che esprime la vita mistica non è una novità sostanziale ma è una semplice modalità.
Questa modalità noi la chiamiamo la santità. Questo termine significa purezza, inviolabilità, appartenenza al sacro. (I, 36, a.1 "Il termine santità, spiega s. Tommaso, implica due cose:
-prima di tutto purezza e a questo significato accenna il termine greco infatti aghios significa senza terra;
-in secondo luogo implica stabilità firmitatem; infatti presso gli antichi si denominavano Sante le norme difese dalla legge così da non potersi violare; è una cosa si dice sancita per il fatto che è stabilita dalla legge. Anche presso i latini perciò il termine santo può ridursi a indicare purezza: interpretando Santo come spruzzato di sangue, poiché come scrive sant'Isidoro nelle etimologie in antico coloro che volevano purificarsi venivano spruzzati col sangue delle vittime.
Entrambi i significati permettono di attribuire la santità a quanto si applica il culto di Dio: così che non soltanto le persone ma anche il tempio, le suppellettili e ogni altra cosa del genere sono santificati per il fatto che vengono adibiti al culto di Dio".
Come risulta dal testo appena citato s. Tommaso ha della santità un concetto diverso da quello che abbiamo noi oggi. Per noi la santità è anzitutto e soprattutto una proprietà di Dio invece per l'Aquinate non dà mai a Dio il nome di Santo, e la ragione è molto semplice: mentre noi diamo alla santità un significato eminentemente ontologico, per cui Dio è santo anzitutto nel suo stesso essere, s. Tommaso dalla santità un senso esclusivamente morale. Per s. Tommaso la santità è essenzialmente una virtù è la virtù specificata dell'uomo religioso: è la disposizione con la quale l'anima umana applica Dio sé stessa e i propri atti.
È virtù strettamente legata alla religione la quale a sua volta viene intesa da s. Tommaso non come insieme di riti e miti con cui l'uomo si collega Dio, bensì come virtù morale: quella parte della giustizia per cui si dà a Dio ciò che egli è dovuto. La santità non differisce dalla religione in maniera essenziale ma per una distinzione di ragione.
Infatti si parla di religione per gli atti che si riferiscono al servizio di Dio, specialmente per quelli attinenti al culto, come sacrifici, offerte e altre cose del genere: si parla invece di santità non solo per codeste cose ma per tutti gli atti delle altre virtù che l'uomo riferisce a Dio o per quelle opere buone con le quali si dispone al culto di Dio.
La santità è una virtù che Gesù Cristo possiede in sommo grado: la Chiesa in modo indefettibile e in modo defettibile i fedeli. Questi perdono la santità cadendo in peccato mortale. Per contro crescono nelle virtù della santità con la penitenza la devozione e la pietà.
L'uomo avrebbe potuto amare Dio sopra tutte le cose nello stato di natura integra non ancora cioè corrotta e nemmeno elevata all'ordine soprannaturale perché ciò che era naturale a lui come anche a tutte le cose che tendono all'ultimo fine; abbisognava soltanto della grazia movente ma per far ciò nello stato di natura corrotta l'uomo anzitutto ha bisogno della grazia Sanante: poteva l'uomo osservare tutti i comandamenti senza la grazia prima del peccato, ma non può farlo dopo il peccato senza la grazia Sanante.
Lo stato necessario per disporsi a fare buone opere e meritare con questi Dio è la grazia santificante ma per disporsi ad acquistarla è necessaria una grazia di Dio che ispiri il buon proposito perché ciò che per primo muove la volontà e il fine e quindi il fine supera le forze naturali: occorre perciò una mozione speciale.
Altrettanto la grazia necessaria per risorgere da un peccato commesso e ciò tanto più dal momento che Dio deve ridare la grazia santificante, raddrizzare la volontà e rimettere la pena eterna per riparare i danni del peccato.
È nella quaestio 110 che il dottore Angelico ci dice in che cosa consiste la grazia: Quando Dio non per l'amore per cui ama tutte le cose ma per un amore speciale, eleva una creatura razionale sopra la sua condizione a partecipare del bene divino da ad essa la grazia santificante e questa conferisce all'uomo uno stato nuovo.
La grazia santificante, cioè questa abituale disposizione a conseguire il bene soprannaturale è una qualità dell'anima. Questa qualità o lume di grazia e distinta dalle virtù infuse che sono da quel lume derivate e adesso indirizzate. Venendo prima delle virtù, che appartengono alle potenze la grazia appartiene all'essenza dell'anima, che dalle potenze è principio.
La grazia a sua volta si distingue in grazia che fa l'uomo gradito a Dio ed è la grazia santificante e grazia gratuitamente data che sono i doni che superano le facoltà i meriti della nostra persona e ci fanno cooperatori della salvezza altrui ad esempio il dono dei miracoli.
