La crisi della "globalizzazione felice"

Utili riflessioni sulla crisi della "globalizzazione felice"  

Lupo Glori in "Corrispondenza Romana" 22 aprile 2020

«Guai a cambiare la globalizzazione che ha dato da mangiare a 2 miliardi di persone. Bisogna correggerla, non abolirla». Con queste parole Romano Prodi ha recentemente espresso ai microfoni del programma televisivo Piazza Pulita il suo punto di vista riguardo l'eventuale messa in discussione dell'attuale paradigma della globalizzazione. Sulla stessa linea anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che in un'intervista rilasciata al quotidiano tedesco Die Zeit ha parlato di «globalizzazione consapevole», sottolineando la necessità che l'Europa faccia tesoro dell'esperienza di questi giorni di emergenza Coronavirus per liberarsi dalla dipendenza da Cina o dall'Asia per la fornitura dei prodotti sanitari: «Ho imparato in questi giorni di crisi che una normale compressa per il mal di testa non può essere prodotta senza l'India e ora l'India è bloccata dal virus». Per questa ragione, ha spiegato la von der Leyen, «non dobbiamo dissociarci dalla globalizzazione, ma dobbiamo diventare più resistenti e ampliare la nostra rete di fornitori; non dobbiamo dipendere da un solo produttore al di fuori dell'Ue». I cantori del mito della "globalizzazione felice" continuano dunque imperterriti a professare il verbo globalista anche davanti alle macerie fumanti del sistema socio-economico nazionale e internazionale imploso sotto i colpi di un inaspettato ed implacabile nemico invisibile.

Non tutti però sono convinti che si tratti di un semplice "incidente di percorso" e che basterà aggiustare un poco il tiro affinché la globalizzazione possa riprendere spedita la sua (irreversibile) marcia verso il progresso e il benessere collettivo. Tra questi, gli studiosi Marco Gervasoni e Corrado Ocone che al tema delle conseguenze politiche e socio-economiche del Coronavirus hanno dedicato un interessante instant book edito da Il Giornale, dal titolo Coronavirus: fine della globalizzazione. Perché l'ordine geopolitico mondiale sarà irriconoscibile quando l'epidemia si fermerà. Nel capitolo intitolato "Il progressismo è morto a Wuhan", il filosofo politico Corrado Ocone sottolinea infatti come l'improvviso scatenarsi della pandemia globale abbia di fatto sancito la fine di quella che sembrava una marcia trionfale e inarrestabile del "progresso" e l'avvento di un profondo cambio di paradigma culturale, economico, sociale e politico che solo in pochi avevano immaginato. La principale vittima del virus Covid19, è dunque l'ordine geopolitico, fondato sulla globalizzazione e sulla sua ideologia che ormai da oltre trent'anni domina il mondo.

Per il prof. Gervasoni, il Coronavirus, che per impatto e conseguenze economiche e sociali è paragonabile in tutto e per tutto alla "Grande guerra", segna il tramonto del vecchio mondo globalista e il brusco ritorno sulla scena degli Stati-nazione che la narrativa mainstream politically correct bollava oramai come superati e defunti per sempre. Paradossalmente, a decretare la fine della globalizzazione è la globalizzazione stessa, dal momento che è proprio l'odierno sistema globale l'indiziato "numero uno" come "colpevole" della pandemia che, da un giorno all'altro, ha messo in crisi economie e sistemi socio-politici del mondo intero. Se il virus ha potuto diffondersi in pochissimo tempo dai sudici e ripugnanti wet-market di Wuhan al cuore dell'Europa, è stato grazie al capillare sistema di interconnessione globale che lega la Repubblica Popolare Cinese con il resto del mondo: «più merci, più persone in movimento da un luogo all'altro, più scambi, più incontro: più infezioni, più virus». Il mito della "società aperta" e vacilla dunque sotto i colpi di un nemico invisibile che ora presenta un conto salatissimo dopo decenni di scellerate politiche commerciali senza né freni, né regole, promosse dal regime comunista cinese. Il fallimento della globalizzazione decreta, sempre secondo il prof. Gervasoni, anche la morte di quella che è stata ed è la sua anima, ovvero l'ideologia del globalismo che ha i suoi dogmi assoluti nelle frontiere aperte, nel libero commercio (free trade), nella libertà di movimento e infine nell'europeismo, inteso come fede cieca nella costituzione degli Stati Uniti d'Europa. Il crollo dell'ideologia globalista, a sua volta, mette in crisi quella che è la sua "filosofia" di base, ovvero il liberalismo, artefice di una società del benessere a tutti i costi costituita da individui sradicati e accecati dal mito dell'illimitato "progresso" dell'umanità. La crisi della globalizzazione sancisce infine il prepotente ritorno del concetto di sovranità. Lo stato d'eccezione in cui il mondo è stato improvvisamente catapultato decreta infatti l'inattesa ricomparsa al centro della scena degli Stati nazionali: «lo Stato, un'altra entità che la globalizzazione pensava di aver indebolito, ritorna ad essere l'unica istituzione a cui fare ricorso quando si è in pericolo. Altro che federalismo, che antistatalismo, che europeismo: con la crisi Covid19 è un nuovo Leviatano, lo Stato nazione che torna padrone, a cui chiediamo protezione».