La volontà umana non può muoversi al bene se non riceve il moto da Dio ed ecco allora la grazia operante; già mossa al bene non può, comandando le facoltà, compierlo se Dio non sorregge la volontà e le facoltà ed ecco la grazia cooperante.
La grazia per ragione degli effetti sta con quest'ordine: uno sana, opera, coopera, da perseveranza, glorifica.
Le grazie gratuitamente concesse ci fanno cooperatori di Dio nella salvezza del prossimo; per questo compito è necessario conoscere intimamente le cose divine, poter ritrovare, saper bene proporle: le grazie gratuite sono perciò convenientemente ordinatamente e annoverate da San Paolo così: spirito di sapienza, di scienza e di fede; grazia di guarigioni, profezia e di scrutazione delle coscienze; dono dei linguaggi, dono delle lingue; la grazia santificante però che direttamente ci indirizza all'ultimo fine, supera la grazia gratuita perché questa ci indirizza solo a ciò che preparatorio dell'ultimo fine.
Possiamo allora sintetizzare dicendo che la grazia è una certa quale partecipazione della natura divina: può venire quindi soltanto da chi ha la natura divina cioè da Dio.
La grazia abituale che è qualità, forma, la quale non può sopravvenire che in una materia disposta a riceverla esige da parte dell'uomo la disposizione; ma per la grazia attuale movente non ci può essere da parte dell'uomo disposizione che prevenga l'azione di Dio: qui tutto proviene da Dio.
Quando Dio inizia un'azione di grazia è certo che anche la continua purché il libero arbitrio dell'uomo non la contrasti: quindi a chi fa ciò che sta in lui Dio non nega la sua grazia; però il libero arbitrio che la asseconda non può darsi il merito di pretenderla, perché la grazia e sempre azione che supera le esigenze le facoltà naturali dell'uomo.
La grazia si può avere in grado maggiore o minore e questa varietà di grazie fu disposto da Dio per la bellezza della Chiesa.
Se Dio non lo rivela nessuno può sapere con certezza se ha o non ha la grazia perché essa dipende totalmente ed esclusivamente da Dio se ne possono però, avere indizi.
Tutto questo discorso ci ha introdotto a comprendere che senza la grazia non possiamo nulla.
Ora dobbiamo introdurre la cosiddetta ascetica.
Ora San Tommaso dice che è la grazia stessa che predispone l'uomo a ricevere la grazia: quindi non esiste una fase propriamente ascetica che non sia una preparazione naturale priva della grazia alla vita divina.
Quindi l'ascetica corrisponde nell'ambito della spiritualità cristiana come la dottrina della perfetta vita cristiana e dei mezzi per raggiungerla.
Sebbene San Tommaso non ha composto nessun trattato di ascetica possiamo cogliere ciò che dice della virtù della Temperanza nella II-II dalla questione 141 alla 170.
Come possiamo allora descrivere l'operazione di divinizzazione o santificazione?
Il new age sostiene che l'uomo deve oltrepassare la sua situazione di disagio pensando in un modo positivo così non c'è più la sofferenza. Ma la sofferenza non viene oltrepassata neanche in paradiso. Neanche si tratta di prendere bene coscienza di ciò che siamo e quindi se sappiamo bene fare la meditazione ci arriviamo.
È Dio che divinizza: la divinizzazione e l'atto con il quale Dio rende divina l'anima umana. Non è un'aggiunta di Dio a Dio è già presente per immensità. Il Doctor Humanitatis dice che si tratta di un modo nuovo con il quale Dio si rende presente. Il modo non è la sostanza: il modo e più dalla parte dell'accidente. Dio è già presente, ma siccome non è una presenza avvertibile, la presenza di grazia e la stessa presenza di immensità.
La presenza di grazia è il portarsi sul piano del modo esperienziale della presenza di immensità ad esempio sappiamo che possediamo l'anima ma non avverto la mia anima dal semplice fatto che so ho che un'anima. Dunque la differenza tra presenza di immensità e presenza di grazia non è sostanziale, è sempre Dio, allora è una differenza modale.
I doni dello Spirito Santo tolgono di mezzo l'aspetto umano e la misura umana dell'esercizio della fede, della speranza, della carità, perché danno il modo divino.
Non c'è più il tu devi perché il modo divino è spontaneo quindi finché le virtù infuse vengono esercitate secondo il modo umano, non c'è lì in funzionamento i doni dello Spirito Santo; quando le virtù infuse sono esercitate secondo la spontaneità tipica dell'assoluto, allora quelle virtù infuse sono esercitate secondo il modo divino.
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