Ad affermare l'inesorabile crollo dell'ordine mondiale liberale globale è anche Alexander Dugin, ideologo pan-russo della "quarta teoria politica", il quale in un articolo pubblicato sul sito www.geopolitica.ru sottolinea come il Coronavirus abbia, in un solo colpo, abbattuto i tre pilastri su cui da tempo poggiava il "governo mondiale": quello politico, fondato sulla democrazia liberale parlamentare, quello economico, basato sul capitalismo di mercato e quello ideologico, fondato sui diritti inalienabili dell'individuo. Ebbene, afferma il rivoluzionario Dugin, la pandemia di Covid19 ha spazzato via, uno dopo l'altro, questi tre capisaldi assiomatici della "governance globale" facendola collassare rovinosamente davanti ai nostri occhi, proprio come l'URSS e il sistema socialista mondiale caddero nel 1991. Di fronte ai rischi delle sopravvivenza fisica causati dalla pandemia di Coronavirus, lo Stato liberale compie una profonda metamorfosi e, tutto d'un tratto, abolisce diritti politici e obblighi economici che si davano acquisiti per sempre, per lasciare spazio ad un regime di rigorosa e totale sorveglianza sociale. I confini e le frontiere che si credevano cancellate per sempre acquistano un nuovo significato e in alcuni paesi lo stato di emergenza porta alla creazione di specifiche "dittature regionali", che vengono rafforzate man mano che la comunicazione con il centro dello Stato diventa più difficile. In tale nuovo scenario, qualsiasi strategia sovranazionale perde di ogni significato mentre si assiste allo slittamento del potere dal livello politico a quello militare-tecnologico e medico-sanitario, in un inedito contesto di emergenza di cui alcuni leader politici potrebbero approfittare per rafforzare in maniera autoritaria il loro potere. Tuttavia, afferma Dugin, un eventuale accentramento dei poteri in nome della salvaguardia suprema della salute pubblica potrebbe funzionare solo per un limitato periodo, in quanto la logica della dittatura medico-militare appartiene a un registro completamente diverso da quello che si possa immaginare: «Quasi nessuno dei sovrani di oggi sarà in grado di mantenere il proprio potere per così tanto tempo e in modo così affidabile in condizioni così estreme. Tutti, in un modo o nell'altro, derivano la loro legittimità dalle strutture di quella democrazia liberale che viene abolita sotto i nostri occhi. Questa situazione richiederà figure, competenze e personaggi completamente diversi. Sì, è probabile che inizieranno questo consolidamento del potere e hanno persino iniziato a farlo, ma è improbabile che durino a lungo. C'è qualcosa di veramente nuovo che ci aspetta, ed è molto probabilmente qualcosa di veramente terrificante». I prossimi mesi ci diranno quale sarà il nuovo assetto geopolitico che sorgerà sulle macerie dell'ordine globale internazionale colpito a morte dal Coronavirus. 


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